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VIII Domenica C – Il Discorso Della Pianura
Letture: Sir 27,5-8; 1 Cor 15,54-58; Lc 6,39-45
Il brano di Vangelo di Lc 6,39-45 ci riporta alcuni passaggi del discorso che Gesù pronuncia sulla pianura dopo aver trascorso la notte in preghiera (Lc 6,12) e dopo aver chiamato i dodici ad essere suoi apostoli (Lc 6,13-14). Gran parte delle frasi riunite in questo discorso sono state pronunciate in altre occasioni, però Luca, imitando Matteo, le riunisce qui in questo Discorso della Pianura.
Il primo detto è contro la pretesa di guidare gli altri: “Può forse un cieco guidare un altro cieco?”.
Scribi e farisei peccavano di presunzione. Si ritenevano, infatti, in dovere di guidare gli altri verso la fedeltà a Dio. Tutti si è ciechi di fronte al mistero di Dio. Tutti abbiamo bisogno che Gesù ci apra gli occhi, perché Lui solo ha visto il Padre, Lui solo lo conosce, Lui solo ce le può rivelare. Scribi e farisei, rifiutando Gesù, rigettando la sua rivelazione di Dio Padre misericordioso, si ostinano nella loro cecità. Solo se si riconosce la propria cecità e si accoglie la luce, che ci dona Gesù su Dio, la luce della misericordia divina, si può camminare verso il vero traguardo, che è l’abbraccio del Padre. Questo cammino si chiama conversione. Solo se ci si pone in stato di conversione, si può guidare altri.
Il secondo detto è sul discepolato: “Il discepolo non è di più del maestro, ma il discepolo ben preparato sarà come il maestro”
Il vero maestro non impartisce lezioni, vive con gli alunni. La sua materia è lui stesso, la sua testimonianza di vita, il suo modo di vivere le cose che insegna. Il maestro è il modello o l’esempio da imitare (Gv 13,13-15), giungendo ad identificarsi con lui: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Il terzo detto è sulla correzione fraterna: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”
Scribi e farisei erano bravissimi nel segnalare anche le più leggere trasgressioni della legge degli altri, però si ostinavano nel mantenere nel loro occhio la trave, cioè la trasgressione massima della legge: “Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Chi non riconosce il suo bisogno della misericordia di Dio, chi non riconosce quel che la misericordia di Dio gli ha perdonato, non è in grado di correggere gli altri, per renderli più fedeli a Dio. La correzione fraterna è praticabile solo da chi si riconosce figlio perdonato dal Padre misericordioso e quindi fratello tra fratelli.
Il quarto detto sottolinea che ogni albero si riconosce dai frutti, come già proclamava la prima Lettura (Sir 27,5-8).
Attenti quindi a giudicare, a condannare a priori chi non la pensa come noi: ciò che conta è produrre frutti di misericordia, perdono, servizio, pace. E chi fa questo è in ogni caso benedetto da Dio (Mt 25).
Il quinto detto richiamo il primato dell’interiorità: “L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore”.
Mentre nel nostro pensiero occidentale il cuore è il centro dei sentimenti, degli affetti, per gli ebrei è la sede del pensiero e della volontà, è la coscienza personale, l’“io” più intimo. Per questo Gesù dice: “Perché pensate cose malvagie nei vostri cuori?” (Mt 9,4), intendendo ovviamente il cuore come la sede del pensiero. Così come afferma: “Dal cuore provengono i propositi malvagi” (Mt 15,19), intendendo nel cuore il centro della volontà, delle scelte di fondo.
Gesù è molto chiaro. Non c’è nulla di esterno a noi che sia impuro, ma la purezza o l’impurità risiedono nel cuore dell’uomo: “Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie” (Mt 15,10-20).
Nel cuore dell’uomo abita la Parola di Dio: “Questa Parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Dt 30,14; cfr Rm 10,8). Ma è anche vero che “il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto” (Gn 4,7). Per questo ogni giorno dobbiamo scegliere tra avere un “cuore che ascolta” (lev shomeà: 1 Re 3,9) o una situazione di sclerocardìa, l’“indurimento del cuore”, il grande peccato del Faraone (Es 4,21; 7,3) e di chiunque si chiude al piano di Dio (Sl 4,3; 17,10; 81,13Mt 19,8; Mc 10,5; 16,14…). Per questo, ci esorta Paolo nella seconda Lettura, “rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore” (1 Cor 15,54-58).