Vangelo di Domenica 23 Ottobre: Luca 18, 9-14
XXX Domenica C
9Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
Lc 18, 9-14
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
La parabola del fariseo e del pubblicano è sempre stata letta come un elogio dell’umiltà, e anche il finale del testo sembra confermare questa interpretazione: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,12-13). Ma a ben guardare questa parabola presenta una tematica più ampia: vi si tratta il tema, proprio della teologia di Paolo, della giustificazione per sola grazia e non per l’osservanza delle opere della Legge. Infatti la premessa è: “Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti” (Lc 18,9): il vero tema è chi è giusto davanti a Dio e chi è peccatore, è come fare per essere “giustificati”.
GIUSTIFICATI PER GRAZIA
“Il concetto paolino di giustificazione si presenta come qualcosa di totalmente nuovo… Al verbo «giustificare» Paolo dà sempre lo stesso significato: «dichiarare giusto»… Il giudizio di Dio, lungi dal riconoscere una realtà già in atto, la crea. Per mezzo del giudizio divino, l’uomo peccatore diventa giusto…. Di conseguenza negli scritti paolini il termine «giustificare», quando ha per soggetto Dio, significa «rendere giusti»” (H. Seebass).
La gratuità di Dio
“Al di sotto dell’antitesi legge-fede, Paolo scopre l’esistenza di due codici contrapposti del vivere umano, il codice del dovuto e il codice del gratuito. Chi fa affidamento sulle proprie osservanze, interpreta il rapporto religioso secondo il principio dell’esatta corrispondenza tra prestazione umana e ricompensa divina; mentre il credente si volge a Dio con mani vuote e aperte a ricevere gratis il dono della salvezza. Dunque giustificazione per la sola fede equivale a giustificazione per grazia, all’antitesi legge/fede corrisponde quella di legge/grazia” (G. Barbaglio). L’apostolo Paolo ci annuncia nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio… per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù” (Rm 3,21-25).
Lo spiega bene la Dichiarazione congiunta luterano-cattolica sulla Dottrina della Giustificazione: “La giustificazione è opera di Dio uno e trino. Il Padre ha inviato il Figlio nel mondo per la salvezza dei peccatori. L’incarnazione, la morte e la resurrezione di Cristo sono il fondamento e il presupposto della giustificazione. Pertanto, la giustificazione significa che Cristo stesso è la nostra giustizia, alla quale partecipiamo, secondo la volontà del Padre, per mezzo dello Spirito Santo. Insieme confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere”.
Scrive Papa Francesco: “L’inizio della salvezza è l’apertura a qualcosa che precede, a un dono originario che afferma la vita e custodisce nell’esistenza. Solo nell’aprirci a quest’origine e nel riconoscerla è possibile essere trasformati, lasciando che la salvezza operi in noi e renda la vita feconda, piena di frutti buoni. La salvezza attraverso la fede consiste nel riconoscere il primato del dono di Dio”.
“Sola fide”
Ha affermato Benedetto XVI: “Essere giusto vuol semplicemente dire essere con Cristo e in Cristo. E questo basta. Non sono più necessarie altre osservanze. Perciò l’espressione «sola fide» di Lutero è vera, se non si oppone la fede alla carità, all’amore. La fede è guardare Cristo, affidarsi a Cristo, attaccarsi a Cristo, conformarsi a Cristo, alla sua vita. E la forma, la vita di Cristo è l’amore; quindi credere è conformarsi a Cristo ed entrare nel suo amore. Perciò san Paolo nella Lettera ai Galati, nella quale soprattutto ha sviluppato la sua dottrina sulla giustificazione, parla della fede che opera per mezzo della carità (cfr Gal 5,14)”.
FEDE E OPERE
Spesso si è letta la lettera di Giacomo come opposizione alla teologia paolina sulla giustificazione. Scrive infatti il “fratello del Signore” (Gal 1,19): “Che giova… se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo…? L’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede… Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Gc 2,14.21-24.26).
Ma Paolo e Giacomo non si contraddicono, bensì si completano, essi che a Gerusalemme si scambiarono “la destra di comunione” (Gal 2,9). A proposito di un’eventuale loro controversia sul ruolo delle opere, ben chiarisce Agostino “Ille (Paolus) dicit de operibus quae fidem praecedunt, iste (Jacob) de iis, quae fidem sequuntur”. Paolo parla delle opere che precedono la giustificazione: non sono esse a salvarci, la redenzione è gratuita e immeritata. Giacomo delle opere che devono seguire la giustificazione, che ne sono il segno, che ne dimostrano l’autenticità. Dice infatti Giacomo: “La fede, se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede ed io ho le opere»; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2,17-20).
Le opere, frutto della Fede
Il vero senso in Giacomo di “opere” è “frutto”: la fede deve produrre frutti, deve essere manifestata in concretezza, deve diventare ortoprassi. Scrive Ravasi: “Le opere giuste sono eliminate? No, esse non sono la causa ultima della nostra salvezza, ma sono il «frutto» necessario che fluisce dalla nostra giustificazione…, il segno dell’autenticità della nostra giustificazione e della nostra fede vera”. Già lo diceva Paolo, quando affermava che essere giustificati significa entrare in una relazione così profonda con Dio da identificarci in lui: (“Non son più io che vivo, ma Cristo vive in me”: Gal 2,20), diventando una nuova creatura: “Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,23-24); “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17; cfr Rm 6,6; Ef 4,22).
Afferma ancora la Dichiarazione congiunta cattolico-protestante sulla Dottrina della giustificazione: “Le buone opere – una vita cristiana nella fede nella speranza e nell’amore – sono la conseguenza della giustificazione e ne rappresentano i frutti. Quando il giustificato vive in Cristo e agisce nella grazia che ha ricevuto, egli dà, secondo un modo di esprimersi biblico, dei buoni frutti. Tale conseguenza della giustificazione è per il cristiano anche un dovere da assolvere, in quanto egli lotta contro il peccato durante tutta la sua vita; per questo motivo Gesù e gli scritti apostolici esortano i cristiani a compiere opere d’amore”.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.