Vangelo di domenica 20 ottobre: Marco 10, 35-45
XXIX Domenica anno B
35 E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». 36 Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: 37 «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38 Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». 39 E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. 40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 41 All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. 42 Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. 43 Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, 44 e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. 45 Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Mc 10, 35-45
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
L’autorità è servizio
Il tema di questo insegnamento di Gesù è l’autorità della Chiesa. Essa non è potere, ma servizio. La Chiesa deve farsi schiava e serva, perché nella Chiesa sono i poveri, sono i piccoli che hanno il primato d’onore. I discepoli non hanno capito niente del messaggio del Signore, e chiedono i primi posti per sé. Ma nella Bibbia c’è un mistero: le preghiere sono sempre esaudite, anche se in maniera diversa da come ci aspettiamo. Qui Giovanni e Giacomo chiedono di sedere ai primi posti. Ed egli dice loro di sì. Ma non sarà come pensano loro: i primi posti nella Chiesa sono di coloro che servono, di coloro che si sacrificano, di coloro che muoiono. Essi saranno esauditi: anche loro prenderanno questo calice, anche loro saranno battezzati nel battesimo di Gesù: infatti la tradizione ci dice che Giacomo e Giovanni avranno grandi onori della Chiesa proprio perché subiranno il martirio. Giacomo è il primo dei Dodici a morire, ucciso di spada né 44 d. C. da Erode Agrippa I (At 12, 2). Giovanni, secondo la tradizione è condannato a bruciare nell’olio bollente, ma non morirà per questo, bensì sarà poi ucciso dai Giudei, secondo alcune testimonianze. La preghiera è stata esaurita: Giacomo e Giovanni sono diventati grandi ma tramite la croce, prendendo il calice di Gesù.
Il Battesimo è innanzitutto morte
Battesimo significa “immersione”, significa essere travolti dal male, dalla sofferenza, significa sprofondare nella morte. Il nostro battesimo ha questa dimensione, di amputazione e di morte. Il battesimo è una morte (Mc 10, 38; Lc 12, 50): e la morte, secondo i rabbini, scioglie tutti i vincoli e tutti gli impegni.
Paolo dirà che dobbiamo che dobbiamo morire all’uomo vecchio per risorgere nell’uomo nuovo: “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6, 3-11).
Il nostro uomo vecchio non è una parte di noi, ma siamo noi prima del battesimo in quanto creature terrestri, sottomesse al peccato. Questo uomo vecchio è stato crocifisso con Cristo. Ma quale effetto ha ottenuto la crocifissione battesimale? Qual era il suo scopo? Il nostro essere crocifissi con Cristo nel battesimo ha come scopo e conseguenza, in primo luogo, la soppressione del peccato e, in secondo luogo, la fine della nostra soggezione al dominio del peccato. Il nostro uomo vecchio è quello sottomesso al peccato, che vuole prendere invece di dare, che vuole essere servito invece di servire. Il cristiano è diventato una creatura nuova e quindi deve avere un comportamento nuovo: amare, donarsi, spendersi per gli altri.
Da: C. MIGLIETTA, L’EUCARESTIA SECONDO LA BIBBIA. Itinerario biblico-spirituale, Gribaudi, Milano, 2005, con presentazione di S. E. Mons. Giacomo Lanzetti
Il calice
Tutti i racconti di istituzione dell’Eucarestia menzionano che Gesù prese il calice e lo diede ai suoi discepoli; Luca parla addirittura di due distinti calici (Lc 22, 17; 22, 20); e con Paolo ha la formula: “Questo calice è la nuova alleanza del mio sangue” (Lc 22, 20; 1 Cor 11, 25), al posto di: “Questo è il mio sangue dell’alleanza” di Marco (Mc 14, 24) e di Matteo (Mt 26, 28). Il riferimento non è soltanto all’usanza orientale di far circolare un unico calice tra i commensali in segno di comunione, o ai calici che si bevevano nel rituale della cena pasquale.
Il calice è segno, nel linguaggio biblico, della vita stessa dell’uomo, del destino che Dio gli prepara, o meglio, che l’uomo stesso si procura obbedendo all’Altissimo o allontanandosi da lui. Infatti può essere pieno di felicità: “Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici… Il mio calice trabocca” (Sl 23, 5); “Alzerò il calice della salvezza” (Sl 116,13); “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice” (Sl 16, 5). Oppure può essere “il calice del vino dell’ira” che Dio riserva agli empi (Ger 25, 15; Is 51, 17; Ap 14, 10; 15, 7-16, 19), “calice ricolmo di vino drogato” (Sl 75, 9), “calice che dà le vertigini” (Zac 12, 2; Is 51, 17).
Gesù intende il calice come il progetto del Padre su di lui, la sua vita voluta come dono totale. A Giacomo e Giovanni che chiedono i primi posti nel Regno, Gesù dice: “«Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli aggiunse: «Il mio calice lo berrete»” (Mt 20,22-23), proclamando così che anch’essi saranno chiamati a dare la vita. Nel Getsemani Gesù prega: “Padre mio, se possibile, passi da me questo calice…! Se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Mt 26,39.42); e a Pietro dice: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18, 11).
L’offerta del calice nell’ultima cena depone anch’essa per l’aspetto dinamico del gesto eucaristico: si noti che in quella che è considerata la “formula di consacrazione” si parla sempre di calice e non di vino (Mc 14, 23-24; Mt 26, 27-28; Lc 22, 20; 1 Cor 11, 25). Il calice è la vita di Gesù regalata ai discepoli e a tutti gli uomini: e tutti a loro volta sono chiamati a fare della propria esistenza un dono gratuito per gli altri.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.