
Vangelo di Domenica 27 Settembre: Matteo 21, 28-32
XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO
28“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontĂ del padre?”. Risposero: “Il primo”. E GesĂą disse loro: “In veritĂ io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”.
Mt 21, 28-32
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
La parabola dei due figli (21,28-32), che si trova soltanto in Matteo, è la prima di tre parabole che hanno lo stesso tema di base: l’accoglienza e il rifiuto del Regno. Il primo fratello incarna gli osservanti farisei, che sono ubbidienti a parole ma non nei fatti, il secondo, invece, incarna i peccatori che si convertono ascoltando il monito della parola di Dio. Da una parte, quindi, i capi giudaici, dall’altra le classi disprezzate dei pubblicani e delle prostitute. Questi ultimi seguono la via che Giovanni indica per essere giusti: il pentimento; i giudei, invece, professano ma non compiono, osservano la legge non le opere della fede. La vita secondo la legge va completata con il pentimento proclamato da Giovanni e da Gesù, come condizione necessaria per entrare nel Regno.
Nella sua forma attuale la parabola riflette indubbiamente la fede dei pagani contrapposta alla miscredenza dei giudei. Anche oggi, a volte, i peccatori si mostrano piĂą disponibili dei praticanti.
Il Vangelo odierno ci invita a a prendere sul serio la nostra fede. Non basta appartenere alla Chiesa, frequentare le sue liturgie, partecipare ai suoi sacramenti, per sentirsi “a posto”. Ciò che conta è la nostra ortoprassi, la personale obbedienza concreta al Signore (Ez 18,25-28). Il Vangelo annuncia addirittura che prostitute e peccatori precederanno nel Regno dei cieli tanti che si ritenevano “giusti” per appartenenza sociale o ecclesiale (Mt 21,28-31). Non basta quindi una religiositĂ esteriore, meramente cultuale: “Allora comincerete a dire: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Ma egli dichiarerĂ : «Vi dico che non so di dove siete»“ (Lc 13,22-30); “Non chiunque mi dice: «Signore, Signore!», entrerĂ nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontĂ del Padre mio… Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, non abbiamo noi profetato… e cacciato demòni… e compiuto molti miracoli nel tuo nome?». Io però dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità »“ (Mt 7,12-23).
Come esorterĂ Giovanni: “Non amiamo a parole nĂ© con la lingua, ma con i fatti e nella verità ” (1 Gv 3,18). GesĂą afferma a proposito della peccatrice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poichĂ© ha molto amato” (Lc 7,47). Infatti, dirĂ Pietro, “la caritĂ copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Anzi, secondo la parola del Signore, tanti si salveranno solo perchĂ© avranno aiutato i poveri anche senza conoscere il Cristo: “Ogni volta che avete fatto una di queste cose a uno solo di questi miei fratelli piĂą piccoli, l’avete fatta a me” (Mt 25,40). Così come non avranno accesso alla salvezza molti che, pur non conoscendolo, non lo avranno servito nei bisognosi e nei sofferenti (Mt 25,44-46).
Anche l’Eucarestia può essere occasione di ipocrisia, illusione di salvezza (1 Cor 11,29). Si pensi a quante Messe sono celebrate per notabili di cosche mafiose, o per battaglioni militari impegnati nella repressione di popoli indigeni, di minoranze, o responsabili di violenze, o per operatori economici che con le loro scelte determinano la morte per fame o per malattie curabili di tanti poveri nel mondo; o per noi che rifiutiamo di convertirci davvero… L’Eucarestia è sempre qualcosa di estremamente serio e impegnativo: celebrarla non è un mero rituale che scarica la coscienza: è farsi uno con Cristo, per poi uscire nel mondo e diventare come lui dono totale, disposti a sacrificare la vita per amore. “La cena del Signore è il centro, il cuore del grande mistero della presenza di Cristo in ogni tempo… Se si resta alla superficie, al margine di questo modo di manifestarsi, di essere presente del Figlio di Dio; se ci si limita a una consumazione formale o rituale di ciò che la cena del Signore offre; se si esaurisce il contatto con questa immensa realtà in un’esperienza intimistica e sentimentale; se celebrare l’Eucarestia non spacca le resistenze personali, le categorie mentali e sociali, non apre ad un’autentica esperienza interiore ed ecclesiale di convivialità intorno a Cristo, vuole dire che la fede non identifica, non matura la personalità secondo l’immagine di Dio in noi che deve rivelarsi, non instaura vera universalità , di misericordia, di tenerezza, di grazia, di pacificante gratuità . Anzi l’ipocrisia ci divide, ci maschera; non abbiamo la veste giusta” (D. M. Turoldo).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.