Vangelo di Domenica 1 ottobre: Matteo 21, 28-32
XXVI Domenica A
28“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Risposero: “Il primo”. E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”.
Mt 21, 28-32
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Questa parabola, che si trova soltanto in Matteo, è la prima delle tre parabole che hanno lo stesso tema di base: l’accoglienza o il rifiuto del Regno.
Un testo difficile
“Il primo elemento da segnalare a riguardo della pagina odierna del Vangelo è che la trasmissione della parabola dei due figli è molto confusa. Alcuni testimoni importanti, come il codice Vaticano, invertono l’ordine dei due figli, mettendo per secondo il figlio che risponde che non sarebbe andato, ma poi va nella vigna. Questo cambiamento potrebbe essere dovuto a una ragione ideologica centrata su una certa visione della storia della salvezza: il primo figlio, che dice di andare ma poi non mette in atto il proposito, sarebbe stato identificato già da alcuni scribi cristiani con gli ebrei, mentre i pagani verrebbero rappresentati dal figlio che dice di non voler andare, ma poi andrà a lavorare. Siccome questa logica però non era supportata dall’ordine in cui sono presentati i protagonisti, l’ordine sarebbe stato invertito. Sul piano della critica testuale è da preferire l’ordine attualmente presente nel testo critico, anche se rimane qualche dubbio.
La parabola è la seconda ad essere ambientata nella vigna (la prima si trovava in Mt 19,30–20,16), e fa parte del materiale proprio del primo evangelista, e quindi non ha paralleli con Marco o Luca. Composta di tre soli versetti, è incorniciata da due domande che provocano l’attenzione dell’interlocutore (v. 28: «Che ve ne pare?», una formula classica rabbinica; v. 31: «Chi dei due…»), ed è seguita da una sua spiegazione che riprende la questione, lasciata in sospeso al v. 27, dell’autorità di Gesù e del battesimo di Giovanni.
L’interpretazione della parabola è terreno delicato, e varia sin dall’antichità a seconda degli autori, che si soffermano soprattutto sulle figure che verrebbero rappresentate dai due figli di cui parla Gesù. Per alcuni Padri della Chiesa, il figlio che non andrà a lavorare nella vigna è Israele. Questa lettura ha veicolato quella teologia detta “della sostituzione” (o supersessionismo), secondo la quale – come conseguenza del fatto che tutti gli ebrei avrebbero respinto Gesù – per il popolo dell’alleanza non vi sarebbe più alcun ruolo nella storia della salvezza, ruolo che verrebbe pertanto assunto dalla Chiesa. Tale teologia non è sostenibile in alcun modo: basterebbe rileggere, per convincersene, i capitoli 9–11 della lettera di Paolo ai Romani.
Quelli a cui Gesù si rivolge – e che sono anche quelli che indagano sulla sua autorità – nel nostro testo, però, non sono tutto Israele, ma solo alcuni dei suoi leader, come è specificato poco prima della parabola (cfr 21,23), e come Matteo dirà anche dopo (cfr 21,45). È a questi che Gesù parla, e solo a questi dirà, poco più avanti, «il regno di Dio sarà tolto a voi e sarà dato a una nazione che produce i suoi frutti» (21,43). Questa interpretazione alternativa si può fondare, oltre a ragioni di tipo filologico, anche sul fatto che l’identificazione del figlio che si rifiuta di andare nella vigna con Israele non è universale: per altri Padri, come, per esempio Ilario di Poitiers, questi sarebbero solo una parte del popolo ebraico (i farisei), o quelli che si lasciano influenzare da loro” (G. Michelini).
Il primo fratello incarna quindi i capi del popolo ebraico, “i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo” (Mt 21,23), che sono ubbidienti a parole ma non nei fatti; il secondo, invece, rappresenta i peccatori che si convertono ascoltando il monito della parola di Dio. Da una parte, quindi, i capi giudaici, dall’altra le classi disprezzate dei pubblicani e delle prostitute. Questi ultimi seguono la via che Giovanni indica per essere giusti: il pentimento; i giudei, invece, professano ma non compiono, osservano la legge non le opere della fede. La vita secondo la legge va completata con il pentimento proclamato da Giovanni e da Gesù, come condizione necessaria per entrare nel Regno.
Nella sua forma attuale la parabola riflette indubbiamente la fede dei pagani contrapposta alla miscredenza dei capi dei giudei. Anche oggi, a volte, i peccatori si mostrano più disponibili dei praticanti.
