Vangelo di domenica 23 febbraio: VI Domenica C: Luca 6, 27-38

AMARE ANCHE I NEMICI?

27 Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, 28 benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. 29 A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. 30 Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. 31 Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. 32 Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 33 E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35 Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.
36 Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. 37 Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; 38 date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Lc 6, 27-38

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

Il famoso testo del discorso “della montagna” (Mt 5,1) del Vangelo di Matteo o del corrispondente discorso “della pianura” (Lc 6,17) del Vangelo di Luca sta non solo al cuore dei Vangeli ma è fondamentale per la comprensione dello stesso cristianesimo.

Paul Billerbeck, in una sua opera monumentale1, inserisce questo insegnamento di Gesù all’interno della grande tradizione rabbinica, come fa anche Benedetto XVI2. Joachim Jeremias pone le parole di Gesù nell’ambito della riflessione del tardo giudaismo e ne vede tre possibili interpretazioni3. Quella “perfezionistica”, sostenuta anche da Pinchas Lapide4: Gesù chiede ai suoi discepoli la radicale osservanza della Torah. Quella “dell’inattuabilità”, l’interpretazione dell’ortodossia luterana: Gesù vuole rendere consci i suoi ascoltatori della loro incapacità a compiere con le loro forze quanto Dio esige, e quindi a confidare in una salvezza che viene solo da Dio. Quella “escatologica”, che legge nel discorso un insieme di leggi eccezionali, valide in epoca di crisi, nella forma di un incitamento alla tensione estrema delle forze prima della catastrofe.

Invece per il rabbino Jacob Neusner, Gesù rompe completamente con la Torah, pretendendo di porsene al di sopra5. “Secondo il trattato della Mishnah (200 d. C.) chiamato Avot (detti dei Padri dell’ebraismo) si diceva: <<Fate una siepe intorno alla legge>> (1,1). Gesù avrebbe distrutto questa siepe, disponendo della Torah in maniera inaudita e perfino insegnando a violare alcuni dei Comandamenti: il terzo, che impone la santificazione del sabato, il quarto, quello dell’amore verso i genitori, e infine la prescrizione della santità. Gesù pretende di prendere il posto del sabato (cfr Mt 12,8: <<Il Figlio dell’uomo è signore del sabato>>) e dei genitori (cfr Mt 10,37: <<Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me>>) e fa consistere la santità nella sequela di sé: in tal modo egli dissolve ciò che tiene unito Israele in quanto Israele, mettendo in pericolo l’essenziale della fede del popolo dell’alleanza” (B. Forte6).

Dal dovere dell’odio al nemico…

Ma sia che si ponga il discorso della montagna come compimento della tradizione rabbinica, o in opposizione ad essa, c’è in questo sermone di Gesù un punto che tutti sottolineano come di forte rottura con la Legge antica: il comando dell’amore ai nemici7. Tale precetto di Gesù è veramente rivoluzionario.

La Legge prescriveva: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18). In italiano “prossimo” significa ormai solo “gli altri, l’umanità in genere” (N. Zingarelli8). In latino invece “proximus” vuol dire “vicinissimo”, derivando dall’avverbio “prope”, che significa “vicino”, e indica contiguità spaziale. L’equivalente ebraico “re’a” non indica però solo vicinanza oggettiva, ma piuttosto una relazione soggettiva di amicizia e di affinità: significa “amico, compagno, collega”, il vicino sia per razza che per religione.

Gesù afferma: “Avete inteso che fu detto: <<Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico>>” (Mt 5,43). Come nota Ortensio da Spinetoli, “l’odio per i nemici non aveva alcuna codificazione, tanto meno una formulazione così cruda. Esso è nato come una conseguenza del precetto dell’amore del prossimo. Se <<vicini> sono i connazionali, l’amore del <<re’a>> non abbraccia gli altri […], i non ebrei. La frase di Matteo, anche se non così coniata, riassumeva una prassi largamente diffusa”9.

C’era sì nel libro dei Proverbi un testo che diceva: “Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere; perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo e il Signore ti ricompenserà” (Pr 25,21-22). E’ la posizione che Paolo, da buon rabbino, richiama nella lettera ai Romani, aggiungendo: “Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: <<A me la vendetta, sono io che ricambierò>>10, dice il Signore” (Rm 12,17-21). Ma nell’ebraismo resta una posizione isolata e, in fondo, ancora utilitaristica: il mio amore per il nemico è una sottile vendetta perché aggrava ulteriormente la sua posizione e mi ottiene un premio da Dio.

Il Salmista invece si compiace di dire: “Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici” (Sl 138,21-22; e prega: “Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra” (Sl 136,8-9).

