Speranza e coraggio per ripensare una pedagogia trasformativa
Qualsiasi azione educativa o pedagogica che voglia essere generativa deve necessariamente basarsi sulla speranza
Pedagoghi come Paulo Freire e Warnock hanno voluto portare il tema della speranza nella pedagogia. Warnock dice che di tutti gli attributi che vorrebbe vedere nei suoi figli o studenti, quello della speranza sarebbe in cima alla lista. Continua dicendo che perdere la speranza è perdere la capacità di volere e desiderare qualsiasi cosa. Perdere, infatti, la voglia di vivere.
La speranza è simile all’energia, alla curiosità, alla convinzione che spinge fare le cose. Secondo il pedagogista un’educazione che lascia un bambino senza speranza è un’educazione fallita. Da qui un invito a tutti i pedagoghi a integrare la speranza nel loro insegnamento, perché l’essenza dell’apprendimento è andare avanti per arricchire sia l’individuo che la società. Una speranza ancorata al realismo, un ottimismo senza illusioni per il futuro.
Questa considerazione diventa urgente di fronte alle grandi sfide di oggi. L’approccio trasformativo all’istruzione è da prediligere. Un approccio che diventa un metodo per interrogare le giovani generazioni sui temi dell’attualità, la crisi ambientale, le guerre e la crescente tendenza all’estremismo e al radicalismo che in genere colpisce l’Africa. Implica anche l’educazione delle emozioni, perché un ruolo cruciale dell’educazione dovrebbe essere quello di incoraggiare l’impegno con la complessità dei problemi e la necessità di andare oltre le risposte emotive per riconoscere le forze in gioco che influenzano i processi di cambiamento sociale.
La pedagogia della speranza come sostiene Hicks International Journal of Development Education and Global Learning dovrebbe quindi essere costituita da quattro componenti essenziali.
- Condivisione: creare spazi in cui i giovani possano condividere i loro sentimenti su questioni relative ai problemi senza sentirsi criticati o derisi.
- Ascoltare: realmente ciò che i giovani vogliono dire, in modo che si sentano opportunamente interpellati e rassicurati che ciò che stanno condividendo è valido e accettabile.
- Comprendere: la natura del cambiamento o la soluzione che vogliamo apportare al problema, le origini del problema, i suoi impatti e le sue conseguenze, le misure da adottare per minimizzare il fenomeno.
- Agire: sapere cosa fare in classe, a casa e nella comunità e chi fornirà un supporto continuo.
Sono necessari per favorire il passaggio dalla comprensione dei mezzi per far fronte a situazioni difficili al reagire per promuovere percorsi positivi e guardare al futuro. Lo sviluppo delle competenze è quindi importante per dare al discente i mezzi per affrontare i problemi attuali. Competenze che la scuola non riesce proprio a fornire completamente. Si tratta di competenze di cittadinanza attiva e di apprendimento dei servizi, soprattutto nelle regioni in cui l’accesso all’istruzione è ancora minacciato.
La Chiesa cattolica è sempre stata in prima linea nell’educazione e nella formazione dei giovani africani
Il 1° giugno Papa Francesco doveva incontrare la delegazione che lavora per la promozione del patto educativo in Africa. Nel suo discorso il Papa ha esortato l’episcopato africano con questa frase: “guardiamo con fiducia all’Africa”. L’invito di Francesco ai vescovi non è affatto casuale. I primi missionari hanno portato la scuola e da allora la prima missione della Chiesa è sempre stata quella di sanare la “povertà culturale”.
Per rispondere alla sfida che affrontano oggi tanti bambini e giovani in Africa in tema di accesso al sistema educativo, i vescovi hanno presentato al Papa dieci aspetti come conclusione del Patto, i dieci punti che intendono adottare nel progetto di Patto educativo africano.
- Scegliere in ogni istituzione educativa della Chiesa una politica tale da avere una percentuale (tra il 5 e il 10%) di bambini provenienti da un contesto sociale e familiare segnato dalla povertà e dal bisogno affinché possano beneficiare di un’istruzione di qualità. Per questa azione i vescovi fanno appello alla solidarietà dei fedeli per fornire la necessaria assistenza finanziaria.
- Creare strutture scolastiche soprattutto in contesti sociali dove il sostegno economico è molto limitato.
- Garantire la gestione sinodale delle scuole cattoliche con la collaborazione tra laici, donne, sacerdoti e religiosi.
- Aumentare l’accesso delle ragazze a un’istruzione di qualità.
- Fornire un’educazione alla cittadinanza cristiana per preparare cittadini capaci di impegnarsi in una società democratica per il bene comune.
- La scuola cattolica deve essere un luogo sicuro dove il bambino e le persone vulnerabili sono protetti e rispettati nella loro dignità; proteggendoli da abusi di qualsiasi genere.
- Sviluppare e proporre un progetto educativo che enfatizzi i valori e gli obiettivi di ogni istituzione educativa basata sui principi cristiani.
- Introdurre e rafforzare l’educazione alla bellezza e all’interiorità.
- Allenare il pensiero critico per resistere a tutte le forme di manipolazione.
