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Buona Misericordia

Vangelo di Giovedì 29 Giugno: Matteo 16, 13-19

Di Carlo Miglietta Ultimo aggiornamento 28 Giu, 2023
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Festa dei Santi Pietro e Paolo

13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. 14Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. 15Disse loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. 16Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. 17E Gesù gli disse: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

Mt 16, 13-19

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

 

Una Chiesa che testimonia il Cristo

Al cuore del brano sta l’esplicitazione del termine “ekklesìa”, Chiesa. Matteo probabilmente attinge la confessione di Cesarea di Filippo da quella che gli esegeti chiamano “fonte comune”, o “fonte Q”, operandovi alcune modifiche: al posto di “io” inserisce “Figlio dell’uomo”; aggiunge, tra i possibili “sosia” di Gesù, il profeta Geremia, quello che forse più di tutti ha dovuto soffrire, e proprio a Gerusalemme, la persecuzione da parte dei sacerdoti e degli anziani di Israele; amplia la risposta di Pietro rispetto al testo parallelo del Vangelo di Marco (Mc 8,27-38) e di quello di Luca (Lc 9,18-27).

È un passo di grande importanza, su cui il dibattito è da sempre vivo, fecondo, ma talora contrastato. Innanzitutto vi si afferma che compito della Chiesa è la professione di Gesù come “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. È questa la missione della Chiesa. Essere nel mondo l’annuncio di Gesù Signore del mondo, essere il suo segno e la sua testimonianza.

Questa confessione di fede era comparsa poco prima sulla bocca dei discepoli quando Gesù aveva camminato sulle acque: letteralmente: “Veramente di Dio figlio sei!” (“Alethòs theoù uiòs eì”: Mt 14,33); così, alla sua morte, i soldati di guardia, colpiti dai fenomeni cosmici che accompagnano il trapasso del Nazareno, esclamano: “Veramente di Dio figlio era costui” (“Alethòs theoù uiòs èn oùtos”: Mt 27,54). Si noti come non ci siano articoli determinativi: Gesù è riconosciuto genericamente come un personaggio divino. Ma Pietro invece rafforza la sua affermazione con ben due articoli determinativi: “Tu sei il Figlio del Dio!” (“Su eì o Chrisòs, ò uiòs toù Theoù”: Mt 16,16). Così farà Caifa al momento del processo: “Dicci se sei il Cristo, il Figlio del Dio” (“Eìpes eì su eì o Chrisòs, ò uiòs toù Theoù”: Mt 26,63): affermazione così chiara della singolarità del rapporto di figliolanza di Gesù che sarà la causa della sua condanna a morte.

Gesù afferma che la missione di Pietro non è scelta da parte degli uomini, ma precisa volontà di Dio: “perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17). “Carne e sangue” è un ebraismo che indica la dimensione umana: “carne”, “basar”, indica la fragilità, “sangue”, “dam”, indica la vita umana, ma spesso nella sua connotazione di impurità legale. La capacità umana non è sufficiente per professare la messianicità di Gesù: ci vuole una “rivelazione”, un’“apocalissi” (“apekàlupsen”).

Una Chiesa realtà sovrannaturale

Gesù promette alla sua Chiesa che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). L’espressione “porte degli inferi” fa riferimento alle “porte”, luogo dove si praticava la giustizia e il potere, e agli “inferi”, in ebraico “sheol”, il mondo sotterraneo di morti. Il significato è che la Chiesa non sarà sottomessa al potere della caducità e della morte, cioè che non sarà una realtà di ordine solamente naturale, ma avrà una dimensione ultraterrena.

Il ruolo di Pietro

Si dice poi che la Chiesa sarà fondata su Pietro, a cui viene cambiato il nome e a cui vengono assegnati “le chiavi del regno dei cieli” e il potere di “legare o sciogliere” (Mt 16,18-19).

Notiamo come Pietro sia chiamato “bar Jona”, “figlio di Giona”, in lingua aramaica, anche nel contesto del brano che è in greco: è curioso notare che invece nel quarto Vangelo Pietro non è “figlio di Giona”, bensì “figlio di Giovanni” (Gv 1,42). Forse Matteo, attribuendo al profeta Giona la paternità di Pietro, vuole dare all’affermazione di quest’ultimo una rilevanza profetica.

