Vangelo di domenica 13 aprile Domenica delle Palme: Passione del Signore – Luca 22, 14-23, 56

14 Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, 15 e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, 16 poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». 17 E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, 18 poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio».
19 Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». 20 Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».
21 «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. 22 Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!». 23 Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
56 Poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.

Lc 22, 14-23, 56

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

LA PASSIONE DI GESU’ SECONDO LUCA

Il RACCONTO DELLA PASSIONE

Luca per questa sezione utilizza certamente Marco, ma introduce un taglio decisamente personale alla comprensione del mistero. Omette ciò che può turbare l’ordinata successione del racconto; elimina le scene particolarmente dure o violente; sottolinea Gesù come Maestro ed Evangelizzatore; il lettore non è tanto invitato ad assistere a questo dramma di Gesù da lontano, come in Marco, ma a seguire l’esempio di Simone di Cirene, e portare egli stesso, vicino a lui, la sua croce; il lettore vede se stesso nella debolezza di Pietro e nella speranza del buon ladrone.

1. Il complotto contro Gesù (22,1-6):

a) L’annotazione temporale (“era vicina la… Pasqua”) ha in realtà un valore teologico.

b) Luca annota il progredire dell’ostilità dei Giudei contro Gesù (11,53-54; 20,19.20; 19,48; 22,2). Responsabili della morte di Gesù sono sì i capi dei Giudei, ma soprattutto “Satana” (22,3; 4,12): è l’”ora” dell’“impero delle tenebre” (22,53).

2. L’ultima cena (22,7-38): Gesù compie un mimo profetico: come egli ora consegna ai suoi il pane e il vino, così fra poco egli consegnerà per loro il suo corpo e il suo sangue. La Cena del Signore viene trasmessa, nel Nuovo Testamento, secondo due tradizioni: la “tradizione palestinese”, delle chiese di lingua aramaica, riportata da Marco (Mc 14,22-25) e Matteo (Mt 26,26-29), e quella “antiochena”, delle chiese di lingua greca, riportata da Paolo (1 Cor 11,23-29) e da Luca, anch’essa antichissima. Secondo Luca:

a) Gesù liberamente dà la vita per i suoi.

b) Il sacrificio di Gesù è evocato dalla menzione esplicita della liturgia pasquale, che solo Luca ha (22,15-18), e dal rituale sulla coppa, segno dell’Alleanza (Ger 31,31).

c) Richiamando gli oracoli sul Servo di IHWH (22,37 -> Is 53,12) ma tralasciandone gli aspetti sacrificali, Luca vede nella morte di Gesù essenzialmente la fine tipica del profeta, un martirio. d) Luca ne sottolinea l’aspetto umano di abbassamento e di servizio (22,24-27). e) Questa coerenza nel dono e nel servizio (Fil 2,7-8) fa passare Gesù e i suoi nella gloria del Regno (22,28-30).

3. Gesù al Getsemani (22,39-46):

a) Luca sottolinea l’umanità di Gesù, riferendo egli solo il suo sudar sangue (22,44).

b) Gesù è modello del credente in preghiera: la preghiera è scelta di fedeltà al Padre, quale che sia la sua volontà.

c) Per descrivere lo stato d’animo di Gesù, Luca non ricorre al vocabolario della tradizione di Marco e Matteo (sbigottimento, angoscia, tristezza), ma a una parola presa in prestito dal linguaggio sportivo: agonia. Gesù non più un uomo “impietrito” (come in Marco) o “prostrato” (come in Matteo), ma un uomo “proteso”.

4. L’arresto di Gesù (22,47-53):

a) Luca scagiona i pagani omettendo di riferire la presenza di un loro “distaccamento di soldati” (Gv 18,3).

b) Gesù è il Salvatore non violento.

c) Essendo il bacio ai tempi di Luca diventato un gesto liturgico (1 Cor 16,20; Rm 16,16), l’evangelista evita di screditarlo, insinuando il bacio di Giuda ma non descrivendone il gesto.

