Vangelo di Domenica 4 Ottobre: Matteo 21, 33-43
XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34 Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35 Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36 Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38 Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39 Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40 Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?”. 41 Gli risposero: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. 42 E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? 43 Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”.
Mt 21, 33-43
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Nell’Antico Testamento è ricorrente l’immagine della vigna o della vite per designare Israele in quanto popolo di Dio, sua proprietà (Is 5,1-7; 27,2-6; Ger 2,21; Sl 80,9…): e tale metafora è ripresa anche dai Vangeli Sinottici (Mt 20,1-16; 21,33-43; Lc 13,6-9). Il Vangelo annuncia che un nuovo popolo, la Chiesa, è chiamato a “portare frutti a suo tempo” (Mt 21,41), fondandosi sul Cristo, “la pietra che i costruttori hanno scartato e che è diventata testata d’angolo” (Mt 21,42).
Ma guai ad insuperbirci nei confronti di Israele: infatti “la salvezza viene dai Giudei” (Gv 4,22)! La Chiesa è infatti radicata in Israele. Innanzitutto perché non tutto Israele ha rifiutato Cristo, ma solo una sua parte: Maria, gli Apostoli, la prima Chiesa infatti, come Gesù, appartenevano al popolo ebreo. Inoltre Paolo, nella lettera ai Romani, in un capitolo, l’undicesimo, che abbiamo troppo spesso trascurato con conseguenze drammatiche nelle relazioni cristiano-ebraiche, ci rivela quale sia il “mistero di Israele” (Rm 11,25) e il suo destino, e quale atteggiamento i cristiani debbano avere verso il popolo eletto.
Paolo ha prima affermato: “Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli” (Rm 9,2-5). “Il dolore di Paolo per Israele è anche il dolore di tutto il mondo cristiano, il quale con vergogna deve riconoscere di aver contribuito con il suo comportamento verso il popolo giudaico a indurirne l’incredulità” (P. Althaus).
Ma poi Paolo annuncia che, quando tutte le genti avranno accettato di far parte della Chiesa, allora anche tutto Israele si convertirà (Rm 11,2.11.25-29). E la conversione di Israele coinciderà con la resurrezione finale (Rm 11,12.15). Se la riprovazione d’Israele è stata la salvezza dei popoli pagani, la loro accettazione da parte di Dio sarà la fine dei tempi, la riconciliazione ultima universale, la salvezza messianica escatologica.
L’atteggiamento della Chiesa verso Israele deve quindi essere innanzitutto di venerazione. Paolo si rivolge ai cristiani che non sono di origine ebraica e li ammonisce a non vantarsi nei confronti dei giudei: la Chiesa proveniente dal paganesimo non ha soppiantato Israele, ma è Israele che ha accolto i pagani in sé e ha concesso loro di partecipare alla sua Promessa. Gli etnico-cristiani sono l’olivastro innestato sull’olivo buono che è Israele: è Israele che regge anche la Chiesa formata da ex-pagani (Rm 11,17-18).
Ci ammonisce il Concilio Ecumenico Vaticano II: “Gli ebrei, a motivo dei Padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento… La Chiesa inoltre, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei…, deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque” (Nostra aetate, n. 4).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.