Tutti I Santi – La Festa Degli Ultimi

Letture: Ap 7,2-4.9-14; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12

Nella festa di “Ognissanti”, la Chiesa, per farci capire chi sono i “Santi”, e come possiamo entrare anche noi nel loro felice novero (Prima Lettura: Ap 7,2-4.9-14), ci invita a contemplare la “Magna Charta” del cristianesimo, il brano delle Beatitudini. Le Beatitudini, come evidenzia specialmente la versione lucana (Lc 6,17-26), probabilmente più fedele alla fonte originaria, sono innanzitutto la gioiosa proclamazione di un grande “Purim”, di un totale ribaltamento delle sorti; esse sono l’annuncio del compimento della speranza di tutte le categorie di oppressi e di sfruttati della terra: i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati ormai sono “Beati”!

Dio vindice dei poveri è un concetto che troppo spesso dimentichiamo, però è Parola rivelata per noi: e il Nuovo Testamento compie questo annuncio nel Verbo definitivo e nell’esempio concreto di Gesù Cristo. L’Evangelo è innanzitutto la “buona novella annunciata ai poveri” (Mt 11,5; Lc 7,22), che sono i destinatari privilegiati del Regno che viene: “di essi è il Regno di Dio” (Lc 6,20)! Solo chi si riconosce povero, malato, bambino, peccatore, ed è quindi perseguitato per essere entrato in questa logica, può accogliere la salvezza (Mt 19,23-24; Lc 6,24; 18,9-15): guai quindi a chi si sente “a posto”, giustificato dai propri meriti: guai a chi giudica gli altri, e non si sente invece il peggiore di tutti! La logica del Vangelo è rivoluzionaria: “Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi” (Mc 10,31); “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno dei cieli” (Mt 20,16). Nella proclamazione, da parte di Gesù, con la parola e con l’esempio, della beatitudine dei poveri c’è la grande, gioiosa speranza di tutti i miseri della terra, che sanno che il Signore si è fatto veramente uno di loro, e ciò è per essi pegno di riscatto, di salvezza, e certezza di liberazione e di resurrezione!

Dalla prospettiva teologica-soteriologica si passò presto, nella prima Chiesa, a quella antropologica, presentataci soprattutto dalla versione matteana delle Beatitudini, quella del Vangelo di oggi (Mt 5,1-12). L’attenzione si trasferì dal comportamento di Dio nell’instaurare il Regno a quello dell’uomo per potervi accedere. Contemplando la logica di Dio si evidenziarono le condizioni che permettono all’uomo di diventare oggetto della sua misericordia.

Le Beatitudini sono quindi anche un invito a stare sempre dalla parte dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, degli oppressi, concretamente. Esse “sono una specie di autoritratto di Cristo, sono un invito alla sua sequela e alla comunione con lui” (Veritatis splendor, n. 16). Gesù è il modello delle Beatitudini: egli è il povero per eccellenza (Lc 2,11-12), l’afflitto (Eb 2,17-18), il mite (Mt 11,29), la misericordia incarnata (Fil 2,5-11), il puro di cuore (1 Pt 1,19), la nostra pace (Ef 2,14), il Servo perseguitato (Mt 23,34-39).

Per partecipare al Regno, a noi è chiesto di accogliere Gesù nella nostra vita, di fare di lui la nostra Beatitudine, e di trasformare le nostre vite a imitazione della sua. Siamo chiamati a vivere come lui, nella povertà e nella mitezza, nella sincerità e nella lotta per la giustizia e per la pace, nella follia cioè della logica della croce, nello scandalo della coerenza dell’amore (1 Cor 1,23); è un discorso duro, controcorrente ed anticonformista, opposto al pensiero di questo mondo: ma è l’unico modo – è Parola di Dio! -per essere già fin d’ora “Beati”, “figli di Dio… realmente” (seconda Lettura: 1 Gv 3,1-3), e per avere poi “la nostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,12).

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