Vangelo di Domenica 15 Maggio: Giovanni 13, 31-35
V Pasqua C
31Quand’egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
Gv 13, 31-35
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
La legge dell’Amore
La grande tradizione rabbinica, nel marasma di prescrizioni e decreti dell’ebraismo, ricercava, secondo il quesito posto a Gesù da un dottore della Legge, quale fosse “il primo” (Mt 22,34-40), “il più grande” (Mc 12,28-31) comandamento, quello necessario “per avere la vita eterna” (Lc 10,25-28), quello che potesse compendiare tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,40). Il Talmud diceva che venne Mosè e furono dati 613 comandamenti, 365 negativi (il numero dei giorni dell’anno) e 248 positivi (il numero delle membra del corpo umano). Gesù insegnò che “il più grande e il primo dei comandamenti” era: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”, ma che il secondo era “simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37-38); anzi, in Marco si dice: “Non c’è altro comandamento (ndr: al singolare) più importante di questi” (Mc 12,31), e Luca li presenta come un unico comando (Lc 10,27). Paolo conclude: “Qualsiasi altro comandamento si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso… Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,9-10); “Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5,14). Per questo gli apostoli costantemente esortano: “Al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione” (Col 3,14); “Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri” (1 Pt 1,22); “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama
rimane nella morte… Egli ha dato la vita per noi: quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,14.16).
Il “comandamento nuovo” dell’amore vicendevole, che diventerà il distintivo dei discepoli (Gv 13,34), è l’unica traduzione del comando di amare Dio: Dio infatti vuole essere amato nell’uomo: “Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20); “Se uno possiede le ricchezze in questo mondo, e vedendo il proprio fratello nel bisogno gli chiude il cuore, come l’amore di Dio può dimorare in lui?” (1 Gv 3,17); “Chi accogli voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40); “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me… Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,40.45).
Ormai i cristiani hanno un “comandamento nuovo” che li deve far riconoscere tra tutti gli uomini, amarsi scambievolmente (Gv 13,34): questo è l’unico criterio di ecclesialità propostoci da Cristo: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
Perché questo comandamento è “nuovo”? Esso è rivoluzionario per l’origine: ci amiamo perché Dio ci ha amati per primo (1 Gv 4,19).
Inoltre l’amore con cui dobbiamo amarci trova la sua fonte in Dio: l’avverbio greco “come” (“kathòs”) nell’espressione “come io vi ho amati” (Gv 13,34) non esprime soltanto un paragone, quanto piuttosto la causalità, la materialità: “Amatevi dello stesso amore con cui io vi ho amati”.
È un comandamento nuovo per la misura: non dovremo più soltanto amarci come noi stessi (Mt 19,38), ma come Gesù ci ha amati, cioè “fino alla fine” (Gv 13,1), fino a dare la vita per gli amici (Gv 15,13).
Ed è nuovo per l’estensione: non dovremo solo amare i “nostri”, quelli del nostro gruppo, della nostra razza o della nostra religione, quelli che ci stanno simpatici, ma addirittura i nemici (Mt 5,45-48).
La dimensione più importante della vita ecclesiale è quindi l’amore fraterno: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10). Ciò che dobbiamo cercare nella Chiesa è l’amore reciproco, ad ogni costo, senza gelosie, senza finzioni. La Chiesa sia il luogo della cordialità, dell’accoglienza reciproca, dell’astensione dal giudizio, della vera e piena fraternità. La Chiesa deve essere il luogo dove le relazioni fraterne “gli uni gli altri” (Gv 13,34; 15,12; Rm 12,10; 1 Tess 4,9) sono strettissime, e dove si è talmente “con” (1 Cor 12,26; 2 Cor 7,3; Fil 1,27) da formare davvero un solo corpo.
Nello stesso tempo dobbiamo essere una Chiesa che semina amore. Dobbiamo diventare sempre più “una Chiesa della compassione, una Chiesa dell’assunzione partecipante del dolore altrui, una Chiesa del coinvolgimento quale espressione della sua passione per Dio. Poiché il messaggio biblico su Dio è, nel suo nucleo, un messaggio sensibile alla sofferenza: sensibile al dolore altrui in definitiva fino al dolore dei nemici… Dobbiamo metterci sulle tracce di una durevole simpatia, impegnarci in una disponibilità coraggiosa a non eludere il dolore degli altri, in alleanze e progetti-base della compassione” (J. B. Metz).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.