Contro il clericalismo
Papa Francesco legge questa parabola come un pesante monito contro il clericalismo ecclesiale: “C’è quello spirito di clericalismo nella Chiesa, che si sente: i chierici si sentono superiori, i chierici si allontanano dalla gente, i chierici dicono sempre: «Questo si fa così, così, così, e voi andate via!». Accade quando il chierico non ha tempo per ascoltare i sofferenti, i poveri, gli ammalati, i carcerati: il male del clericalismo è una cosa molto brutta, è una edizione nuova di questo male antico». Ma la vittima è la stessa: il popolo povero e umile, che aspetta nel Signore… Il Padre sempre ha cercato di avvicinarsi a noi, ha inviato suo Figlio. Stiamo aspettando, aspettando in attesa gioiosa, esultanti. Ma il Figlio non è entrato nel gioco di questa gente: il Figlio è andato con gli ammalati, i poveri, gli scartati, i pubblicani, i peccatori e – è scandaloso – le prostitute. Ma anche oggi Gesù dice a tutti noi e anche a quelli che sono sedotti dal clericalismo: «I peccatori e le prostitute andranno avanti a voi nel regno dei cieli»”.
La necessità del pentimento
La parabola è però per tutti un forte richiamo alla conversione. “Povero Dio, quante cosa gli tocca vedere! Se la metti in questi termini della parabola di Luca 15, come qui più che la parabola del figlio prodigo o del figlio maggiore, è la parabola di un padre un po’ sfortunato, perché ha due figli, ma nessuno dei due immediatamente ci azzecca a capire che è Padre. Però quello che più esplicitamente manifesta il suo dissenso, la sua ribellione, oggettivamente è nella condizione poi di rientrare e creare il presupposto per una conversione, per un cambiamento di mentalità, di veduta, di sentimento, di giudizio… Perché i pubblicani e le prostitute ci precedono? Appunto perché loro sanno di sbagliare. Sapere di sbagliare è l’unica dignità dell’uomo. È l’unico che può dire: «Ho sbagliato». Il che vuol dire che è intelligente. Se no, è un meccanismo che una volta caricato non sbaglia mai e se sbaglia lo abbatti, perché si è rotto il meccanismo. L’uomo che dice: «Ho sbagliato», mostra la più grande dignità, che è riconoscere la colpa, dicendo: «Ho sbagliato, non avevo capito bene, ero schiavo e non libero. Adesso ho capito meglio: sono più libero e cambio». Uno che non riconosce l’errore è grave: o è disonesto in sommo grado o è imbecille. E l’uomo va avanti perché riconosce gli errori precedenti, per questo fa un passo in avanti e anche la sua storia passata è così recuperata e vissuta nel suo significato” (F. Clerici e S. Fausti).
“Dobbiamo riconoscere che nel cristianesimo il pentimento è la via maestra per accedere alla volontà di Dio. Come dice in modo eccellente il teologo ortodosso Christos Yannaras: «Noi cristiani abbiamo il privilegio di disporre di un metodo altro, rispetto alla mondanità, per avvicinarci alla verità: il pentimento»” (E. Bianchi)
Ha detto ancora Papa Francesco: “Nel Vangelo di oggi, chi fa la migliore figura è il primo fratello, non perché́ ha detto «no» a suo padre, ma perché́ dopo il «no» si è convertito al «sì». Dio è paziente con noi: non si stanca, non desiste dopo il nostro «no»; ci lascia liberi anche di allontanarci da Lui e di sbagliare. Ma attende trepidante il nostro «sì», per accoglierci nuovamente tra le sue braccia paterne e colmarci della sua misericordia senza limiti. La fede in Dio chiede di rinnovare ogni giorno la scelta del bene rispetto al male, la scelta della verità̀ rispetto alla menzogna, la scelta dell’amore del prossimo rispetto all’egoismo. Chi si converte a questa scelta, dopo aver sperimentato il peccato, troverà̀ i primi posti nel Regno dei cieli, dove c’è più̀ gioia per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti (cfr Lc15,7).
Ma la conversione è un processo di purificazione dalle incrostazioni morali; per questo non è mai indolore. Il cammino della conversione passa sempre attraverso la croce. Non c’è santità̀ senza rinuncia e senza combattimento spirituale. Il progresso spirituale comporta l’ascesi e la mortificazione, che a poco a poco conducono a vivere nella pace e nella gioia delle Beatitudini. Il Vangelo di oggi chiama in causa il modo di vivere la vita cristiana, che non è fatta di sogni o di belle aspirazioni, ma di impegni concreti, per aprirci sempre più̀ alla volontà̀ di Dio e all’amore verso i fratelli”.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.