Vangelo di Domenica 7 Novembre: Marco 12, 38-44
XXXII Domenica B
38Diceva loro mentre insegnava: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave”. 41E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. 43Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Mc 12, 38-44
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Contro una religiosità formale
Questo brano è una dura requisitoria contro i pastori di Israele, sulla linea dei profeti, di Amos, Michea, Geremia, Isaia, ma è anche un grave ammonimento per tutti coloro che nella Chiesa hanno obblighi e responsabilità.
“La prima critica è diretta all’ambizione che si esprime nella ricerca di riconoscimento pubblico. È controverso se gli scribi utilizzassero un vestito lungo che li distinguesse (tallith). Forse il loro distintivo erano le frange vistose (cicith) che ornavano le estremità della veste. Si suppone che il primo seggio nella sinagoga fosse un posto di fronte agli reliquiari della Torah e riservato a personalità eminenti e ufficiali. Il posto d’onore al banchetto va cercato a tavola accanto al padrone di casa o all’ospitante (Lc 14,7-10). Più pungente è la seconda critica che stigmatizza l’avidità degli scribi, che forse offrivano la loro consulenza giuridica ed esigevano in cambio un compenso esorbitante…
Gesù si siede di fronte al gazaphylakion, espressione derivata dal persiano gaza, cioè tesoro. Nella stanza del tesoro erano disposte 13 cassette per le offerte, dalla forma di tromboni, una delle quali era destinata alle offerte volontarie… Molti ricchi offrono molto. Il termine chalcos deve essere riferito pertanto in senso generale al denaro, non soltanto alla moneta di rame. Il lepton, che corrisponde alla perutha giudaica, è la più piccola delle monete di rame. La vedova offre due lepta. L’equivalenza col quadrante traduce il valore di questa moneta trasportandola nel sistema monetario romano” (J. Gnilka).
Eppure queste parole noi le abbiamo prese un po’ per scherzo, perché anche noi nella chiesa abbiamo i nostri Pastori spesso che portano vesti speciali, che si fanno chiamare reverendo, monsignori, eccellenza, eminenza, che vengono portati ai posti di onore.
Gesù invece non faceva così: Gesù era un laico, banchettava con i peccatori e i pubblicani, opera in incognito, rifiuta una rivelazione come Messia potente, sfugge l’applauso delle folle: allora guai (Mc 12,40) a quelli che hanno una religiosità formale, a quelli che pregano, che si dicono Chiesa, e poi non praticano la giustizia, non praticano il soccorso agli ultimi, di cui la vedova, donna senza marito, è il prototipo.
Anche la religione può diventare peccato, anche la preghiera può diventare ostentazione: c’è il continuo richiamo all’interiorità, alla semplicità, ma soprattutto alla “kènosis”, allo svuotamento, allo scegliere l’ultimo posto sull’esempio del Maestro.
“Le parole rivolte da Gesù alla folla si potrebbero così parafrasare e attualizzare: «Diffidate degli scribi, degli esperti di Bibbia e di teologia! Quando escono, appaiono con vesti lunghe, filettate, addirittura colorate, indossano abiti sgargianti, si ornano di catene, di croci gemmate e preziose, cercano i volti di chi passa per essere salutati e riveriti, senza discernere le persone nel loro bisogno e nella loro sofferenza: volti che non sono guardati, ma chiamati a guardare! Nelle assemblee liturgiche hanno posti eminenti, cattedre e troni simili a quelli dei faraoni e dei re, e sono sempre invitati ai banchetti di potenti». Davvero queste invettive di Gesù sono più che mai attuali” (E. Bianchi).
La Chiesa “casta meretrix”
La Chiesa è “casta meretrix”, come dicevano i Padri, santa e peccatrice: è santa perché Cristo l’ha “purificata per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola” (Ef 5,26-27): ma in essa c’è “chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro” (1 Cor 5,9-13).
A questa Chiesa Gesù chiede che nessuno in essa si faccia chiamare “Rabbi” (letteralmente: “mio grande”, “Magno”), né “Padre”, né “Maestro” (“katheghetès” riflette il rabbinico “moreh”), perché Gesù è l’unico Signore e “voi siete tutti fratelli” (Mt 23,9-10).
Una delle caratteristiche degli ultimi Papi è la loro costante predicazione contro i peccati della Chiesa. Diceva già Benedetto XVI: “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano… Abbi pietà della tua Chiesa!” (“Via crucis” del Venerdì Santo). “Non possiamo qui non rendere testimonianza a papa Francesco per i suoi richiami e i suoi sforzi in vista di una Chiesa povera, nella quale «i primi», quelli che governano o presiedano, non ricadano nei vizi degli uomini religiosi, che chiedono agli altri di dare gloria a Dio dando gloria proprio a loro, che si pensano suoi rappresentanti” (E. Bianchi).
Radicalità nella sequela
Infine c’è il bellissimo brano della piccola offerta di una povera vedova (vedi Lc 21,14). La vedova è il resto di Israele: la vedova è l’Israele fedele, cui sarà tolto lo Sposo (Mc 2,20) e il Tempio (Lam 1,1), ma che dà a Dio tutto (v. 44: hólon tòn bíon autês; letteralmente: “Tutta la sua vita”). Dai poveri, dagli ultimi, dobbiamo prendere lezione per entrare nel Regno di Dio; e la povertà è condizione indispensabile per dare a Dio “tutta la nostra vita”. Il racconto dell’obolo della vedova non è la parabola del “basta poco”: è la parabola del “dare tutto”, del dare tutta la propria vita. La povertà è ancora una volta la condizione indispensabile per dare a Dio tutta la nostra vita, mentre noi invece che siamo ricchi, che magari diamo a Dio molte cose, in realtà diamo a Dio il superfluo, e non tutta la nostra vita. Dio, amante geloso ed insaziabile, ci indica che ci vuole tutti per sé, e indica la strada della povertà, delle rinunce alle sicurezze economiche, come la via obbligata per seguirlo.
Questa donna è il vero scriba saggio del Nuovo Testamento: essa ha tutto e dà tutto per entrare nel Regno. Al giovane ricco Gesù aveva detto: “Bravo, hai osservato i comandamenti sin dalla nascita; una sola cosa ti manca; va’, vendi tutto” (Mc 10,17-21); precedentemente abbiamo visto il comandamento più grande: anche lì mancava ancora qualche cosa (Mc 12,34). A questa donna invece non manca più niente, è ormai vicina al Regno di Dio, è colei che ha gettato tutto, è colei che ha dato tutta la sua vita per Dio.
I poveri ci evangelizzano
La vedova, nella sua povertà, dà un esempio di radicalità nel dono al Signore. Gesù chiama a sé i discepoli per imitare questa povera donna, per indicarci che è dai poveri, dagli umili, dagli ultimi che dobbiamo prendere lezione per entrare nel Regno dei Cieli.
“E’ stando con i poveri e lasciandoci convertire da loro che si può sentire, nel frastuono del consumismo, dell’arrivismo, della competizione, la voce di Dio che parla nella voce e nella carne degli scartati dalla nostra economia. Dio sta dove nessuno penserebbe di trovarlo: nella passione dei poveri; e in loro e con loro vuole costruire il suo Regno” (A. Agnelli).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.