Vangelo di Domenica 27 Dicembre: Luca 2, 25-38
SIMEONE ED ANNA
25Ed ecco a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; 26lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. 27Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, 28lo prese tra le braccia e benedisse Dio: 29«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; 30perché i miei occhi han visto la tua salvezza, 31preparata da te davanti a tutti i popoli, 32luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». 33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.34Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. 35E anche a te una spada trafiggerà l’anima». 36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. 37Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Lc 2, 25-38
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Da: C. MIGLIETTA, INVECCHIARE SECONDO DIO. Manuale per una vecchiaia beata: anzianità, morte, resurrezione, vita eterna. Gribaudi, Milano, settembre 2020.
Dobbiamo soffermarci sulle figure di Simeone ed Anna, perché il Nuovo Testamento le propone proprio come modello dell’anziano credente.
“Ed ecco a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone”: il testo inizia con quel “Ed ecco” (idoù) che spesso nel Vangelo di Luca introduce una rivelazione, un intervento straordinario di Dio.
Il nome Simeone richiama all’ascolto: Sim’on in ebraico significa “Colui che ascolta”. Simeone è un uomo d’ascolto, che si macera nella meditazione della Sacra Scrittura, da lui richiamata due volte: “Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio” (Is 52,10), e: “Io ti renderò luce delle genti perché tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49,6). È un uomo aduso alla lettura della Bibbia che egli sa attualizzare nella sua vita, comprendendo che lui stesso sta assaporando la salvezza del Signore nella fragile carne di quel neonato presentato al Tempio.
È un uomo abitato dallo Spirito Santo: per tre volte si parla dell’azione dello Spirito di lui: “Lo spirito Santo era su di lui” (Lc 2,25); “Lo Spirito Santo gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Messia” (Lc 2,26); “Mosso dunque dallo Spirito si recò al Tempio” (Lc 2,27). Simeone è un uomo che ha approfondito la Scrittura, e quindi si è lasciato riempire dallo Spirito Santo, ed è diventato un profeta.
È un uomo che pur nell’età anziana continua a sperare, ad attendere: “Egli attendeva la consolazione d’Israele” (Lc 2,25). “Domandiamoci se dentro di noi c’è l’attesa della salvezza, il desiderio di vedere la gloria del suo popolo e la luce delle genti” (C. M. Martini[1]).
Simeone non è un uomo rinchiuso in se stesso, ripiegato sul proprio passato: è aperto al futuro. È capace di meraviglia, di stupore. Non è un uomo stanco e amareggiato dalla vita, geloso del passato, diffidente, pauroso: è persona aperta al nuovo, capace di sognare, proiettato nel futuro. “Non è facile che il vecchio che è in noi accolga il bambino, il nuovo… Il vecchio Simeone che abbraccia un bambino… rappresenta ciascuno di noi di fronte alla novità di Dio. Questa novità entrerà davvero nella nostra vita o piuttosto tenteremo di mettere insieme vecchio e nuovo cercando di lasciarci disturbare il meno possibile dalla presenza della novità di Dio?” (C. M. Martini[2]).
Simeone è anche un uomo accogliente, capace di tenerezza, che prende dolcemente fra le braccia quel piccolo bambino. È sì un uomo debole, ma la sua debolezza, grazie alla sua maturazione spirituale, è diventata mitezza e umiltà. “Simeone dice: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). Vede il Bambino e vede la salvezza. Non vede il Messia che compie prodigi, ma un piccolo bimbo. Non vede qualcosa di straordinario, ma Gesù coi genitori, che portano al tempio due tortore o due colombi, cioè l’offerta più umile[3]. Simeone vede la semplicità di Dio e accoglie la sua presenza. Non cerca altro, non chiede e non vuole di più, gli basta vedere il Bambino e prenderlo tra le braccia: “Nunc dimittis, ora puoi lasciarmi andare” (Lc 2,29). Gli basta Dio com’è. In Lui trova il senso ultimo della vita” (Papa Francesco[4]).
“Maria porta l’Atteso e lo mette nelle braccia dell’anziano Simeone. Il dono è reciproco: Lei dà la Promessa e colma il cuore del Vegliardo, lo consola della lunga attesa, di quel cumulo di sofferenza che ogni cuore israelita porta per preparare la strada al Messia che viene. Lui benedice il Signore, il Bambino e la Madre con quella benedizione con cui Dio ha benedetto Abramo e nel suo nome tutta la sua discendenza. Un’antica antifona liturgica della festa della Presentazione al tempio canta: «Il vecchio portava il Bambino, ma il Bambino dirigeva l’anziano». L’incontro delle generazioni trova la sua piena realizzazione in questo servizio reciproco. Il dono, l’affetto, l’aiuto non vengono solo da una parte, come neppure il futuro, la forza, la vita appartengono a una sola generazione. Il Bambino dava senso alla lunga vita già vissuta di Simeone e una luce su quello che lo aspettava, una direzione, uno scopo; Egli lo illuminava facendogli comprendere in profondità ciò che durante tutta la sua vita aveva ricevuto: la speranza di vedere il Messia. Nello stesso tempo davanti a un bambino Simeone ha dovuto cambiare lo sguardo della sua attesa: il Messia non si presentava come lo aveva aspettato Israele, un potente liberatore. Era una creatura fragile che poteva essere deposta sulle sue braccia, che si appoggiava a lui, che quasi dipendeva da lui, dalla sua attenzione e dalla sua cura… Maria e Giuseppe non sono stati spettatori passivi. Nella relazione nonni-nipoti i genitori hanno un grandissimo ruolo. Anch’essi portano e sono guidati” (C. Faletti[5]).
