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Vangelo di domenica 02 marzo: VII Domenica C: Luca 6, 39-45
DISCORSO DELLA PIANURA
39 Poi disse loro anche una parabola: «Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?
40 Un discepolo non è più grande del maestro; ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro.
41 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? 42 Come puoi dire a tuo fratello: “Fratello, lascia che io tolga la pagliuzza che hai nell’occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello.
43 Non c’è infatti albero buono che faccia frutto cattivo, né vi è albero cattivo che faccia frutto buono; 44 perché ogni albero si riconosce dal proprio frutto; infatti non si colgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva dai rovi. 45 L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore tira fuori il bene, e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore tira fuori il male; perché dall’abbondanza del cuore parla la sua bocca.Lc 6, 39-45
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Il brano di Vangelo di Lc 6,39-45 ci riporta alcuni passaggi del discorso che Gesù pronuncia sulla pianura dopo aver trascorso la notte in preghiera (Lc 6,12) e dopo aver chiamato i dodici ad essere suoi apostoli (Lc 6,13-14). Gran parte delle frasi riunite in questo discorso sono state pronunciate in altre occasioni, però Luca, imitando Matteo, le riunisce qui in questo Discorso della Pianura.
Il testo si articola in alcune similitudini. La prima ci invita a non essere “ciechi che guidano altri ciechi” (v. 39). Chi sono questi ciechi? Forse i farisei che pretendono di essere maestri dei loro connazionali nonostante la loro ottusità spirituale e mentale. Oppure i pastori delle comunità cristiane che guidano le Chiese e sono colmi di peccati. Ma in realtà questo detto è rivolto a tutti i cristiani che emettono sentenze, che giudicano arbitrariamente gli uomini o peggio ancora i loro fratelli. La cecità fondamentale è non ritenersi bisognosi della misericordia del Padre: dice Giovanni: “Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane” (Gv 9,41). I ciechi sono quindi coloro che “presumono di esser giusti e disprezzano gli altri” (Lc 18,9). Il vero discepolo è invece colui che sa vedere il proprio limite, il proprio peccato, e con umiltà ringrazia il Signore per il suo perdono e la sua salvezza. Il discepolo che non ha sperimentato la misericordia di Dio verso di lui agisce senza misericordia e conduce alla perdizione sé e quanti entrano nel raggio di azione della sua cattiveria.
Il secondo detto parabolico ci ricorda che non si può essere guide cieche, ma neanche super maestri (v. 40). L’unico Maestro è Gesù, che ha detto: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29); “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,47).
Scrive il Cardinale di Torino Mons. Roberto Repole: “Il Dio che si rivela in Cristo…. appare come il Dio umile. L’umiltà è un tratto distintivo di Dio. Umiltà deriva dal latino humilitas, parola che ha un riferimento a humus, terra. Umiltà richiama la terra. Come predicare l’umiltà del Dio Padre onnipotente della fede cristiana? Dio è il creatore del cielo e della terra (cfr Gn 1,1ss), colui che «i cieli e i cieli dei cieli» non possono contenere (cfr 1 Re 8, 27; 2 Cr 6, 18). L’umiltà sembrerebbe la caratteristica meno adatta a «dire» Dio. Eppure Gesù ha additato se stesso come il mite e l’umile di cuore: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Con questa descrizione Gesù ci apre uno squarcio sul mistero di Dio. Se l’umiltà ha avuto un così grande spazio nell’esperienza e nella riflessione spirituale cristiane, è forse perché essa permette di corrispondere nel modo più consono ad un Dio che si è manifestato, egli stesso, come umile. In Gesù, Dio si manifesta come umile proprio perché appare come Dio, che decide liberamente e per amore di compromettersi con l’uomo, di essere un «Dio con e per l’uomo», fino al punto di condividerne l’umanità in tutte le sue sfaccettature. Egli non è un Dio distante ed estraneo, ma s’inchina liberamente e gratuitamente a tal punto di fronte all’uomo che ama, da farsi egli stesso quell’uomo. Sono la libertà e la gratuità a farci leggere questa manifestazione di Dio in Cristo in termini di umiltà”.
E se Gesù è venuto a predicare la misericordia e la salvezza per tutti, così anche i suoi discepoli dovranno solo sempre annunciare la Gioiosa Notizia del perdono e della tenerezza di Dio per tutti, in ogni circostanza.
La terza similitudine (vv. 41-42) è l’esortazione all’astensione dal giudizio contro gli altri. Gesù vuole stroncare qualsiasi velleità di porsi al di sopra dei fratelli, minando l’armonia, la coesione, la pace comunitaria. L’evangelista dà ai cristiani che così si comportano l’appellativo di “ipocriti”, che Gesù rivolge normalmente agli scribi e ai farisei: il termine designa colui che recita in teatro una parte che non corrisponde alla sua condizione. Chi vuole ergersi a giudice degli altri deve cominciare a convertire se stesso. Il mio occhio deve sempre essere rivolto ai 10.000 talenti condonati a me, e non ai 100 denari che l’altro mi deve (Mt 18,23-35). Al discepolo è chiesto di estromettere la propria trave che lo rende cieco, senza mai credersi giusto e non bisognoso di misericordia. E l’altro deve essere da me graziato come io sono stato graziato: il mio occhio verso l’altro deve essere lo stesso occhio di benevolenza che Dio ha verso di me. Se guardo il mio debito non sono più cieco, ma vedo la misericordia usata verso di me; ma, se guardo il male dell’altro, giudico, mentre Gesù ha detto: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati” (Mt 7,1-2). Conviene allora essere davvero sempre sovrabbondanti nella misericordia verso i fratelli!
Nella quarta similitudine (vv. 43-44) Luca continua in questa requisitoria contro l’egoismo e la supponenza di alcuni, chi si permettono in comunità di alimentare divisioni e incomprensioni. Il discorso è illustrato da un esempio attinto dal mondo agricolo: gli alberi buoni danno soltanto frutti buoni. Il cristiano, ripieno della carità di Dio, non deve produrre che frutti di bontà e di misericordia.
La conclusione di questa pericope è che dal nostro cuore non deve uscire che “il bene” (v. 45). Per gli ebrei il cuore non è l’organo del sentimento, ma l’organo della volontà: il credente è chiamato a volere solo il bene, quindi a “voler bene”, ad amare sempre e tutti. Il testo ha una portata fondamentale per l’ortoprassi: non conta l’esteriorità, l’etichettatura, ma ciò che si è o si ha dentro. L’essere cristiani non si valuta dalle cerimonie o dal culto, ma dalla bontà d’animo, dalla capacità di amare, che è l’unica cosa che conta.
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.