“Sono un misericordiato perché la mia vita è stata un dono”

Articolo di don Vito Vacca, fidei donum della diocesi di Roma in Palestina, Giordania e Qatar rientrato dopo la pandemia

Ribaltando l’idea che noi siamo quelli bravi e quelli buoni, raccontiamo in questa rubrica quando siamo stati “misericordiati”

Perché solo scoprendo l’amore, possiamo restituirlo. Oltre a compiere le opere di misericordia, infatti, bisogna imparare a riceverle e a riconoscerle

(di don Vito Vacca)

Passati gli 80 anni mi si presenta la domanda: come voglio vivere il resto dei miei giorni?

Il primo pensiero è che il “resto dei miei giorni” potrebbe essere brevissimo, e comunque devo prendere qualche decisione per un tempo indeterminato. Potrei scegliere di ritirarmi nella casa paterna immersa in un bellissimo parco di alberi di ogni tipo … Oppure una casa attrezzata anche per anziani che offre una sicurezza pure per eventuali cure di cui potrei aver bisogno.

Una cosa mi è chiara: vivere per star bene e comodamente
godendomi il meritato riposo e la pensione” non mi soddisfa.

La vedo come una tentazione: “sto bene, grazie! Ho un alloggio assicurato, posso ancora svolgere qualche servizio e non mi manca niente: posso ancora passeggiare, leggere e vedere dei programmi interessanti, fare dei viaggi nei luoghi di cui sento nostalgia”.

Non è la tentazione di una vita borghese e comoda, o di desideri mondani, che so bene non mi porterebbero da nessuna parte, ma di una vita tranquilla dove ci sia posto per una certa sicurezza.

Non sarebbe un desiderio cattivo, ma mi rendo conto che il tempo passa e la vecchiaia avanza e mi resta poco tempo. Potrei ammalarmi e morire presto, e mi chiedo:

A che servirebbe passare qualche anno di tranquillità col solo scopo di stare bene?
No, non è il finale di una vita da missionario!

L’unica idea che a me appare sensata è di rimanere sulla breccia nel servizio pieno fino alla fine: rimanere disponibile per fare non quel che piace a me ma quel che mi viene chiesto fino all’ultimo.
In fondo ho sempre sperimentato che le scelte lasciate al Signore sono le migliori in tutti i sensi!

Questo sarebbe più consono alla mia vita passata che è stata – ne sono convinto – una vita tra le più belle,
con le sue difficoltà ma soprattutto con le grazie incomparabili che ho immeritatamente ricevuto.

Potrei felicemente dire con il vecchio Simeone: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola”, grato di come si è svolta la mia vita.

Ricordo con gratitudine gli anni passati come insegnante nelle scuole palestinesi, l’assistenza a persone povere o in necessità e il lavoro manuale dove c’era bisogno, le piccole cooperative che ho potuto formare per chi aveva bisogno di lavorare, la costruzione di locali necessari per delle comunità e i campi da calcio per le scuole e i giovani, le catechesi e le attività spirituali per le comunità locali e le comunità multiculturali degli immigrati.

Ho guidato parrocchie in Italia, in Palestina, in Giordania e Qatar e compiuto missioni itineranti in tutto il Medio Oriente.

Dopo 10 anni come parroco a Roma e la costruzione della chiesa e degli ambienti parrocchiali sono ripartito all’estero come “Fidei Donum” in Palestina, in Giordania e nei paesi del Golfo. Seguirono ancora anni indimenticabili e nuove esperienze.

Le varie tappe della mia missione non sono state un dono che io ho voluto fare
ma un dono che è stato fatto a me.

La promessa di Gesù del centuplo si è compiuta persino dal punto di vista fisico: ho avuto sempre il necessario e momenti splendidi, ho goduto di buona salute e non ho avuto bisogno di diete e palestre, di certe comodità ed esigenze che per molti si rendono indispensabili …

Essere partito per una missione mi ha permesso di parlare lingue e conoscere popoli, di divenire cittadino del mondo e imparare che al centro di tutto c’è la persona: aldilà di razze e culture, delle patrie e dei confini artificiali, di classi sociali e di religioni.