Simeone soprattutto è un uomo che prega. Pur sentendosi vicino alla morte, non è un uomo che si rammarica con Dio per il decadimento presente, ma è capace di ringraziamento, di lode, di benedizione. Luca gli mette sulle labbra un meraviglioso inno, il “Nunc dimittis”. A ben vedere, Simeone non sta chiedendo qualcosa: “Ora lascia”: il verbo àpolùeis significa infatti: “Ora tu stai sciogliendo i miei legami”. Simeone afferma che il Signore gli ha fatto toccare il culmine della pienezza nella contemplazione di quel bambino che ha tra le braccia, e quindi “sta sciogliendo il suo servo”: àpolùo è il verbo che indica liberare, sciogliere, e l’apolutròsis è la redenzione, il riscatto, la salvezza[6]. L’esperienza di Dio che egli fa in quel neonato è per lui liberazione verso la pace, è la pienezza e il compimento della sua vita.
“Ora”: “Ora, adesso, in questo momento. Ciò che ora viviamo è il punto di partenza di ogni nostra preghiera… Ora, adesso, in questo momento, Dio si vuole manifestare nella nostra vita, malgrado tutto, proprio attraverso le oscurità che solcano la nostra esperienza” (C. M. Martini[7]).
E proprio perché Simeone sta sperimentando in totalità il Dio che viene, il “Nunc dimittis” è anche la preghiera di un anziano che si prepara serenamente a morire. Simeone sfida apertamente i tabù dell’uomo moderno, che rifiuta il concetto di invecchiamento e che cerca di rimuovere il pensiero della morte. Simeone si rivolge al Signore che definisce “Padrone” della sua vita, in greco despòtes. E riconosce di avere vissuto una vita piena, in cui ha potuto sperimentare fino in fondo la potenza di Dio. Allora prende coscienza che il Signore gli sta dando il permesso di poter partire, di abbandonare il suo servizio a Dio, per entrare nel meritato riposo eterno: àpolùeis significa anche licenziare, congedare, esonerare da un servizio. Simeone non rifugge la morte, ma la pone in continuità con tutta la sua vita, conscio che anche la morte sarà un momento di ulteriore rivelazione di quel Dio che egli ha sempre cercato ed amato e che lo ha accompagnato fin dalla sua nascita. Egli si è sempre fidato di Dio, e si fida di lui anche in questo momento estremo: “secondo la tua Parola (katà to rèma tou)” (Lc 2,29). Come farà Gesù nel suo grande “sì” sulla croce: “Ora Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23,46).
Simeone quindi, definito dalla scrittura “uomo giusto” (Lc 2,25), cioè in profonda intimità con Dio, e “timorato di Dio” (Lc 2,25), cioè umile di fronte al Creatore, è l’esempio perfetto del kalògheros, il “Calogero” della tradizione orientale, cioè l’anziano kalos, bello, realizzato in pieno dalla vita di Fede e di discepolato obbediente[8].
Anche Anna è esempio di un invecchiamento secondo Dio. Non è casuale che Luca dica di lei: “Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Aser” (Lc 2,36). In questi tre nomi di persona è già racchiusa la storia di questa donna: Anna infatti in ebraico significa ”favore”, “grazia”, Fanuel significa “volto di Dio”, “visione di Dio”, o anche “che vede Dio”, Aser significa “felice”, “benedetto”, “beato”. Anna infatti è “graziata” e ha la gioia di “vedere Dio” nel neonato presentato al Tempio, e diventa quindi davvero “beata”. “Aveva ottantaquattro anni” (Lc 2,37), cioè sette, che indica perfezione, per dodici, che esprime un ciclo completo temporale: è davvero giunta alla pienezza della sua esistenza.
