Vangelo di Domenica 12 maggio: Marco 16, 15-20
Festa dell’Ascensione
“15 E (Gesù) disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17 Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20 Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.
Mc 16, 15-20
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
L’intento della festa dell’Ascensione è di presentare la fine della presenza fisica di Gesù nel nostro mondo: e Marco lo esprime secondo la sua concezione geocentrica del cosmo e con genere letterario semita: Gesù entra “in cielo”, “in alto” (Mc 16,19).
LA MISSIONE
Gesù lascia ai suoi un chiaro comando: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).
Già durante la sua vita Gesù aveva mandato i suoi innanzi a sé (Lc 10,1) a predicare il Vangelo e a guarire (Lc 9,1). I discepoli sono gli operai mandati dal padrone alla sua messe (Mt 9,38; Gv 4,38), i servi inviati dal re a condurre gli invitati alle nozze del Figlio (Mt 22,3). La missione dei discepoli si collega con quella del Figlio: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20,21); “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Gv 13,20); “Non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16).
Finito il tempo di Gesù inizia il tempo della Chiesa. Il progetto missionario di Luca esprime la graduale espansione del Vangelo: “Voi mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Gli Atti non sono tanto la storia della Chiesa, ma della progressione della Parola, che tutti gli uomini di tutte le culture possono accogliere (si pensi al miracolo delle lingue il giorno di Pentecoste: At 2,7-12).
L’esperienza del Risorto non è qualcosa di personale, di intimistico: è gioia da traboccare agli altri, è entusiasmo che diventa contagioso. Gli apostoli diventano subito “testimoni della sua resurrezione” (Lc 24,35-48; At 1,22; 4,33). Il grande annuncio di Pietro e di tutti gli Apostoli è proprio che “voi avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato, e di questo noi siamo testimoni” (At 3,14-15.26; cfr 2,22-36; 4,10; 5,30; 10,40-41; 17,18…): con questo compito essi sono mandati a tutte le genti, perché Cristo è Salvatore “di tutto il mondo” (1 Gv 2,1-5)!
Il primo, vero, insostituibile compito del cristiano è la trasmissione della fede. Ecco perché la Chiesa “è per sua natura missionaria” (Ad gentes, n. 2). Tutti dobbiamo farci apostoli del Vangelo ricevuto. Dobbiamo riscoprire il carisma profetico che deriva dal nostro battesimo (Lumen gentium, n. 35; Ad gentes, n. 15): ormai la Chiesa è il popolo tutto di profeti che era stato preannunciato da Gioele per i tempi finali (Gl 3,1-5; At 2,15-21).
Anche noi oggi siamo chiamati da Gesù ad essere testimoni della sua resurrezione: tutti abbiamo questa vocazione, preti, suore e laici. Per tutti vale l’ammonimento di Paolo: “E’ un dovere per me predicare il vangelo: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1 Cor 9,16); tutti dobbiamo annunziare la Parola “in ogni occasione, opportuna e non opportuna” (2 Tm 4,2); “Noi non possiamo tacere!” (At 4,20); a noi “è stata concessa la grazia di annunciare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8). E se preti e consacrati lo fanno “istituzionalmente”, ai laici dice il Concilio: “Ogni laico deve essere un testimone della resurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo al cospetto del mondo” (LG 38); “I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per mezzo loro… Grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di lavorare affinché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra. Sia perciò loro aperta qualunque via (ndr: !!!) affinché… anch’essi attivamente partecipino all’opera salvifica della Chiesa” (LG 33); “Cristo… adempie il suo ufficio profetico… anche per mezzo del laici, che perciò costituisce suoi testimoni e provvede del senso della fede e della grazia della parola (cfr At 2,17-18; Ap 19,10)… In questo ufficio appare di grande valore quello stato di vita che è santificato da uno speciale sacramento, cioè la vita matrimoniale a familiare. Là si ha l’esercizio ed una eccellente scuola di apostolato dei laici… La famiglia cristiana proclama ad alta voce e le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata… I laici quindi, anche quando sono occupati in cure temporali, possono e devono esercitare una preziosa azione per l’evangelizzazione del mondo….; bisogna che tutti cooperino alla dilatazione e all’incremento del Regno di Cristo nel mondo” (LG 35).
E che ne è di quelli che non ricevono l’annuncio del Vangelo, o lo ricevono in maniera distorta o poco credibile? Forse che si dannano? A volte qualche teologo ha risposto di sì, citando proprio la frase di Gesù: “Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi non crederà, sarà condannato” (Mc 16,16). Tuttavia, siccome nel Cattolicesimo è stata più volte condannata la teoria della predestinazione alla dannazione da parte di Dio, la frase di Mc 16,16 si deve intendere così: chi, avendo ricevuto l’annuncio evangelico in modo attendibile e, vedendo che deve credere, crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato.
PORRE SEGNI DEL RISORTO
I credenti sono chiamati ad evangelizzare ponendo nel mondo segni concreti della Resurrezione di Gesù: la lotta contro il male, l’ingiustizia, la povertà in tutte le sue forme (“cacciare i demoni”), creare una nuova fratellanza e solidarietà universali (“parlare lingue nuove”), guarire le malattie (“imporranno le mani ai malati e questi guariranno”: Mc 16,17), certi che il Signore li sosterrà sempre con la sua forza divina (“prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno”: Mc 16,17-18).
