Vangelo di Domenica 10 Luglio: Luca 10, 25-37
XV Domenica C
25Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». 28E Gesù: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai». 29Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?».37Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va e anche tu fa lo stesso».
Lc 10, 25-37
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Il grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme descrittoci da Luca è contemporaneamente un tempo di ritiro, di confronto personale con il Padre (10, 21-24) e soprattutto di formazione dei discepoli.
Il tema del discepolato continua con un quesito posto da un dottore della Legge che chiede a Gesù cosa debba fare per avere la vita eterna. La risposta di Gesù, con la parabola “del buon Samaritano”, che si fa prossimo e soccorre “un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico” e che aveva subìto una violenta rapina, indica quale dovrebbe essere la condotta del vero discepolo. La strada che collega Gerusalemme, a 740 m sul livello del mare, a Gerico, a 350 m sotto il livello del mare, attraversa una zona desertica piena di anfratti, rifugio ideale per rapinatori in agguato. Per Flavio Giuseppe “briganti” sono gli zeloti, partigiani antiromani che vivevano in clandestinità e si rifornivano con qualche attacco improvviso ai viandanti.
Il dottore della Legge, “ volendo giustificarsi (dikaiōsai), disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?»” (Lc 10,29): “ Il verbo greco dikaiōsai appartiene al linguaggio tipico di Paolo e richiama la decisiva questione teologica della «giustificazione» affrontata dalla prima comunità cristiana” (C. Doglio). Luca fu collaboratore, nonché “il caro medico” (Col 4,14) di Paolo, il teologo della giustificazione solo per grazia. Il dottore della Legge cerca giustificazione dalle opere, dall’osservanza dei precetti: Gesù invece proporrà la misericordia senza limiti né regole di Dio.
“All’epoca di Gesù si dibatteva lungamente la questione su chi fosse il prossimo e si andava da: a) un’interpretazione più ristretta quale: «il prossimo è colui che appartiene al mio clan, alla mia famiglia, alla mia tribù»; b) quella più larga che sosteneva: «il prossimo è chiunque abita dentro Israele»; c) per finire, con quella larghissima che sosteneva: «il prossimo è anche lo straniero che vive dentro i confini di Israele»” (A. Maggi).
Gesù sposta il problema: per lui il tema non è più: “Chi merita di essere amato da me? Chi è mio amico?”, ma: “Di chi io sono prossimo? A chi mi faccio vicino?”. Il quesito per lui non è di chiederci chi sia il nostro prossimo, ma di farci prossimi a tutti quelli che incontriamo, come fa il Samaritano, presentato da Gesù, con grande scandalo per i Giudei, come esempio di bontà e di fedeltà al vero spirito della Legge. I Samaritani erano infatti, per gli ebrei, degli eretici, degli scomunicati: quando, nel 721 a. C., ci fu la deportazione degli ebrei in Assiria, i nuovi conquistatori, secondo la ben nota politica del divide et impera, importarono forzatamente in Israele popolazioni provenienti da altre parti dell’Impero. Costoro, sposandosi con ebree rimaste in Palestina, non solo contaminarono la “purezza etnica” di Israele, ma portarono con sé i loro culti alle divinità tradizionali, che in maniera sincretistica finirono per fondere con la fede in IHWH (2 Re 17,24-41).
Nella parabola, un sacerdote e un levita evitano di soccorrere il ferito, non tanto forse per durezza di cuore, quanto piuttosto per il desiderio di mantenere la propria purezza cultuale. Era infatti prescritto a chi prestava servizio al tempio di mantenersi puro, e il sangue contaminava. Ma per Gesù anche il culto e le posizioni dottrinali devono essere subordinati alla carità: la purezza che Dio vuole è quella del cuore, non quella fisica, l’integrità non è quella dottrinale, ma la totalità dell’amare.
Sia del sacerdote che del levita si dice che “passano oltre” (Lc 10,31-32): anti-par-èrchomai significa un movimento “a fianco”, parà, ma “dall’altra parte”, antì. Il Samaritano invece “gli passò accanto (èlthen kat’autòv)… Gli si fece vicino (proselthòn)… Al mio ritorno (epanèrchestha) ti rimborserò” (Lc 10,33-35): il verbo érchomai, andare, è modulato in vari modi: dal “passargli accanto” del v. 33 si arriva al “farsi vicino” del v. 34 e al “ritornare” del v. 35: lo stesso verbo érchomai viene specificato prima da katà, accanto, e poi da pros, vicino, prossimo, quindi da ep-an, di nuovo, ancora: è una vera progressione sulla via della compassione e della solidarietà.
Il dottore della Legge, persona intelligente, ha subito capito l’innovazione teologica proposta da Gesù: non è importante quanto l’altro sia in relazione con me, è importante che io entri in relazione con l’altro!
“Gesù dice a questo dottore della Legge di farsi prossimo degli altri, cioè di orientare la propria vita verso il bene degli altri e far sì che l’amore si traduca in servizio agli altri… Il credente è colui che assomiglia a Dio, praticando un amore simile al suo; non importa se non crede tanto, non prega, non osserva, ma l’importante è l’atteggiamento che ha nei confronti degli altri. Chiunque agisce amando, chiunque agisce servendo, lì c’è il vero credente agli occhi del Signore…, perché Gesù non chiede l’osservanza della legge, ma la somiglianza al suo amore” (A. Maggi).
“Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso (homòios)»” (Lc 10,25-37). L’ultima parola del racconto è homòios, “ugualmente”: il racconto ha valenza esemplare, è un modello da imitare. In realtà “il Samaritano adotta i sentimenti e riprende i gesti di Cristo stesso” (F. Bovon). Gesù è il modello di misericordia e di gratuità che i Vangeli ci propongono e, come proclama il Prefazio VIII della Messa, “ancor oggi come buon Samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza”.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.