Anna è una degli ‘anawìm, dei “poveri” di Dio, perché la vedovanza, in un periodo in cui non c’erano pensioni di reversibilità o altri ammortizzatori sociali, era condizione spesso di miseria, di mancanza di protezione, di grande debolezza. Ma Anna si era rifugiata nel Signore, e aveva affidato a lui la sua esistenza: per tutta la vita era rimasta nel Tempio a pregare e a digiunare. E così era diventato una profetessa, una donna cioè capace di cogliere i segni di Dio nel presente. E comincia a “parlare del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38): da vecchia, è ancor di più evangelizzatrice, missionaria, profetessa. Ha detto di lei Papa Francesco: “La profetessa Anna era una donna molto anziana, che aveva vissuto tanti anni da vedova, ma non era cupa, nostalgica o ripiegata su di sé; al contrario sopraggiunge, loda Dio e parla solo di Lui[9]. A me piace pensare che questa donna «chiacchierava bene», e contro il male del chiacchiericcio questa sarebbe una buona patrona per convertirci, perché andava da una parte all’altra dicendo solamente: «È quello! È quel bambino! Andate a vederlo!». Mi piace vederla così, come una donna di quartiere”[10]; “Anna, «si mise anche lei a lodare Dio» (Lc 2,38) e ad andare ad indicare alla gente Gesù. Questa è una santa chiacchierona, chiacchierava bene, chiacchierava di cose buone, non cose brutte. Diceva, annunciava: una santa che andava da una all’altra donna facendo loro vedere Gesù. Queste figure di credenti sono avvolte dallo stupore, perché si sono lasciate catturare e coinvolgere dagli avvenimenti che accadevano sotto i loro occhi”[11].
A volte i genitori devono tacere per essere accettati dai figli, mentre gli anziani possono parlare con più franchezza: “Con i figli a un certo punto occorre entrare in un certo silenzio, non nella falsità del rinnegamento, ma nella saggia discrezione di chi vuole rispettare la fatica della fede dei giovani. S’impara molto spesso che l’unico accompagnamento spirituale che un genitore può continuare ad offrire è l’incessante preghiera, perché Dio si manifesti nei cuori dei figli e li seduca. In questo campo i nonni hanno maggior libertà di espressione e possono dire cose che i genitori non possono più dire. Non voglio parlare di un discorso moralistico, di una critica amara sul comportamento dei giovani, che neppure i nonni devono permettersi, ma dell’aperta testimonianza della forza della fede, della serenità e della gioia che essa dà, della libertà di fronte agli avvenimenti e la fiducia che permette e genera una pace interiore, che tutti cercano attraverso le agitazioni e le tempeste del mare del quotidiano” (C. Faletti[12]).
Anche Anna e un’anziana “bella”, perché sa vivere la vita “non allontanandosi mai dal Tempio” (Lc 2,37), cioè alla presenza del Signore, realizzando ciò che proclama il Salmo 91: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore: mia roccia, in lui non c’è ingiustizia” (Sl 91,13-16).
Conclude Papa Francesco: “Il Vangelo ci viene incontro con un’immagine molto bella, commovente e incoraggiante. È l’immagine di Simeone e di Anna, dei quali ci parla il Vangelo dell’infanzia di Gesù composto da san Luca. Erano certamente anziani, il «vecchio» Simeone e la «profetessa» Anna, che aveva 84 anni. Non nascondeva l’età questa donna. Il Vangelo dice che aspettavano la venuta di Dio ogni giorno, con grande fedeltà, da lunghi anni. Volevano proprio vederlo quel giorno, coglierne i segni, intuirne l’inizio. Forse erano anche un po’ rassegnati, ormai, a morire prima: quella lunga attesa continuava però a occupare tutta la loro vita, non avevano impegni più importanti di questo: aspettare il Signore e pregare. Ebbene, quando Maria e Giuseppe giunsero al tempio per adempiere le disposizioni della Legge, Simeone e Anna si mossero di slancio, animati dallo Spirito Santo[13]. Il peso dell’età e dell’attesa sparì in un momento. Essi riconobbero il Bambino, e scoprirono una nuova forza, per un nuovo compito: rendere grazie e rendere testimonianza per questo Segno di Dio. Simeone improvvisò un bellissimo inno di giubilo[14] – è stato un poeta in quel momento – e Anna divenne la prima predicatrice di Gesù: «parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc2,38)”[15].
[1] Martini C. M., Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera, Mondadori, Milano, 2009, pg. 35
[2] Martini C. M., Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera, Mondadori, Milano, 2009, pgg. 32-33
[3] Lc 2,24
[4] Papa Francesco, Santa Messa nella Festa della Presentazione del Signore e XXIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 4 febbraio 2019
[5] Faletti C., Simeone e Anna. Due anziani “riusciti”, Pra d’ Mill (CN), http://www.cpm-italia.it/documenti/riflessionebiblicaCesareFalletti.pdf
[6] Rm 3,24
[7] Martini C. M., Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera, Mondadori, Milano, 2009, pg. 32
[8] Manicardi L., Simeone, la vecchiaia e la Fede, Rivista del Clero Italiano, 23 febbraio 2017
[9] Lc 2,38
[10] Papa Francesco, Santa Messa nella Festa della Presentazione del Signore e XXIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 4 febbraio 2019
[11] Papa Francesco, Angelus, 2 febbraio 2020
[12] Faletti C., Simeone e Anna. Due anziani “riusciti”, Pra d’ Mill (CN), http://www.cpm-italia.it/documenti/riflessionebiblicaCesareFalletti.pdf
[13] cfr Lc 2,27
[14] cfr Lc 2,29-32
[15] Papa Francesco, Udienza generale del mercoledì, 11 marzo 2015
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.