5. Il rinnegamento di Pietro (22,54-62):

a) Luca descrive il tradimento in maniera più soft: omette il “negò dinanzi a tutti” di Mt 26, 70 e il “cominciò a imprecare e a giurare” di Mc 14,71 e Mt 26, 72.74.

b) Non è più il canto del gallo che suscita il ricordo della “parola del Signore”, ma lo sguardo di Gesù.

6. Il processo giudaico a Gesù (22,63-71):

a) Luca tralascia anche di riferire che sputarono in faccia a Gesù e che lo schiaffeggiarono. Quando dicono a Gesù: “Indovina chi ti ha colpito?” (v. 64), cercano di colpire il Cristo proprio nella sua missione profetica.

b) Luca, a differenza degli altri Sinottici, non descrive un processo giuridico: secondo Luca, si tratta di un confronto teologico tra giudaismo e cristianesimo: Gesù è condannato perché si presenta come “il Messia” (22,67), “il Figlio dell’uomo” (22,69), “il Figlio di Dio” (22,70), già “da questo momento” (22,69).

7. Il processo romano a Gesù (22,1-7.13-25):

a) L’accusa fatta a Gesù è politica: sovverte il popolo, contesta il dovere di pagare le tasse a Cesare, si proclama re.

b) Luca sottolinea che la responsabilità della morte di Gesù è solo dei Giudei, e non del pagano Pilato: – per tre volte Pilato riconosce l’innocenza di Gesù (23,4.14-15.22); – Pilato cerca di salvare Gesù prima mandandolo da Erode (23,14-15), poi cercando di barattarlo con Barabba (23,18-19); – Luca è l’unico a precisare: “Pilato decise che la loro richiesta fosse eseguita… e abbandonò Gesù alla loro volontà”(23,24-25).

c) L’ironia del baratto fra Barabba e Gesù (23,18-19): si tratta di scegliere tra “Bar abbà”, “figlio del padre”, forse nel senso di “figlio di n.n.”, di padre ignoto (oppure “Bar rabban”, “figlio del maestro”), e il vero Figlio del Padre, unico Maestro.

8. Gesù davanti ad Erode (23,8-12): Luca nel suo Vangelo dimostra un particolare interesse per Erode: questo episodio è citato solo da lui, ma sembra verosimile, forse appreso da Manaen di Antiochia, “compagno d’infanzia di Erode tetrarca” (At 13,1) o da una delle donne al seguito di Gesù, “Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode” (Lc 8,3).

9. Verso il Calvario (22,26-32):

a) Luca fa di Simone di Cirene il modello del discepolo che “prende la propria croce ogni giorno” e “va dietro” a Gesù (9,23;14,27).

b) Modello del discepolo è anche la “gran folla”, menzionata solo da Luca: essa è il tipo del peccatore che si converte (18,13) davanti alla passione di Gesù (23,48), come Gesù richiede (23,28); il popolo che “stava a vedere” (23,35), “ripensando a quanto era accaduto” (23,48), “i suoi conoscenti e le donne che lo avevano seguito dalla Galilea” che “assistevano da lontano” (23,49) sono l’esempio del discepolo che medita sul mistero della morte in croce di Gesù.

10. La crocifissione e la morte (23,33-49):

a) La morte di Gesù è la realizzazione del progetto salvifico del Padre: Luca lo esprime condensando in questi versetti molte citazioni dei Sl (Sl 22,19; 69,22; 31,6; 38,12; 88,9).

b) Gesù sulla croce non è solo la figura del martire che perdona, ma la figura dell’amore di Dio per l’uomo.

c) Sulla croce, Gesù è vilipeso come “Cristo” fallito (23,35.39), come “re” sconfitto (23,37-38), come “Salvatore” impotente (23,35.39): è la proclamazione della Signoria di Gesù, che regna non nella potenza, ma nel sacrificio e nella kenosis, nello svuotamento, dal legno della croce. Anche nelle tentazioni del deserto Satana aveva proposto a Gesù un messianismo di potere.

d) Accogliendo prontamente il malfattore pentito, Gesù opera l’ultima conversione (15,2). e) La presenza di Gesù suscita una divisione che obbliga a prendere una posizione.

