Vangelo di Domenica 4 agosto: Giovanni 6, 24-35
XVIII Domenica anno B
24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. 25 Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
26 Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28 Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». 29 Gesù rispose: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
30 Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32 Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; 33 il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34 Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35 Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più seteGv 6, 24-35
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Da: C. MIGLIETTA, L’EUCARESTIA SECONDO LA BIBBIA. Itinerario biblico-spirituale, Gribaudi, Milano, 2005, con presentazione di S. E. Mons. Giacomo Lanzetti
Il discorso del “pane dal cielo”
Dopo l’episodio di Gesù che cammina sulle acque (Gv 6,16-21), inizia il famoso discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,22-66). Questo brano suggerisce precisi riferimenti all’Esodo: la mormorazione contro Mosè nel deserto (Es 16,2-3; 17,2; Nm 14,1-2…), il sangue dell’agnello (Es 12,1-14), la manna (Es 16,4-36); inoltre il testo va compreso alla luce della convinzione giudaica del ritorno messianico della manna, e dell’identificazione della manna, nei Libri Sapienziali e nei commenti rabbinici, con la Torah, la Parola di Dio, “Dabar- Lògos”.
Gesù è il vero Pane offerto al Padre (Nm 15,17-21; Gv 6, 25; 8,28; 12,32), è l’offerta definitiva che ci riconcilia con Dio (1 Gv 2,2).
Gesù è il Pane che non perisce, perchè confermato da Dio con “il sigillo” (Gv 6,27) dello Spirito: a questo mondo che cerca mille pani, viene ribadito che c’è “un pane solo” (Mc 8,14), “il pane dal cielo, quello vero…, colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,32-33).
Gesù, il Pane, è il grande Segno (Gv 6,30) dato dal Padre: ai giudei che, come noi, polemicamente chiedono prodigi per credere (“Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?”: Gv 6,30; cfr 1 Cor 1,21-24), viene offerto il miracolo di un Dio che si dona totalmente, che si fa spezzare, che si fa mangiare, si fa “pane della vita, per non avere più fame e non avere più sete” in eterno (Gv 6,35)!
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L’Eucarestia “mimo” profetico
Farsi mangiare dagli uomini
Quando Gesù istituisce l’Eucarestia, opera anzitutto un mimo profetico. Quanto compie nell’ultima cena è “l’ultima parabola di Gesù” (J. Jeremias). Porgendo il pane, dice: “Questo è il mio corpo dato per voi”; offrendo il calice: “Questo è il mio sangue, versato per voi” (Lc 22,19-20): il primo significato di questa azione è che egli si è donato totalmente agli uomini, che la sua vita è stata oblazione piena per la vita dei fratelli, che si è interamente consumato per essi, e che egli è diventato, offrendosi per loro come il pane e il vino, il loro sostegno e la loro sopravvivenza. “Distribuendo il pane, Gesù manifesta con le parole che «si dà per». Facendo circolare il calice, dichiara che «versa il suo sangue». I due gesti di Gesù ne ricevono un valore simbolico: il dono della propria persona a vantaggio dei discepoli, che giunge fino allo spargimento del sangue” (X. Léon-Dufour). “Davanti ai suoi discepoli Gesù fa un mimo della sua morte, rappresentandola davanti a loro; è l’atteggiamento di un profeta e di un martire che porta la missione fino al suo compimento, dando alla sua propria morte un significato di amore e di servizio” (A. Marchadour).
La volontarietà del dono
Due sono le sottolineature che Gesù vuole dare al suo gesto. La prima è l’assoluta volontarietà del suo donarsi: il suo farsi uomo fino alla morte non è dato dall’ineluttabilità del caso, ma è sua libera scelta d’amore: “La mia vita, nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla” (Gv 10,18); “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!” (Gv 12,27). Gli evangelisti sapevano che “il Padre gli aveva dato tutto nelle mani” (Gv 13,3), e apposta rimarcano che Gesù prevede il tradimento di Giuda. Tutti i racconti di istituzione eucaristica sono sotto il segno di questa consapevolezza di Gesù: “In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà” (Mc 14,18); “La mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola” (Lc 22,21); “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà” (Mt 26,23; cfr Gv 13,26). Gesù accetta quindi volontariamente fino in fondo la sua condivisione con l’uomo: non si tira indietro, non fugge. Deliberatamente si offre. “Per questo nell’Ultima Cena <<se dat suis manibus>>: la sua Passione sarà il Corpo dato e il Sangue versato da lui” (A. Bozzolo).