“Per il cristiano allora, soprattutto nel momento in cui celebra la Pasqua del suo Signore, non vi è spazio per fughe, evasioni o spiritualismi, ma l’esigenza di vivere la risurrezione nell’esistenza, nell’oggi della storia, facendo sì che la fede pasquale diventi manifesta ed efficace già ora e qui. Sì, i credenti devono mostrare che la vita è più forte della morte, e devono farlo nel costruire comunità in cui il «noi» si fa carico di ciascuno e l’«io» rinuncia a prevaricare, nel perdonare senza chiedere il contraccambio, nella gioia profonda che permane anche nelle situazioni di sofferenza e di persecuzione, nella compassione per ogni creatura, soprattutto per gli ultimi e i sofferenti, nella giustizia che porta a operare la liberazione dalle situazioni di morte in cui giacciono tanti esseri umani, nell’accettare di spendere la propria vita per gli altri, nel dare la vita liberamente e per amore, fino a pregare per gli stessi assassini, come tanti testimoni hanno fatto, ancora ai nostri giorni” (E. Bianchi).
LA PRESENZA DI GESÙ OGGI
L’Ascensione è una festa che ci lascia sempre un po’ d’amarezza, perché invidiamo coloro che hanno potuto incontrare il Gesù storico, e restiamo anche a noi, con il naso all’insù, a “guardare il cielo” (At 1,11), pieni di nostalgia e con un senso di solitudine. Eppure Gesù, andandosene, ci ha detto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La celebrazione dell’Ascensione del Signore deve essere allora l’occasione per meditare sui tanti modi in cui Cristo è ancora presente in mezzo a noi oggi.
La Chiesa
Il Vangelo odierno (Mc 16,15-20) ci presenta la Chiesa come il luogo ora della presenza di Cristo, tramite la testimonianza dei discepoli.
La Chiesa è il primo sacramento, cioè segno di Cristo. “La Chiesa non è altro che il risultato della missione del Figlio nello Spirito Santo. E’ lo spazio attorno alla Parola di Dio fatta carne, Gesù Cristo: spazio in cui si narra il Padre, in cui si spiega con la vita dei credenti e sacramentalmente che il Dio vivente è il Padre di Gesù Cristo, il Signore” (E. Bianchi).
La prima grande presenza è quella nei sacramenti della sua Chiesa, “perché in essi agisce Cristo stesso” (Catechismo Chiesa Cattolica, n. 1127); soprattutto Gesù è presente nell’Eucarestia, quando mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue.
La Bibbia
Se importante è la Presenza eucaristica, altrettanto lo è la Presenza nella Parola. Dice Girolamo: “Noi mangiamo la carne e il sangue di Cristo nell’Eucarestia, ma anche nella lettura delle Scritture… Io ritengo l’Evangelo corpo di Cristo”; e Ignazio di Antiochia: “Noi dobbiamo accostarci alla Scrittura come alla carne di Cristo”; e Cesario d’Arles: “Chi ascolta in modo non attento sarà colpevole quanto colui che avrà lasciato cadere negligentemente per terra il Corpo del Signore”.
I poveri
Il Vangelo afferma poi che il Signore si identifica con l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,31-46). A Saulo che va a perseguitare i cristiani di Damasco, Gesù dice: “Perché mi perseguiti?” (At 9,4), identificandosi personalmente con gli oppressi. Diceva Clemente Alessandrino (150-215): “Se qualcuno ti appare povero o cencioso o brutto o malato…, non ritrarti indietro…; dentro a questo corpo abitano in segreto il Padre e il Figlio suo che per noi è morto e con noi è risorto”. Quando il grande filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662) fu in punto di morte – ci racconta la sorella Gilberte nella “Vita di Pascal” -, non potendo comunicarsi, chiese che gli fosse portato innanzi un povero, per venerare in lui Cristo stesso. I poveri “per i cristiani sono il segno sacramentale di Gesù, il Servo del Signore che si è spogliato della sua dignità divina fino ad essere uno schiavo” (E. Bianchi). Sono quindi i poveri il sacramento vivente di Cristo: è nei poveri che si incontra Gesù sulle strade della vita.
Ha detto Papa Francesco: “Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo…! Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri… Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo”.
Allora, “io voglio vedere Gesù nel fratello e nella sorella che mi sta accanto, ma ancor di più voglio vedere Gesù in quella situazione che tutte le voci dicono essere lontana da Dio. Perché l’unica che è riuscita a scoprire il passaggio di Gesù in quella città è stata una prostituta. Perché quello che ha incontrato Gesù a casa sua era un capo dei pubblicani, Zaccheo, capo degli strozzini e degli affamatori del suo popolo. Perché l’ultimo che è riuscito a pregare la misericordia è stato un farabutto ladrone. Perché il primo a riconoscere il Figlio di Dio in quel Gesù morto come un disgraziato è stato il capo-boia della crocifissione, il centurione, uno non credente, uno fuori del popolo di Dio, un irregolare. E allora io voglio con loro vedere Gesù lì” (Comunità di Caristo).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.