Vestire gli ignudi

Dal sito dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della CEI, il commento alla terza opera di misericordia corporale

(di Michele Sardella, direttore diocesano e regionale per la pastorale della salute nel Lazio)

L’atto umano di vestire chi è nudo si fonda, per la Bibbia, sul gesto originario di Dio stesso che ricoprì la nudità umana, preparando gli abiti e poi vestendo Adamo ed Eva, dopo la loro trasgressione: “Il signore Dio fece l’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì” (Gen3, 21).

Questo atto di misericordia verso i due progenitori mette in risalto la premura di Dio verso di noi perché egli sa che la nudità non significa solo esposizione alle inclemenze del tempo, ma anche umiliazione, indegnità, infermità, assenza di difese e pericolo.

Si tratta della nudità che toglie identità, la nudità dell’anonimo, del senza – dignità: lo schiavo venduto (Gen 37,23), la prostituta esposta agli sguardi di chiunque (Ger 13,26-27; Os 2,4-6), il malato di mente che vive una condizione di alienazione ( Mc 5,1-20).

Da questo interesse di Dio per noi, la scrittura elabora così una compassione per il corpo che si esprime in comandi: “Fa’ parte dei tuoi vestiti a chi è nudo” ( Tb 4,16), che rientra fra gli attributi della giustizia (“il giusto… copre di vesti chi è nudo”: Ez 18,5.7.16), che sta al cuore di una prassi di digiuno autentica (“questo è il digiuno che voglio:.., vestire uno che vedi nudo”: Is 58,7).

È un atto di vera misericordia offrire abiti per poter vestire gli ignudi

Se oggi difficilmente incontriamo persone completamente nude per mancanza di vestiti è invece possibile che alcuni fattori possono limitarne o impedire l’acquisto.
Pensiamo, ad esempio, ad alcune categorie come gli immigrati, i malati affetti da disturbi psichici, le persone senza fissa dimora, bambini zingari che girano scalzi, anziani che nel periodo invernale non hanno la possibilità di acquistare abiti adeguati.

Queste tipologie di persone si rivolgono spesso a centri di raccolta per cercare un aiuto e degli indumenti.
Se conosciamo questa realtà direttamente o indirettamente, quando elemosiniamo i nostri abiti dismessi facciamo in modo che siano dignitosi nell’aspetto di forma e costume.
Allora cambiare il nostro guardaroba non sarà solo l’occasione per acquistare capi nuovi alla moda, ma sarà un gesto di solidarietà e condivisione.

In ambito di pastorale della salute cosa vuol dire vestire gli ignudi?

Vestirsi e spogliarsi tutti i giorni è un gesto naturale, ma può essere impegnativo per un malato, perché ha problemi legati alla disabilità, disturbi dell’umore e dello stato cognitivo.
In particolare nei disturbi dello stato cognitivo le persone affette dall’Alzheimer non sanno più come indossare i vestiti e in che ordine, non si rendono conto della necessità di cambiarsi e faticano a scegliere i capi in funzione della stagione e delle condizioni del tempo. A ciò si aggiungono problematiche legate alla mobilità ridotta: allacciare, slacciare, annodare,… .

In questi casi aiutare a vestirsi cercando di valorizzare le autonomie residue, è il modo migliore per far sentire meno la dipendenza dagli altri. Con molta delicatezza si può aiutare a scegliere un abbigliamento che rispecchi i gusti, scegliere abiti comodi, cercare di limitare l’uso di bottoni, fibbie, zip, che, in qualche caso, potrebbero essere anche causa di ferite o lesioni.

Richiede una maggiore attenzione la cura di persona allettate sia in forma acuta che cronica dove il pigiama la camicia da notte non sempre vengono indossati e a volte il vestito può coincidere con il lenzuolo.

Se il vestito traduce quel senso di pudore che forse il più antico gesto che distingue l’uomo dagli animali e che non si limita all’ambito sessuale, si comprende come scoprire il malato costretto a letto per curare la sua igiene personale, per cambiare le lenzuola o per aiutarlo nello svolgimento delle normali funzioni fisiologiche, richiede una particolare attenzione.

Non basta solo la buona volontà o il senso del dovere, che spesso fa i conti con il nostro stato d’animo, ma bisogna ricordarsi che essere coperti o vestiti ha a che fare con la totalità dell’essere umano e soprattutto con il senso dell’identità e della soggettività.

Troppo spesso dimentichiamo di porre attenzione ai gesti di aiuto che compiamo, ma sono proprio questi che ci qualificano e ci rendono degni di fiducia da parte di chi li riceve.

Vestire i nostri gesti di questa attenzione implica quindi vestire anche le relazioni interpersonali

Pensiamo a ognuno di noi se per motivi di salute o per l’incapacità di essere autonomi si è costretti ad abbandonare momentaneamente o definitivamente i propri luoghi di vita abituale.
Entrare nelle strutture sanitarie spesso taglia improvvisamente le relazioni familiari e le abitudini di vita che, soprattutto per gli anziani, provocano un forte stress emotivo e un conseguente è stato confusionale.

Rivestire le relazioni con gli “abiti” dell’ascolto, della vicinanza, della comprensione, è una delle qualità che viene richiesta a chi vive accanto a situazioni di fragilità. E’ un atteggiamento ancora più richiesto nelle cure palliative, dove si incontrano malati e famiglie privi di strumenti capaci di affrontare il fine vita.

Un malato più si sente curato, più si attacca alla vita, perché l’amore con cui compiamo i gesti è capace di vestire ogni ambito dell’esistenza.

Fonte

Immagine

  • Illustrazione di suor Marie-Anastasia Carré (Communauté des Béatitudes)
SEC 2024-2025
Potrebbe piacerti anche