Vangelo di Domenica 26 Giugno: Luca 9, 51-62
XIII Domenica C
51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme 52e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Ma Gesù si voltò e li rimproverò. 56E si avviarono verso un altro villaggio. 57Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». 60Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Lc 9, 51-62
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
IL RIFIUTO DEI SAMARITANI (9,51-56)
Luca ha iniziato il racconto della missione pubblica di Gesù in Galilea con il rifiuto degli abitanti di Nazareth (4,16-30). Ora introduce il viaggio verso Gerusalemme ponendo ancora un altro rifiuto: quello dei Samaritani. Sembra che Luca voglia porre tutta l’attività di Gesù sotto il segno del contrasto e del rifiuto.
L’inimicizia fra Giudei e Samaritani era di lunghissima data. Sargon II aveva conquistato Samaria, capitale del Nord nel 722 a. C.. Secondo il costume politico degli Assiri, egli aveva deportato gli abitanti del luogo sostituendoli con popolazioni straniere. I nuovi arrivati, come era costume a quell’epoca, accettarono il Signore, il Dio venerato da Israele, ma nello stesso tempo continuarono ad adorare i loro idoli (2 Re 17,34-41). L’ostilità trova dunque la sua ragione nella diversità di razza e nel sincretismo religioso. Gli avvenimenti successivi non hanno fatto altro che accrescere questa rivalità già esistente. I giudei nel 538 a.C. tornano dall’esilio babilonese e i Samaritani offrirono il loro aiuto per la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, ma Zorobabele, Giosuè e gli altri capi dei Giudei rifiutarono sdegnosamente (Esd 4,3). Infine l’inimicizia fu totale quando i Samaritani costruirono un loro tempio sul monte Garizim nel 325 a. C..
Ma Gesù è salvezza anche dei Samaritani. Chiedendo ai discepoli di preparare la sua venuta in un villaggio di Samaritani, Gesù rompe l’avversione giudaica nei confronti di questo popolo dal sangue misto, che aveva il Pentateuco come Sacra Scrittura, ma il culto locale del Garizim costituiva una sfida permanente per il tempio di Gerusalemme. Qui i Samaritani rifiutano non tanto la persona di Gesù, quanto piuttosto Gerusalemme, conclusione del suo viaggio. E Gesù parlerà bene di Samaritani, come rivelano la parabola del Samaritano (10,25-37) e l’episodio del lebbroso Samaritano che torna a ringraziare Gesù (17,11-19).
Gesù rimprovera i discepoli, che non hanno capito di essere missionari di un Dio di misericordia. I discepoli, invece, vorrebbero il castigo come ai tempi di Elia (2 Re 1,10-14) il quale, per vedere riconosciuta la sua missione di uomo di Dio, aveva fatto scendere il fuoco dal cielo che aveva divorato un centinaio di uomini mandati ad arrestarlo.
Ma Gesù non è venuto per essere il vigoroso riformatore dei costumi atteso dal Battista (3,16-18). E se “rimproverò” i discepoli è perché essi non comprendevano assolutamente nulla della sua missione (annuncio del rifiuto: 9,22) e del suo insegnamento (amore verso i nemici: 6,29). Molti manoscritti qui aggiungono: “Voi non sapete di quale spirito siete, (perché) il Figlio dell’uomo non è venuto per perdere le vite (degli uomini), ma per salvarle” (cfr Lc 19,10).
Gesù non è rifiutato direttamente, ma nei suoi messaggeri, mandati avanti a preparargli un posto. Non è difficile scorgere in questo un’esperienza della Chiesa, che vedeva respinti i propri missionari che annunciavano l’arrivo di Cristo. Il rifiuto è un’esperienza della Chiesa, non solo di Gesù.
Se i cristiani sono fedeli al loro Signore, devono essere pronti, come lui, ad un amore fino al dono della vita: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15,18-19). Se i cristiani sono obbedienti all’Evangelo, saranno perseguitati per causa di Cristo come furono prima perseguitati i profeti, perché “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone” (Mt 10,24).
“Ci sono stati probabilmente più martiri in questo secolo che non nei primi secoli di persecuzione… Ci eravamo forse un po’ abituati a considerare il martirio come un evento dei tempi passati, qualcosa che appartiene ai primi secoli della Chiesa, quello delle grandi persecuzioni degli imperatori romani” (C. M. Martini). Scriveva Giovanni Paolo II: “Al termine del secondo millennio la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri”.
Il martirio è una chiamata per tutti, in modi e forme diverse, ma che ci deve trovare pronti. E non è solo essere uccisi per aver proclamato la nostra fede. E’ martirio essere presi in giro perché credenti, non fare carriera perché si rifiutano i compromessi; è la rinuncia ad abortire di una ragazza-madre, è accettare una maternità frutto di violenza, o rifiutare per sé cure anche importanti che poterebbero nuocere al figlio in gestazione; è martirio, se abbandonati, non risposarsi, restando “eunuchi per il Regno dei cieli” (Mt 19,12), o perdonare il coniuge adultero; o prendersi l’AIDS o la lebbra curando i malati; o essere derisi perché casti, perché si è compartecipato i propri beni con i poveri; è lo stare in ogni caso dalla parte dei piccoli, dei poveri, dei sofferenti… È la logica della croce!
LA RADICALITÀ DELLA SEQUELA (9,57-62)
Al rifiuto dei Samaritani seguono tre parole di Gesù sulla sequela, parole che colpiscono per la loro particolare radicalità.
“Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada»” (9,57): già sappiamo che è la strada verso Gerusalemme, verso la Croce. È questo precisa il “dovunque tu vada”. Gesù ha una meta precisa, dalla quale non si lascia distrarre. “Akoluthèo”, “seguire”, è spesso usato per indicare la scelta dei discepoli (5,1.27). Gesù risponde con un proverbio, per specificare che non sarà una vita semplice e comoda.
Il secondo breve dialogo fra Gesù e l’uomo invitato alla sequela è certamente il più paradossale. Seppellire i propri morti era considerato un dovere essenziale, di fronte al quale anche le pratiche religiose passavano in seconda linea (Lv 21,1-3). Ma per Gesù l’annuncio del Regno viene prima di tutto, senza eccezione, viene anche prima della legge e di ogni realtà più sacra.
Un altro sconosciuto è disposto a seguire Gesù, ma chiede il tempo di salutare quelli di casa: c’è di nuovo quel “prima”. La metafora di Gesù (“Nessuno che ha messo mano all’aratro…”) sta a significare che la sequela non sopporta rinvii, né distrazioni, né uscite di sicurezza. Si è soliti qui fare un confronto con la vocazione di Eliseo (1 Re 19,20). Il paragone sottolinea la radicalità della chiamata di Gesù, per il quale non ci sono “se” o “ma”. Eliseo va prima a salutare i suoi di casa, il discepolo di Gesù no. Seguire Gesù è più che seguire Elia.
Luca non dice quale fu la risposta degli aspiranti discepoli: resta ottimista…
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.