Vangelo di domenica 27 ottobre: Marco 10, 46-52
XXX Domenica anno B
46 E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47 Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48 Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
49 Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». 50 Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51 Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». 52 E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.
Mc 10, 46-52
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
(vedi Mt 20,29-34; Lc 18,35-43)
Come la guarigione del cieco di Betsaida precedeva la confessione di Pietro, così la guarigione del cieco di Gerico precede la proclamazione di Gesù come Re-Messia da parte delle folle di Gerusalemme.
Il miracolo della guarigione del cieco di Gerico è carico di valenze simboliche. Innanzitutto l’episodio si svolge nella città dove si concluse il cammino di liberazione dalla schiavitù d’Egitto alla terra promessa, fortezza inespugnabile che solo un prodigio di Dio (Gs 6) riuscì a fare cadere nelle mani degli israeliti. E la cecità, che fa vivere l’uomo nelle tenebre, è un’infermità reale e allegorica.
Gesù luce del mondo
Nella Bibbia Dio è luce. Il salmista prega: “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto” (Sl 4,7). Isaia dice che Dio “farà camminare i ciechi per vie che non conoscono…, trasformerà davanti a loro le tenebre in luce” (Is 42,16); “Colui che cammina nelle tenebre, senza avere luce, speri nel nome del Signore, si appoggi al suo Dio” (Is 50,10). La grande promessa dei profeti era l’arrivo del Messia che avrebbe illuminato la tenebre: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1); all’arrivo del Cristo “il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore” (Is 60,19).
Gesù è annunciato da Simeone nel tempio come “luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,32). Giovanni afferma di lui: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). E Gesù dice di sé: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12; cfr 12,46). Presentandosi nella sinagoga di Nazaret, Gesù afferma di essere venuto “per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18). Al Battista che gli chiede se sia lui il Messia, Gesù fa rispondere: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista” (Lc 7,22). E alla fine dei tempi “Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà” (Ap 22,5).
La Fede è illuminazione
Paolo, nelle tenebre della cecità, ritroverà la luce solo dopo che Anania gli avrà imposto le mani, conferendogli lo Spirito santo (At 9,1-19). La prima Chiesa chiamerà spesso il battesimo “illuminazione”.
Nella guarigione del cieco di Gerico è simboleggiato il cammino di fede di ogni uomo: senza la luce di Dio, ciascuno di noi si trova in situazione disperata, “cieco, seduto presso la via, mendicando” (Mc 11,46). Il cieco è seduto: non ha la capacità di stare in piedi. Non è nemmeno sulla strada, ma fuori della via: non è coinvolto nel movimento che porta a Gerusalemme, la città santa. Non è autosufficiente: sta mendicando. E’ la situazione del nostro mondo, inchiodato dai suoi problemi, incapace di trovare un senso alla vita, attanagliato dal buio dell’angoscia e della paura, oppresso dalla miseria e dalla morte; e tutti mendichiamo alla vita una qualche sopravvivenza, stordendoci nel divertimento, nella corsa al denaro, al piacere, al potere, alienandoci in mille frivolezze: ma alla fine ci ritroviamo soli, al margine della strada, nelle tenebre…
Il cammino della Fede
Per fortuna “Gesù passa di là” (Mc 11,47): è Dio che prende l’iniziativa, che viene incontro alla nostra miseria, che scende dai suoi cieli a soccorrerci. Dio ode il disperato grido di aiuto dell’uomo e interviene a liberarlo, anche se questi ne intuisce soltanto la presenza.
Notiamo che le folle che “transitano” con Gesù cercano di dissuadere il cieco dal ricorrere a lui, anzi “lo rimproveravano perché tacesse” (v. 43): Dio non c’è, e se c’è non può sentirti, è inutile ricorrere a lui… Sono folle che stanno attorno a Gesù, ma che forse non lo seguono: solo il cieco guarito si metterà alla sequela. Sono i tanti cristiani che vogliono seguire il Signore a modo loro, senza essere disturbati dai poveri, dagli emarginati, dagli oppressi di tutto il mondo che gridano il proprio dolore e la propria rabbia. Sono il prototipo di una Chiesa che è spesso… atea, che non crede alla potenza di Dio, alla sua possibilità di fare miracoli.
A questa folla il cieco dà un grande esempio di vera fede. Innanzitutto si mette in ascolto della Parola: “Avendo udito” (v. 47). Il primo passo della Fede è l’ascolto. Paolo parlerà dell’“upakoè pìsteos” (Rm 1,5), dell’“obbedienza della fede”, cioè quella fede che si identifica con l’obbedienza. Il greco “upakoè” (da “up”, “sotto” e “akoùo”, “ascolto”), così come il latino “ob-audire” (“ob”, “verso”; “audire”, “sentire”) e l’italiano “udire-obbedire”, richiama l’ascolto. Ascoltare è l’atteggiamento attivo della persona (Es 33,11; 1 Sam 3,9; Is 8,9) e del popolo (“Shemà”: Dt 5,1; 6,4; 9,1) dinanzi a Dio che si rivela. “La fede dipende dall’ascolto («akoè»)” (Rm 10,17).
L’annuncio che il cieco riceve è che “Gesù, il Nazareno, c’era (“estìn”)” (v. 47). Solo il Gesù storico, il povero falegname che veniva dall’infima Nazaret (Gv 1,46), colui che morirà crocifisso come un malfattore, è la salvezza unica dell’uomo, la risposta definitiva di Dio, la luce che squarcia le nostre tenebre.
