Vangelo di Venerdì 1 Gennaio: Luca 2, 16-21
Maria SS. Madre di Dio
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Lc 2, 16-21
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Vedi: C. MIGLIETTA, CONDIVIDERE PER AMORE. La chiamata dei cristiani alla povertà, Gribaudi, Milano, 2003, con prefazione di Arturo Paoli
LA POVERTÀ, STILE DI VITA DI GESÙ
Lo stile di vita di Gesù non fu certamente “neutrale”, ma tutta la sua vita fu segnata dalla povertà.
Il contesto ambientale di Gesù
Per inquadrare il contesto in cui Gesù vive bisogna ricordare gli effetti della “pax romana” imposta da Pompeo nel 67 a. C.. Essa aveva significato una forte tassazione, riscossa tramite i re locali, come Erode il Grande (37-4 a.C.) o Erode Antipa (4 a.C-39 d.C.). Coperti di debiti per pagare le tasse, i piccoli contadini, specie in Galilea, cominciarono a vendere i loro campi a grossi proprietari terrieri che spesso vivevano all’estero, come raccontato nella parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-41). Si formarono così latifondi e progressivamente sparì la piccola proprietà. Si venne quindi a determinare il fenomeno della “diaspora”, cioè di una forte emigrazione all’estero in cerca di migliori condizioni di vita: ai tempi di Gesù, gli ebrei in Palestina erano 500-750.000, quelli in altri Paesi circa 4.500.000. A Gerusalemme le cose andavano un po’ meglio, perché il Tempio non solo era fonte di grandi guadagni per le classi sacerdotali, ma creava un indotto fiorente. Nella Galilea di Gesù la situazione economica era molto precaria, e la popolazione era composta in gran parte dal cosiddetto “proletariato rurale” (S. Freyne, Galilee from Alexander the Great to Hadrian, USA, 1980), comprendente i salariati a giornata (si pensi alla parabola in Mt 20,1-16) e gli schiavi per debiti, costretti a un pesante lavoro nei latifondi. La situazione sociale in Israele era aggravata dalla distinzione religiosa tra “puri” e “impuri”: i Galilei, che vivevano in una terra di confine con il mondo idolatra, erano spesso a contatto con i pagani, e pertanto “impuri”.
L’infanzia di Gesù
Gesù si pone fin dalla nascita tra gli ultimi, tra gli emarginati. Gli angeli proclamarono la sua povertà come segno messianico: “Oggi vi è nato… un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,11-12). Notiamo subito come Luca usi termini “crudi”: “brèphos” (Lc 2,12.16), che indica il feto da partorire o appena partorito, e “gennòmenon” (Lc 1,35), che designa il feto nel grembo materno. Un Dio che si fa feto: quale povertà poteva essere più grande? Ma sottolineiamo anche che è così importante questa mangiatoia di cui parlano gli angeli, che in seguito viene denominata con l’articolo determinativo: “la” mangiatoia: “Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia” (Lc 2,16). La mangiatoia è il segno che viene dato a conferma dell’annuncio soprannaturale della nascita del “Salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11), così come alla notizia a Zaccaria della sua imminente paternità era stato dato il segno del mutismo (Lc 1,11-20), e alla proclamazione a Maria della sua divina maternità è dato il segno della gravidanza della vecchia Elisabetta (Lc 1,26-38). Il Vangelo, “facendo della mangiatoia il segno paradossale da cui riconoscere il Salvatore, Cristo Signore, rimanda a un avvenire che, di fatto, non può essere che quello della croce, manifestazione suprema della debolezza e della miseria di colui che è divenuto, risuscitando, l’autore della nostra salvezza (cfr At 4,12; 5,31)” (J. Dupont).
Gesù nasce da una famiglia così povera che, presentandolo al tempio, non ha neppure la possibilità di offrire per lui un agnello, ma solo “una coppia di tortore o di giovani colombi” (Lc 2,24), il sacrificio di chi “non ha mezzi” (Lv 12,8; 5,7).
Subito alla povertà si associa la persecuzione: Erode attenta alla vita di Gesù, e la Sacra famiglia deve fuggire in Egitto, chiamata ad un Esodo al contrario, dalla Terra Promessa alla terra della schiavitù e dell’oppressione (Mt 2,13-18): ce li immaginiamo nelle difficoltà degli emigranti, nella miseria, nella ricerca di un lavoro presso padrone, di una casa…
Dopo la morte di Erode, Giuseppe va con la famiglia “ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: <<Sarà chiamato Nazareno>>” (Mt 2,23). Sembra che Giuseppe, che ha avuto dall’angelo il mandato di dare al Figlio di Maria il nome di Gesù (Mt 1,21), si adoperi personalmente perché per il Salvatore si adempiano anche gli altri appellativi previsti dalle Scritture: ha ormai capito che il Messia sarà povero e umile, e accetta pienamente il mistero del suo nascondimento in quell’infima località di cui il saggio Natanaele esclamerà: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Nazaret non è mai citata in tutto l’Antico Testamento: non rientra nemmeno nel novero delle quattrocento e più località che Giuseppe Flavio menziona nelle sue opere. Gli archeologi ci dicono che, ai tempi di Gesù, era un piccolo borgo di trenta-quaranta famiglie, che vivevano in “caverne” come quella che tuttora ci fanno vedere, a Nazaret, come “casa di Maria”… Un Dio che si fa… “uomo delle caverne”, in uno sconosciuto villaggio…
Ha scritto Papa Francesco: “Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato” (Admirabile signum, nn. 5-6).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.