Proprio quando tanti amici mi dicono che ho fatto abbastanza e che ora posso meritatamente stare più tranquillo e godere del giusto riposo, mi domando:

può l’annuncio del vangelo essere un servizio a tempo
e potrei andare in pensione come se avessi esercitato un mestiere?

Come potrei ritirarmi per riposare quando tutta la mia vita è stata all’insegna del “dove c’è più bisogno”?

È vero che in realtà molte cose non le ho fatte con purezza di spirito ma per compiacere me stesso, o per avere la riconoscenza e la stima di altri, per adempiere a un dovere morale o per averne un merito, ma comunque la mia è stata una vita piena.

In questi ultimi anni l’esperienza missionaria mi ha permesso di vivere in modo ancora attivo e creativo, e devo ringraziare il Signore per i bellissimi ambiti di evangelizzazione che mi ha donato.

Non ho bisogno di ricevere il grazie di nessuno, ma di ringraziare tutti perché tutti sono stati un dono per me. Soprattutto devo ringraziare il Signore convinto che senza di Lui non avrei potuto fare niente.  

Per tutto questo sento quasi una repulsione a “fare il pensionato”, anche se, come dicono, sarebbe più che lecito e doveroso. Ma che senso ha mettermi a riposo dopo una vita intera di missione?

Tantomeno mi sento di ascoltare la voce di “maestri di vita laici” che mi dicono: “rassegnati! La vita è l’evoluzione di elementi materiali che si susseguono in questo universo senza fine e senza un traguardo. Accontentati di godere un momento di questa tua vita perché essa fugge veloce e non puoi farci niente. Rassegnati: le tue conoscenze, gli affetti che hai coltivato e le azioni che hai compiuto sono un soffio senza futuro. Tu non sarai più e il tuo passato è stato un caso”.

Non sarebbe ragionevole tutto ciò! Non è ragionevole ignorare un Dio che mi ha dato una vita talmente piena e ricca, e che credo renderà reale un futuro di eterno presente come il suo. L’io di ogni uomo è parte di un Dio che gli ha disegnato una relazione di amore e felicità eterna. La mia vita sarà illuminata piuttosto che annullata, verrà giudicata e purificata, e la mia persona sussisterà perché creata da Qualcuno che posso incontrare in un abbraccio di felicità piena.

Quello che invece mi peserebbe tanto sarebbe trovarmi nell’impossibilità di rendermi utile e nella necessità di essere io l’assistito. Stare dall’altra parte, quella di chi ha bisogno, è più difficile che stare dalla parte di chi aiuta.

Accettare la malattia e la debolezza, lasciarsi aiutare da altri
sarebbe forse la sfida e la missione più impegnativa.

Ma non so se sarei capace di viverla come un dono. Ho fatto tante cose, ma so bene che l’importante non è il fare, ma l’umiltà e l’amore con cui si fa. Spesso ho ricercato solo me stesso anche nel fare il bene, fiero di poterlo fare, e Dio sa che ho bisogno di un cammino di discesa e di purificazione del cuore.

C’è qualcosa che oggi reputo più importante di tutto: mi rendo conto che la vita passa, e non resta altro che Dio davanti a me. Tra qualche anno potrei non essere più in grado di stare bene, di rendermi utile, e poi verrà il momento di lasciare tutto. Entrerò nel banchetto del Regno di Dio?

Sono un miracolato per aver avuto una vita di dedizione,
sono un misericordiato
perché la mia vita è stata un dono e perché mi è stato perdonato il fatto di essermene appropriato.
Mi reputo fortunato perché nei luoghi della mia missione mi è apparsa la misericordia di Gesù,
uomo realizzato e umanizzato, che mi ha tracciato la via della vita.

Ma la vita non finisce con l’andare in pensione: potrebbe richiedere ancora più fede e coraggio, più dedizione e offerta più pura. E potrebbe essere ancora più preziosa.

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  • Foto di Pixabay (Pexels)
SEC 2024-2025
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