Ma è poi necessaria la perseveranza, l’insistenza nella ricerca del Signore, senza lasciarci scoraggiare (“Ma egli gridava più forte”: v. 48). E occorre cercare un rapporto personale, diretto, fiduciario con Dio: il cieco chiama Gesù per nome: e “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato… In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 2,21-4,12).
Il cieco chiede a Gesù il suo amore: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. E’ la stupenda “preghiera del cuore” che nell’ortodossia diventerà il dolce mantra che, ripetuto ritmato al respiro, diventerà la “preghiera del cuore” di tanti Santi.
È un titolo messianico che compare 19 volte nei sinottici, mai in Giovanni, e che connota un messianismo glorioso regale. È l’unica volta che tale è accennato nel Vangelo di Marco. Ma ormai i tempi sono compiuti: il Figlio dell’uomo sta per soffrire, sarà consegnato, ma è il Figlio di Davide, il Messia glorioso, che verrà, come dice il capitolo prossimo, a giudicare tutte le nazioni. Per capire questo mistero del figlio di Davide che sta per essere consegnato e che sta per morire in croce, bisogna che Dio faccia per noi discepoli alcune cose.
Primo: che ci apra gli occhi.
Secondo: che noi ci alziamo, cioè che risorgiamo interiormente: il verbo in ebraico indica la risurrezione. Dobbiamo passare da una realtà di morte ad una realtà di vita.
Terzo: bisogna gettare via il mantello. C’è nella Bibbia tutta una teologia del vestito: quando si parla di abiti, che sempre dietro un simbolismo molto importante. Il mantello è segno della dignità dell’uomo, è segno della potenza dell’uomo: ecco perché il massimo sfregio di Gesù sarà la spogliazione delle sue vesti che verranno tratte a sorte: è Dio che ha rinunciato ad ogni potenza, ad ogni dignità. L’uomo che vuol capire il mistero di Cristo non deve solo aprire gli occhi, non deve solo alzarsi in piedi, ma deve buttare via i suoi simboli di potenza, di dignità, riconoscersi nudo di fronte Signore, e avere fede in lui solo.
E Gesù “si ferma” (v. 49) accanto all’uomo; non lo chiama però direttamente, ma per il tramite della Chiesa (“Chiamatelo qua”: v. 49): la Chiesa ha il compito di portare un annuncio di salvezza che non è suo, ma che le è stato affidato. La Chiesa non dovrebbe mai allontanare gli uomini da Dio, ma sempre portare a lui tutti i malati, i sofferenti, i peccatori, quanti sono “nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1,79). La Chiesa deve essere speranza e liberazione per tutti gli uomini, nessuno escluso.
Gesù chiede al cieco: “Che vuoi che io ti faccia?” (v. 51). E’ la stessa domanda che aveva fatto a Giacomo e Giovanni: là gli Apostoli gli chiedono il potere e la gloria, e Gesù risponde loro: “Voi non sapete ciò che domandate” (Mc 10,36-40). Qui il cieco chiede l’illuminazione, e viene esaudito: “Ana-blèpho”, che traduciamo in genere: “Che io veda”, significa letteralmente: “Che io guardi in alto”, e ha probabilmente anche valenze teologiche, esprime una ricerca che va al di là della semplice vista fisica.
Gesù gli risponde: “La tua fede ti ha salvato” (v. 52). Notiamo che Gesù non ha mai detto a nessuno: “Io ti ho salvato”, bensì: “La tua fede ti ha salvato” (cfr Lc 7,50; 17,19; Mc 5,34; 10,52…); “Va’, e sia fatto secondo la tua fede” (Mt 8,13); “Davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (Mt 15,28). Gesù è il vero Educatore”: “e-ducare” vuol dire infatti tirare fuori”, “far affiorare” dall’altro. “Nel rispondere a chi incontrava, Gesù cercava la fede presente nell’altro, come se volesse risvegliare e far emergere la sua fede. Egli sapeva infatti che la fede è un atto personale, che ciascuno deve compiere in libertà: nessuno può credere al posto di un altro! Gesù sapeva che a volte negli uomini c’è l’assenza di fede, atteggiamento che lo stupiva e lo rendeva impotente a operare in loro favore (cfr Mc 6,6); era anche consapevole che ci può essere una fede non affidabile nel suo Nome, suscitata dal suo compiere segni, miracoli, come annota il quarto vangelo: «Molti, vedendo i segni che faceva, mettevano fede nel suo Nome; ma Gesù non metteva fede in loro» (Gv 2,23-24), perché l’uomo diventa rapidamente religioso, ma è lento a credere… Gesù cercava invece in chi incontrava la fede autentica, e quando essa era presente poteva dire: «La tua fede ti ha salvato»” (E. Bianchi).
Il cieco guarito “si mise a seguire Gesù lungo la via” (v. 52): l’uomo che sperimenta la salvezza e la liberazione, l’uomo che trova in Gesù il senso del suo vivere e anche del suo morire, diventa il seguace, il discepolo, che fa della sua vita una lode al Signore e alla sua bontà. Solo chi ha gustato la dolcezza del Signore può diventare suo apostolo e testimone. Tante volte il nostro slancio missionario è scarso perché abbiamo fatto poca esperienza della sua salvezza, non ci siamo lasciati entusiasmare da Dio, non fremiamo di gioia per lui.
Noi ciechi siamo quindi chiamati prima a sperimentare che solo Gesù è la luce che vince la tenebra. Che anche noi poi sappiamo seguirlo “subito” (“parakrèma”: Lc 18,43), con prontezza ed entusiasmo come il miracolato di Gerico, per non meritare la condanna di quanti “hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3,18-21)!
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.