Misericordia e… PACE

Si conclude la rubrica per approfondire alcune tematiche mondiali alla luce del Giubileo, declinando la parola “misericordia”

In cima alle scale del Palazzo Pretorio, varcammo le soglie di un mondo a parte. Dove l’Appennino lascia il posto alla Valtiberina, in poche stanze della locale Casa comunale di Pieve Santo Stefano (Ar), trova spazio un microcosmo unico, il Piccolo museo del diario. Un mondo piccolo (per ora), ma che vale il viaggio. È il modo per far parlare l’Archivio diaristico nazionale, che ha sede qualche centinaio di metri più in là. In esso sono raccolte vite all’apparenza semplici e riservate, così come quelle complicate e avventurose.

Nei faldoni dell’Archivio hanno dimora tanti diari che narrano i giorni difficili
nelle trincee della Grande guerra, ma anche tra gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale,
dalla lotta partigiana all’inutile spedizione dell’ARMIR, in Russia.

L’abominio di una guerra è impossibile da raccontare. Si può porvi rimedio solo mettendo in fila i giorni vissuti dalle singole persone. L’odio, la barbarie, il disprezzo fanno parte dell’umanità fin da quando Caino uccise suo fratello Abele, come descritto nella Genesi.

Eppure, c’è stato un momento in cui le Nazioni hanno creduto che il limite fosse stato sorpassato e bisognava darsi una regolata: mai più! Dopo la duplice esplosione di ordigni atomici in Giappone, nel 1945, era ormai lampante che il passo successivo sarebbe stato l’Apocalisse. E ci siamo già andati vicini più volte.

La speranza, però, è durata poco; il tempo di spartirsi le conquiste, le influenze, e la guerra da calda è diventata fredda e ha congelato i quattro decenni successivi.

Come giovani cervi, che incrociano le corna per sfidarsi e decretare il più forte del branco, così si sono lasciati esplodere conflitti ristretti e faide locali. Salvo, ora, nel giro di pochi mesi, noi europei ci stiamo risvegliando dal letargo, proprio quando si sta assottigliando l’ultima generazione che ha visto la guerra.

Forse è proprio l’inizio del nostro ragionamento ad essere sbagliato.

Crediamo – almeno in molti lo facciamo – che la pace sia l’assenza della guerra.
Non c’è nulla di più errato. È una concezione antica, greco-romana.
Così come sarebbe una pia illusione pensare che l’uomo possa cambiare totalmente.

«Non dobbiamo rassegnarci al male – scrive Aldo Cazzullo nel libro “Il Dio dei nostri padri” –, anzi, dobbiamo individuarlo e combatterlo; ma dobbiamo anche capire che il male fa parte della storia e di noi; e ogni tentativo di trasformare l’uomo in un angelo, o di cambiare radicalmente l’uomo qui e ora, è destinato a fallire, talora nel crimine e nella tragedia».

Ecco che il Santo Padre ci viene in aiuto e allarga, e di molto, l’ambito di riflessione.

«L’evento giubilare ci invita a intraprendere diversi cambiamenti,
per affrontare l’attuale condizione di ingiustizia e diseguaglianza,
ricordandoci che i beni della terra sono destinati non solo ad alcuni privilegiati, ma a tutti».

Così scrive Papa Francesco nel suo Messaggio per la LVIII Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2025).

Nello stesso Messaggio, il Papa ci aiuta a chiudere il cerchio aperto con Misericordia e debito: «Non mi stanco di ripetere che il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati».

Così la misericordia, di Dio e dell’uomo, non può portare effetti, se non si applica una remissione del debito. Il debito, una volta pagato o rimesso, non deve allungare la pena; la pena non può restringere o addirittura eliminare la speranza; la speranza non può passare da uomo a uomo senza un’adeguata, corretta e appassionata comunicazione; la comunicazione, infine, non può essere costruttiva, se non porta al superamento delle ingiustizie e, quindi, se non è foriera di pace, sociale e nella società.

Dove l’Appennino lascia il posto alla Valtiberina, non lontano da Pieve Santo Stefano, precisamente a Sansepolcro, entri nel Museo Civico e un’immagine ti abbaglia.

Piero della Francesca compendia un’intera enciclopedia in un affresco, grande poco più di due metri per due. È la Resurrezione. Cristo ha il piede sinistro poggiato sul bordo della pietra tombale, nell’atto di uscire dal sepolcro. I soldati, che dovrebbero far la guardia al suo corpo affinché non venga portato via per fingere un suo impossibile ritorno in vita, dormono beati e sono ridotti a un assopimento inoffensivo.

Sta a noi scegliere se porre un piede sulla pietra tombale, una volta misericordiati,
e uscire dalla fossa, oppure giacere nel torpore degli ignavi. 

«Se ci lasciamo toccare il cuore da questi cambiamenti necessari, l’Anno di Grazia del Giubileo potrà riaprire la via della speranza per ciascuno di noi. La speranza nasce dall’esperienza della misericordia di Dio, che è sempre illimitata». Lo dice il Papa, c’è da fidarsi.

Francesco Di Sibio
Responsabile Ufficio comunicazioni sociali
Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia

 

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