La totalità del dono
Il secondo aspetto del mimo profetico è l’assoluta totalità del suo donarsi: Cristo, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1), fino al supremo compimento dell’amore, che è dare la vita per coloro che si amano (cfr Gv 15,13): il pane mangiato e il vino bevuto sono il segno di questo “consumarsi” per i suoi, farsi tutto per essi.
Il comando di imitare Gesù
Due comandi accompagnano l’azione profetica: il primo è: “Prendete, mangiate…; bevete” (Mc 14,22; Mt 26,26.28): i discepoli non sono solo oggetto passivo di questa autodonazione del Cristo, ma sono invitati a prenderne parte attiva, a partecipare al suo amore, ad accettare la sua vita come dono, a riempirsi consapevolmente e responsabilmente di lui. Da questo nasce il secondo comando: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1 Cor 11,24): Gesù ordina che anche i suoi discepoli si facciano pane e bevanda per gli altri, divengano cibo per tutti, si lascino “mangiare” dai fratelli.
L’importanza del mimo eucaristico
Nella lettura biblica del mimo il primo significato è quindi l’invito al dono totale agli altri, sull’esempio del Maestro. Gli altri significati (la presenza reale di Cristo, il sacrificio della Nuova Alleanza, un segno escatologico…), ci sono certamente, ma sono a questo secondari e da questo traggono luce e comprensione.
Si noti che, nel mimo eucaristico, “il momento centrale è dato non dai due elementi significativi del corpo e del sangue, bensì dal dono che Dio fa di Gesù e che si compie nella sua morte violenta («il mio sangue versato»)… Vuol dire che i discepoli divengono partecipi dell’autodonazione di Gesù nel momento stesso in cui ricevono il pane… La cena del Signore è dunque un’azione – segno, profetica, cioè vera, e non solo simbolica: nel porgere il pane spezzato e il vino rosso, si verifica e si comunica la realtà indicata con l’azione – segno, la partecipazione dei discepoli all’atto del donare la vita che Gesù compie donando la propria per i molti” (B. Klappert).
“«Fate questo in memoria di me». Queste parola sono ripetute in ogni celebrazione eucaristica… Si pensa che riguardino solo la formula della consacrazione. Ma Gesù non ci ha mai chiesto di ripetere queste parole. Ci ha chiesto, invece, di fare quello che lui stesso faceva in quel momento. E cioè prepararsi a dare la vita per la salvezza del mondo… Se le nostre celebrazioni eucaristiche in passato non sono state del tutto efficaci per trasformare la vita delle persone, nel rendere i fedeli più impegnati nell’opera di Cristo, forse è perché la gente ha sempre pensato di dovere ricevere anziché dare. Le mani che porgiamo, tuttavia, non sono solo per ricevere il corpo di Cristo, ma anche per darlo agli altri” (P. Bernier).
L’Eucarestia allora diventa per i credenti un programma di vita, la loro logica nell’essere presenti nella compagnia degli uomini, la matrice della loro operosità nelle realtà mondane.
Bisogna avere davvero il coraggio di prendere sul serio l’Eucarestia, e di non celebrarla quando le nostre scelte politiche non hanno privilegiato i poveri nei quali il Cristo si identifica, le nostre scelte sociali non hanno voluto che le nostre Parrocchie o i nostri quartieri diventassero ospitalità per gli stranieri, i migranti, i senzatetto, se non abbiamo almeno cercato di fare della nostra vita un dono a servizio dei fratelli.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.