Vangelo di Domenica 30 giugno: Marco 5, 21-43
XIII Domenica anno B
“21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. 30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. 31I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?””. 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. 35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare”.
Mc 5, 21-43
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
LA GUARIGIONE DELL’EMORROISSA E DELLA FIGLIA DI GIAIRO (Mc 5,21-43)
Due miracoli disposti “a sandwich”
La guarigione dell’emorroissa e la guarigione della figlia di Giairo sono gli ultimi miracoli del “libretto dei miracoli” (Mc 4,35-6,6).
Secondo lo stile di Marco sono due racconti disposti “a sandwich”, cioè si comincia a raccontare un miracolo, si mette un pezzo dell’altro miracolo, poi la conclusione del primo miracolo, e poi la conclusione del secondo miracolo.
Che cosa lega questi due miracoli?
1. Tutti due i miracoli avvengono per contatto fisico. L’emorroissa vede cessare le sue perdite come tocca Gesù, la bimba morta viene risanata e portata in vita perché Gesù la prende per le mani e le dice: “Bambina, alzati!”.
2. L’ emorroissa è malata da dodici anni, la figlia di Giairo ha dodici anni. Dodici è il doppio di 6, che, nella cabala ebraica, è il numero della precarietà, della debolezza, è il numero del limite, è il numero della piccolezza creaturale nella vita degli uomini, della loro imperfezione: infatti è 7, il numero della pienezza, meno 1. Sia la povera emorroissa che la più che benestante figlia del capo della sinagoga, grande autorità in quei tempi, entrambe sono “dodici”, cioè piccole e fragili.
Il testo
Arriva una donna che aveva sentito parlare di Gesù e aveva pensato: “Se io riesco anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. Con questa idea si mise in mezzo alla folla, dietro a Gesù, per toccare il suo mantello. Nelle storie dei miracoli il toccare può essere riferito sia al taumaturgo (5,41) che al malato. Il secondo gesto è preferito da Marco nei sommari, dove apprendiamo che intere schiere di malati si gettavano su Gesù per toccarlo, o che la gente gli portava i suoi malati con la richiesta di poterlo toccare (3,10; 6,56). I due gesti presuppongono l’idea che il taumaturgo sia pieno di una forza che guarisce. La donna compie questo gesto nella fiducia di avere salvezza da Gesù.
La Legge affermava che una donna che avesse perdite di sangue era impura (Lv 15,19-30). Ma Gesù si lascia toccare da “una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia” (Mc 5,25). “E non solo si lascia toccare di nascosto, come aveva tentato di fare la donna, ma chiede ad alta voce: «Chi mi ha toccato?»; e così proclama a tutti che lui si è lasciato toccare da questa donna e non gli importa nulla dell’impurità legale” (G. Ferretti). “Sia la donna che Gesù disattendono la Legge e diventano «impuri» pur di accedere alla libertà dalla malattia. La vita precede sempre il rito e questo è solo il segno della gratuità di quella” (P. Farinella). Questa donna è una grande credente, perché sa che tutto ciò che Dio tocca è puro e santificato: quindi questa è una dimostrazione della sua Fede.
In questo brano il verbo “toccare” è detto quattro volte. “Toccare” esprime materialmente che cosa è la fede. La fede è toccare Gesù, la fede è avere un contatto personale con Gesù: toccando Gesù riceviamo un dono che ci guarisce e ci fa rinascere. Gesù elogia questa donna e la chiama “figlia”, e proclama che è la fede che dà salvezza: è perché si è attaccata a lui, è perché lo ha toccato che è salvata (si usa il verbo sozèiv, che significa sia “guarire” che “salvare”), e Gesù le dona quindi la “shalom” messianica: “Va’ in pace”.
Nel secondo episodio, Gesù non dà importanza alle parole dei messaggeri della casa di Giairo che gli dicono di non disturbare più il maestro perché la figlia è morta e dice a Giairo: “Non temere, soltanto continua ad aver fiducia”. E’ un’esaltazione della perseveranza folle nella fede, contro l’evidenza, contro ogni speranza anche di fronte alla morte: anche di fronte al crollo definitivo e completo siamo invitati a non temere. Il credente è l’uomo della speranza sempre, ad ogni costo, dell’ottimismo in ogni circostanza. Tristezza, pessimismo sono “apistia”, mancanza di fede.
Gesù chiama con Sé quelli che saranno i testimoni privilegiati, sia alla trasfigurazione che al Getzemani: Pietro, Giacomo e Giovanni. Pietro, la roccia, il primo papa della Chiesa; Giacomo il primo Apostolo martire; Giovanni il cantore dell’amore di Dio.
Gesù prende per mano la bambina e le dice: “Talita Kum”, “Fanciulla, alzati”. Ancora un contatto fisico dolce e tenero, prendere per mano. E’ la mano di Dio, tema sviluppato tantissimo nell’Antico Testamento: “Io, IHWH, ti tengo per la destra” (Is 41,10).
“Talita Kum”: parole in aramaico un po’ strane per noi, ma forse sono un’espressione liturgica che veniva proclamata nell’assemblea. Vengono usati due verbi, “egheiro” ed “anastazo” (“alzati” e “risorgi”), che sono tipicamente pasquali. Gli astanti pregustano la vittoria di Gesù sulla morte, vittoria cui tutti noi parteciperemo: nel contatto fisico con Cristo anche a noi sarà detto: “Alzati”, “Risorgi”, che sono i verbi della risurrezione.
Il gran finale: Gesù raccomandò a loro che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare. Qui ci sono due significati:
1. la tenerezza, la delicatezza di Gesù, che pensa alla vita biologica di questa bimba: “Datele un panino!”.
2. C’è un annuncio della sezione successiva del Vangelo: la sezione del pane. Inoltre abbiamo una rivelazione sul senso profondo della Liturgia. Il cristiano che è morto e risuscitato per mezzo del Battesimo, mangi il pane di vita: chi ne gusterà non vedrà più la morte. Questa bambina era morta, risorge, e adesso mangia il pane. Noi, nel Battesimo, moriamo al peccato, risorgiamo con Cristo e poi in tutta la nostra vita mangiamo il Pane degli Angeli, la carne stessa di Cristo, per non vedere mai più la morte. I Sacramenti della Chiesa sono il modo in cui Dio ci tocca e ci salva.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.