Vangelo di Domenica 11 febbraio: Marco 1, 40-45
VI Domenica B
“40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». 42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». 45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte”.
Mc 1, 40-45
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Il lebbroso giuridicamente era considerate un morto: guarire un lebbroso era operare una resurrezione; guarire un lebbroso era un gesto che annunciava l’avvento del Messia. Inoltre il lebbroso è un impuro che non aveva eguali: “44 Quel tale è un lebbroso; è immondo e lo dovrà dichiarare immondo; la piaga è sul suo capo. 45 Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: «Immondo! Immondo!». 46 Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento” (Lev 13,45-46).
Gesù infrange la Legge di suo Padre, la Torah, la Legge del Vecchio Testamento: tocca un intoccabile, compie un gesto rivoluzionario. Guardiamo a questo Gesù eversivo, che fa la fila con i peccatori, che si fa servire dalle donne, che sceglie lui i discepoli, che tocca gli intoccabili.
Arriva il lebbroso, si inginocchia e dice: “Se vuoi, puoi guarirmi”. La Fede è la condizione per il miracolo. Bellissimo! Non è il miracolo che produce la Fede, il miracolo non è propaganda per far credere, ma è aderendo a Cristo, è inginocchiandomi davanti a lui che sono guarito dalla mia lebbra.
“Mosso a compassione stese la mano”(v. 41): il verbo è splanchnisthèis, versione greca dell’ebraico rehamin, termine che propriamente esprime le viscere, la sede delle emozioni, il nostro “cuore”: è una forma plurale di réhèm, il seno materno, l’utero femminile. E’ il sentimento spontaneo che nasce dal legame di paternità, di maternità o di fraternità (Sl 103,13; Ger 31,20; Is 63,15-16).
Di fronte ad ogni infermità o bisogno, Gesù “si commuove”, “sente compassione”. Sono termini molto forti, che ritroviamo nei Vangeli per esprimere i sentimenti del Signore di fronte al lebbroso (Mc 1,41), alle folle senza guida e affamate (Mc 6,34; 8,2), alla gente che non ce la fa più (Mt 9,36), ai malati (Mt 14, 14), alla vedova di Naim (Lc 7,13)… E’ sempre usato il verbo splanchnìzomai, che indica commozione viscerale, che richiama l’utero materno: è il fremito di una madre per i suoi figli, è un’emozione intensissima.
Scriveva Papa Giovanni Paolo II: “Soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, Gesù ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l’amore, l’amore operante, l’amore che si rivolge all’uomo e abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità. Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l’ingiustizia, la povertà, con tutta la condizione umana storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell’uomo, sia fisica che morale. Proprio questo manifestarsi dell’amore divino viene denominato, nel linguaggio biblico, misericordia”.
Gesù rifiuta chi lo accetta come glorioso taumaturgo, senza avere compreso prima la logica della croce. Anche i poveri, anche gli oppressi, anche i lebbrosi, devono capire questa logica. La povertà ha valore in sé, ha valore di distacco: anche il povero è chiamato a questa logica della croce.
Ma il lebbroso disubbidisce a Gesù Cristo che gli ha detto di stare zitto, e “allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte”.
Bellissimo, quasi umoristico: i poveri, gli emarginati diventano i primi apostoli. Quest’uomo che è stato liberato dal Signore ha fatto un apostolato, una propaganda tale che Gesù non poteva più entrare in città. Che possiamo anche noi essere talmente conquistati dalla salvezza del Signore da diventarne araldi e testimoni irrefrenabili!
Dobbiamo ricordare che sono i poveri che ci evangelizzano. Sono loro che ci insegnano il valore della vita, il valore del sorriso, la condivisione, lo stare insieme, la fedeltà al Signore, lo stupirsi di fronte alla Parola. Talora sono proprio quelli che emarginiamo che ci salvano: la pietra scartata che diventa testata d’angolo. Stare con i poveri non è paternalismo: i poveri possono diventare per noi i primi annunciatori del Vangelo.
“Se ne stava fuori, in luoghi deserti” (v. 45): questo è un grande ammonimento anche per noi. La Chiesa non deve sempre avere una parola per tutto. Deve saper tacere per annunciare un Mistero celato, un Dio nascosto; deve sapere annunciare un Dio che se ne va nel deserto invece di andare a fare i miracoli, un Dio la cui logica non è la nostra logica.
Questo Dio non è nostro: noi siamo di Dio. Noi apparteniamo a Dio, è lui che guida la storia.
Un augurio che possiamo farci è che sappiamo stare con Dio nel silenzio del suo deserto, per essere unificati interiormente dalle nostre schizofrenie, liberati dai nostri demoni, e diventare quindi annunciatori gioiosi, con gesti concreti, del Regno che viene.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.