Per l’ebreo religioso l’odio contro i nemici era un dovere come la lotta contro il male. In guerra, si credeva poi di rendere omaggio a Dio non prendendo né prigionieri né bottino, ma passando tutti a fil di spada: era l’“herem”, l’“anatema”: “Quando il Signore tuo Dio avrà messo le altre nazioni in tuo potere e tu le avrai sconfitte, le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia” (Dt 7,211). E i profeti pronunciano pesanti oracoli di maledizione contro le nazioni nemiche di Israele12. Scrive Tacito a proposito degli ebrei: “Apud ipsos, fides obstinata, misericordia in promptu; sed adversus omnes alios hostile odium”: “Tra di loro, una fede ostinata, una facile misericordia; ma odio ostile contro gli altri”13.

Il rabbino Neusner si scandalizza ancora oggi del discorso di Gesù sull’atteggiamento da tenere verso i nemici perché “è un dovere religioso resistere al male, combattere per il bene, amare Dio e combattere quelli che diventeranno nemici di Dio… La Torah richiede sempre a Israele di combattere per la causa di Dio; la Torah ammette la guerra, riconosce l’uso legittimo della forza”14. Così afferma un altro rabbino, Scialom Bahbout: “L’amore verso il prossimo non deve superare l’amore per se stessi, in quanto ciò costituirebbe una distorsione del senso della frase: <<Amerai il prossimo tuo come te stesso>>, e andrebbe al di là di ciò che si può umanamente e realisticamente chiedere all’uomo. Spesso una certa morale presente nella cultura cattolica ha portato a far credere che il bene dell’altro possa essere posto al di sopra del proprio. Il porgere l’altra guancia al proprio nemico o a chi ci offende è completamente lontano dal pensiero ebraico. A chi ci offende o ci danneggia non bisogna porgere l’altra guancia, ma anzi difendersi o porre una separazione tra noi e l’altro!”15.

Se c’è qualche eccezione nella letteratura rabbinica16, non si trova però nell’Antico Testamento nessun invito alla preghiera per i nemici. Ancora oggi tre volte al giorno, eccetto il sabato, Israele prega nella dodicesima “benedizione”, o “Birkat Ha Minim”, tratta dal Talmud Babilonese: “Per i calunniatori e gli eretici non vi sia speranza, tutti si perdano presto, tutti i tuoi nemici vadano in rovina repentinamente. Tu li annichilirai ai nostri giorni. Benedetto sii tu, o Signore, che spezzi gli avversari e umili i reprobi”. Una versione primitiva, ritrovata in un frammento della Genizah del Cairo, in Egitto, era più esplicita: “Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell’orgoglio; e periscano in un istante i nozrim (ndr: i Nazareni, i seguaci di Gesù di Nazaret) e i minim (ndr: gli eretici, i dissidenti); e siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu che pieghi i superbi”17.

…all’amore anche per i malvagi

Ancora una volta, Gesù va contro la Legge in nome di un amore sconfinato, sovrabbondante, che arriva persino ai nemici. Altro che legge del taglione: “Avete inteso che fu detto: <<Occhio per occhio e dente per dente18>>; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: <<Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico>>; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,38-48).

Gesù ci chiede innanzitutto di rinunciare alla logica della violenza, anche se motivata: non dobbiamo opporci al malvagio, come non si ribellò lui, a cui la prima comunità applicò il passo di Isaia: “Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca” (Is 53,7-8, citato secondo il testo greco in At 8,32).

Ma poi ci chiede di amare il nemico: si badi bene, amare non è un generico sentimento, ma è farsi carico dell’altro, beneficarlo, volere il suo bene e operare per esso. Come Gesù, che ha sacrificato la sua vita per noi peccatori.

Infine Gesù ci chiede la preghiera per il nemico: pregare che non è solo implorare grazie per chi ci ha fatto del male, ma che è cominciare a guardare l’avversario con gli occhi stessi di Dio, vedendo in lui un fratello, una persona preziosa, da scusare per tutto il male commesso, da tutelare e per cui merita immolarsi. Gesù dà l’esempio: morendo sulla croce, perdona i suoi uccisori: “Gesù diceva: <<Padre, perdonali>>” (Lc 23,34) Come farà Stefano, il primo martire cristiano, che morendo prega per coloro che lo lapidano: “O Signore, non imputare loro questo peccato” (At 7,60). Ma Gesù fa di più ancora: non solo perdona i suoi carnefici, ma li scagiona dalle responsabilità: “Non sanno quello che fanno“ (Lc 23,34), quindi non sono colpevoli!

Sembra assurdo chiedere una simile follia d’amore a un padre che si è visto assassinare un figlio, a una donna che ha subito uno stupro, a un popolo che ha subito torture o etnocidi… Ma Gesù è chiarissimo, ben conscio che la sua logica confligge con quella della Legge antica: “Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 5,20). “Aiutare il nemico, colui al quale propriamente nulla dobbiamo in stretti termini di giustizia, implica la capacità di sfondare l’orizzonte formale del diritto e di riattivare quelle dinamiche di comunicazione interpersonale, che la giustizia, in senso proprio, non ha nemmeno la possibilità di programmare” (F. D’Agostino19).

Buona Misericordia a tutti!

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.

Fonte dell’articolo

spazio + spadoni

SEC 2024-2025
Potrebbe piacerti anche