f) La contemplazione (23,48) del Crocifisso induce a conversione.

g) Sulla bocca di Gesù morente Luca non mette le parole angosciose del Sl 22, ma parole che esprimono il sereno e fiducioso abbandono di Gesù nelle mani del Padre, la preghiera del Sl 31 (23,46).

h) I segni straordinari (tenebre, rottura del velo del tempio) accompagnano la morte di Gesù, non la seguono: spiegano il significato di quella morte, non ne sono il frutto.

i) Luca dice che Gesù “emise lo spirito” (23,46): il verbo ek-pneumo fa pensare non solo all’esalazione dell’ultimo respiro, ma anche, come in Gv 19,30, all’emissione dello Spirito Santo. Gesù è il martire innocente: il centurione, vedendolo morire, non dice come in Mc 15,39 e Mt 27,54: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, ma: “Veramente quest’uomo era giusto” (23,47).

11. La sepoltura di Gesù (23,50-56):

a) Con la figura di Giuseppe d’Arimatea, Luca sottolinea che l’Evangelo di Gesù si era diffuso in ogni ambito.

b) C’è un parallelismo tra la prima e l’ultima comparsa di Gesù in Gerusalemme: anche alla presentazione di Gesù Bambino al tempio (2,22-35) era presente un giudeo, Simeone, “uomo giusto e timorato di Dio”; allo “stupore” ( 2,33) dei genitori di Gesù all’udire le parole di Simeone corrisponderà lo “stupore” (24,12) di Pietro alla vista delle sole bende funerarie nel sepolcro.

c) In Luca c’è una “teologia delle bende”: il “segno” della nascita del “Salvatore, che è Cristo Signore”, è questo: “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (2,11-12); il segno della resurrezione di Gesù, il cui corpo era stato “avvolto in un lenzuolo” (23,52-53), sono le “sole bende” (24,12), prive del corpo del Signore, rinvenute da Pietro al sepolcro.

d) “Era il giorno della Parasceve, e già splendeva il sabato”: (23,54): la grande “luce” (2,9) apparsa a Natale sta per accendersi definitivamente nella Pasqua di Resurrezione: Gesù è il “sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte” (1,79), “luce per illuminare le genti” (2,32).

IL SIGNIFICATO DELLA PASSIONE DI GESU’

L’Incarnazione di Gesù non è primariamente per togliere il peccato del mondo, ma per compiere il progetto creazionale di Dio (Gv 1,1-3; Col 1,16-17; Ef 1,4): Dio ha creato l’uomo per amore, ma essendo infinito, illimitato, eterno, per creare qualcuno che potesse essergli partner nell’amore e che fosse quindi altro da sè lo ha dovuto creare finito, limitato, mortale. Il dolore, la malattia, la morte, non sono perciò una “punizione”, ma fanno parte dell’ordine biologico, del nostro essere creature e quindi “non-Dio”, e perciò privi della sua perfezione (cfr CCC, n. 302 e 310). Dio però “soffre” nel vedere il suo amato sottomesso alla finitudine e alla morte: per questo, già mentre ci crea, Dio progetta l’incarnazione del Figlio, per mezzo della quale egli stesso si farà finito, prenderà su di sè il limite dell’uomo e del creato fino alla morte e, per il mistero della sua resurrezione, porterà la finitudine umana nell’eternità e nell’immensità della sua vita divina. La Croce non è quindi il luogo dove un Dio vendicativo chiede soddisfazione delle offese subite, ma la massima espressione dell’amore di Dio per noi, il momento culminante del chinarsi di Dio sull’umanità per abbracciarla e per salvarla. Nella morte e resurrezione del Signore, sono stati vinti per sempre il male, il dolore, la morte. Il grande mistero non è quindi il perché del dolore, ma come Dio ci abbia amati tanto da farsi uno di noi, da soffrire con noi, da morire con noi, per farci suoi figli, partecipi della sua stessa vita (Rm 8,17).

Buona Misericordia a tutti!

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.

Fonte dell’articolo

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