- Introdurre l’educazione ecologica e sviluppare pratiche ecologiche.
Con questo elenco, iniziamo l’analisi dal punto 9. Formazione al pensiero critico per affrontare qualsiasi forma di manipolazione. Come può oggi l’educazione costituire una forza di resistenza alla manipolazione? Diversi tipi di manipolazioni possono essere elencati qui. Ma la cosa più grave che ci colpisce ha a che fare con la manipolazione ideologica. Il terrorismo e il radicalismo sono diventati una forma seria di manipolazione dei giovani non istruiti. Si può facilmente rintracciare una correlazione positiva tra la mancanza di istruzione e il radicalismo dei giovani e dei bambini. I terroristi preferiscono i bambini ignoranti. E la scuola è diventata il loro principale obiettivo di attacco. Innumerevoli attacchi nelle scuole, in Niger, Burkina-Faso, Nigeria, Uganda, Ciad, Camerun, etc.
È una minaccia crescente che prende di mira scuole, studenti, genitori, educatori. Non possiamo immaginare le conseguenze dannose per studenti, insegnanti e società nel suo insieme. Regioni che stanno già affrontando grandi sfide come la povertà, gli effetti del cambiamento climatico, infrastrutture scolastiche inadeguate, mancanza di accesso all’istruzione, tassi di completamento molto bassi, un basso numero di insegnanti formati, vedono aggiungersi questo problema di manipolazione ideologica per impedire la trasmissione della conoscenza che sta diventando sempre più un flagello nella società. Questa malattia della mancanza di istruzione diventerà la più grande forma di povertà; una povertà culturale che sarà molto più pericolosa della povertà economica, della carestia e delle malattie tropicali.
Di fronte a tutto questo, come ripensare una pedagogia della speranza?
La pedagogia della speranza rimane l’unico rimedio per trasformare l’uomo di oggi. L’uomo, il giovane, il bambino, oggetto di educazione e che rimane sotto la minaccia della manipolazione. La scuola deve sempre estendere la sua sfera di influenza. Ripensare la pedagogia di comunità significa investire di più nell’educazione. Il progetto sarebbe quello di promuovere una pedagogia di prossimità nei quartieri, nei gruppi di giovani, nelle parrocchie, etc. Una possibilità per superare il male dell’estremismo e dire sempre “sì” per un’educazione inclusiva. La popolazione africana comprende dal 60 al 70% di giovani, è fondamentale articolare soluzioni sostenibili, raddoppiare gli sforzi per garantire l’accesso dei giovani all’istruzione.
In questo quadro, gli sforzi politici e di sicurezza, ovviamente, sono da incoraggiare nonostante rimangano insufficienti per porre fine alle varie sfide. Gli sforzi dei partner per la sicurezza, tuttavia, saranno necessari per garantire e attuare strategie che promuovano la sicurezza dell’istruzione. È quindi più che urgente proteggere i giovani e i bambini nelle scuole oggi. Se non interveniamo subito, avremo perso gran parte dei nostri giovani, e ciò costituirà una minaccia per l’umanità in futuro.
E qui, le persone dovrebbero essere viste come parte della soluzione piuttosto che parte del problema. Per questo, sarebbe opportuno inventare ogni mezzo possibile per tirare fuori il meglio da ognuno. La resilienza è una delle caratteristiche di questa situazione.
Un film scritto dagli spettatori
Una delle esperienze da incoraggiare davvero è l’arte. L’educazione artistica può essere un antidoto al crescente estremismo che colpisce giovani e bambini e li porta a sviluppare un atteggiamento diverso di fronte alla tendenza alla radicalizzazione. Questa esperienza ci viene dal film keniota “Watatu”. Il film parla dell’estremismo islamista, della radicalizzazione di un giovane laureato a Mombasa, in Kenya. Il regista Nick Reding apre una domanda e scrive la sua storia con il suo pubblico. Ha svolto ricerche con giovani parzialmente radicalizzati. Così hanno scritto una storia su un giovane che si prepara a commettere un omicidio, ha messo in scena la storia come un’opera teatrale per un pubblico intorno a Mombasa. Successivamente pone loro la domanda se la storia debba inevitabilmente finire così.
Con il suo pubblico, Nick fa quindi domande e poi chiede loro delle alternative. In un teatro-foro, queste proposte alternative si giocano con i tre personaggi della storia. Risultato: riflettono su come la famiglia avrebbe potuto impegnarsi diversamente con il giovane. Questi interventi e le soluzioni proposte dal pubblico sono poi diventate la seconda parte del film. Tutti i dialoghi alla fine sono stati scritti dagli spettatori. È un modo incredibilmente potente per convincere le persone a pensare e attivarsi sui loro problemi e trovare insieme soluzioni migliori. (Film completo Watatu).
Ogni prospettiva per il futuro risiederà nella nostra capacità di impegnarci a ridefinire l’intero processo educativo delle nuove generazioni, lavorando insieme allo studio e alla sperimentazione di una proposta di “scuola di vita”, integrale e interconnessa con i problemi della società. Essere ancorati al territorio e sviluppare soluzioni locali.
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