Il cambio del nome, nella Bibbia, indica sempre una vocazione particolare. Si pensi ad Abram, che significa “il padre è grande”, il cui nome viene mutato in Abramo, che probabilmente vuol dire “padre di una moltitudine” (Gn 17,5); a Sarai, che viene chiamata Sara (forse due varianti di “principessa”) (Gn 17,15); Giacobbe, il cui nome deriva dal fatto che alla nascita afferra il calcagno, “’aqeb” del fratello (Gn 25,26), vede il suo nome mutato da Dio in Israele, che significa “Dio combatte”, “Ysre’èl”, dal verbo “sarà”, combattere, o “Dio è forte”, dal verbo “saran”, “essere forte, prevalere”. Anche la tradizione posteriore cristiana, soprattutto nel monachesimo, userà il cambio del nome come segno di un nuovo ruolo o una nuova missione da parte di Dio.

Gesù fa un gioco di parole, dicendo a Simone che d’ora in poi si chiamerà Pietro. Noi siamo ormai abituati ad usare correntemente questo nome proprio, e abbiamo perso la novità e l’originalità di quest’“invenzione” di Gesù. In aramaico è più immediato coglierne il significato, perché “kepha”, “la pietra”, è maschile: Simone si chiamerà “la pietra”. In greco invece, come in italiano, la parola “pètra”, “pietra”, è femminile, mentre “Petròs” è maschile: nemmeno in greco quindi “Petròs” è un nome proprio abituale. Il Vangelo usa quindi un neologismo per indicare la funzione di Simone: egli sarà “la pietra”, la roccia su cui Gesù costruirà l’edificio della sua “ekklesìa”. Forse sarebbe più intuitivo per gli inglesi equiparare il nuovo nome di Simone non tanto a “Peter” quanto a “Rocky”.

Pietro è dato alla Chiesa come un dono di sicurezza, di difesa, come promessa di stabilità e vittoria. Non può essere accettato che si riferisca solo al carattere impetuoso dell’apostolo Pietro, come da taluni affermato.

La missione di Simone è quindi delineata con tre metafore: quella della pietra, quella delle chiavi e dalla frase “legare-sciogliere”.

Il tema delle chiavi è tipicamente biblico (Is 22,20-24; Ap 3,7). L’espressione “legare – sciogliere”, in aramaico “’asar – sèrah”, è rabbinica e indica un preciso intervento nel campo della dottrina o della morale, indicando ciò che è verità e ciò che è menzogna, oppure ciò che è permesso e ciò che è proibito, e il potere di ammettere o di escludere dalla comunità.

“La mia Chiesa”

In ogni caso la Chiesa è sempre solo di Cristo (“la mia Chiesa”: Mt 16,18), anche se si serve degli apostoli per edificarla. Già i profeti aveva definito il Messia “pietra angolare” (Is 28,16; Zac 10,4). Gesù applicherà a sé questa definizione (Mt 21,42; cfr Sl 118,22-23). Altri passi neotestamentari ribadiranno che anzi l’unica roccia è Cristo, come afferma infatti proprio la prima lettera di Pietro (1 Pt 2,6-8).

Il contesto non permette di stabilire se quando Gesù afferma: “Edificherò la mia Chiesa”, il verbo “edificherò” (“oikodomèo”: Mt 16,18) sia relativo alla vita terrena di Gesù o al periodo dopo la sua resurrezione. L’ammonimento con cui si chiude il brano deporrebbe per una dimensione post-pasquale: “Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo” (Mt 16,20): la testimonianza di Cristo da parte della Chiesa inizia solo dopo la sua resurrezione. Ma forse il termine “edificare” abbraccia sia la dimensione terrena che quella successiva della vita del Signore, perché l’insegnamento di Gesù qui sulla Chiesa pare rapportabile a quello sul “Regno di Dio” che tanto caratterizza tutta la predicazione di Gesù nel Vangelo di Matteo.

Buona Misericordia a tutti!

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.

Per approfondire

Vangelo di Domenica 25 Giugno: Matteo 10, 26-33

Vangelo di Domenica 18 Giugno: Matteo 9, 36 – 10, 8

Santo del giorno 28 giugno: Sant’Ireneo

Un bel paese dove si sopravvive

Senegal: verso una mobilità ecologica nella capitale Dakar

Fonte dell’articolo

Spazio Spadoni

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