Noemi, missionaria laica, per tre settimane a Bangui nella Repubblica Centrafricana: “vi porto con me in Centrafrica”

Sono trascorse circa tre settimane dal nostro rientro e ancora oggi, i gesti più semplici, quali ad esempio schiacciare l’interruttore, aprire il rubinetto, accendere il gas, camminare o guidare per strada, mi riportano a Bangui e mi chiedo: solo tre settimane? A me sembra di aver vissuto tre mesi!

L’impatto di Noemi con il Centrafrica

Pensavo di essere preparata ad incontrare una popolazione, una cultura, un ambiente di cui da tempo sono a conoscenza ed è proprio vero quando si dice che avere delle informazioni è ben diverso rispetto all’esserci dentro.

L’ho capito da subito, già durante quel tratto di strada (che strada non è!) che dall’aeroporto porta a Kpetené: polvere, buche e … tanta, tanta gente, tutta impegnata in qualcosa, a vendere, riparare, trasportare.

E nei giorni seguenti, ogni volta l’occhio e soprattutto il cuore sono rimasti colpiti dai tanti e diversi particolari della loro vita, dove tutti hanno da fare!

Uomini, donne, ragazzi, bambini, tutti sono in movimento già sul far del giorno; nel loro “spazio” all’aperto, quasi incuranti della gente che passa o della strada accidentata con i solchi da schivare; incuranti delle ore sotto il sole che scotta per vendere un po’ di verdura; incuranti della fatica di spingere a mano carichi di legname, di trasportare pesi sulla testa, con un bambino sulle spalle e un altro per mano; incuranti del gran da fare che si svolge intorno!

Anche il nostro sguardo è sempre in movimento, prima di tutto rivolto a terra per non inciampare, poi davanti e ai lati per fissare particolari di una vita quotidiana che si svolge tutta fuori, gesti semplici ed essenziali come: andare a prendere l’acqua, fare il bagno ai più piccoli, mettere la pentola sul fuoco, fare il bucato, friggere le frittelle ai lati della strada, mettere un banchetto davanti a casa con qualcosa da vendere, scavare terra per farne dei mattoni da seccare al sole; e sempre qua e là bambini che giocano con…niente!

E che dire della curiosità mista a sorpresa con la quale i ragazzini ti vengono incontro, la gente ti sorride e risponde al saluto!

Ma ciò che ancora di più ti colpisce sempre, è il loro aspetto riservato e dignitoso che diventa gioioso ed esuberante nei momenti di festa; con il canto e la danza ti fanno dimenticare e forse dimenticano loro stessi, la fatica e gli stenti di ogni giorno.

La dura realtà del vivere quotidiano in Centrafrica

La domanda che mi martella dentro è sempre la stessa: come si fa a vivere in questo posto dove regna il disagio, la privazione, la fatica? Penso alla storia di questo popolo, come a quella di tanti altri, sopraffatti da un potere che opprime piuttosto che promuovere o, peggio ancora, ai tanti martoriati da “inutili guerre”.

E mi chiedo: Dio che “ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza” come fa a “resistere” di fronte a una umanità che a volte sembra fare di tutto per essere proprio il contrario di come Lui l’ha voluta?

Osservando questi volti a tratti timidi, a tratti pazienti, a volte anche un po’ rassegnati si fa strada in me la certezza che il “paziente” progetto di Dio non finisce dove finisce il mio sguardo, anzi è proprio là dove non vedo e non capisco, che diventa realtà la promessa del Cristo Risorto: “Sono venuto perché abbiano la vita” (Gv.10,10). Quale vita? La vita stessa di Dio, la sola che può saziare tutte le aspirazioni del cuore umano, la sola che può far dire a loro come a noi: si, è proprio vero, il Signore ascolta il grido del povero che lo invoca e libera il misero che non trova aiuto!

È solo guardando la loro vita con questa certezza che posso dire di aver fatto una bellissima esperienza.

Ringrazio di cuore chi mi ha invitata a Bangui e le sorelle, Figlie di Maria Missionarie, che mi hanno accolta.

A cura di Suor Ines Carlone – Suore Figlie Maria Missionarie

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Fonte dell’articolo

Spazio Spadoni

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