Misericordia e… COMUNICAZIONE

Una nuova rubrica per approfondire alcune tematiche mondiali alla luce del Giubileo, declinando la parola “misericordia”

Gli agenti della Polizia di Stato controllano al metal detector le mie intenzioni: sono solo un pellegrino. Poi, in fila, varco in gruppo la Porta Santa di San Giovanni in Laterano, la basilica cattedrale di Roma.

Mi sento un novello Dante, pellegrino a Roma – romeo, come diceva il Sommo poeta – per quello che è stato il primo Giubileo della cristianità. Era il 1300. E un novello Petrarca, anch’egli presente in quello seguente, nel 1350. In comune con loro, però, possiedo solo la passione per le parole.

L’occasione è data dal Giubileo del mondo della comunicazione, che inizia al Laterano con una celebrazione penitenziale.
Il giorno non è stato scelto a caso, è il 24 gennaio e si ricorda San Francesco di Sales, vescovo francese, patrono dei giornalisti e, più in generale, dei comunicatori.

Come usanza, a mezzogiorno, è stato reso pubblico il Messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, la LIX.

Il Pontefice, nel testo, mette in guardia sulla situazione attuale: «in questo nostro tempo segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti».

Aperti gli occhi sul potere di condizionamento esercitato, più che minacciato, da pochi oligarchi tecnocrati multimiliardari, invita a un passo difficile e costoso: essere pietra d’inciampo, esempio che mette in dubbio tutta la costruzione; infatti, «troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fatalismo e addirittura odio… Ho già ribadito più volte la necessità di “disarmare” la comunicazione, di purificarla dall’aggressività».

Attenzione!

Non si tratta di imboccare la via buonista e proporre esclusivamente buone notizie – quelle che gli anglofoni chiamano “good news” – sarebbe davvero una pessima soluzione. Bisogna certo lasciare spazio alle notizie positive, ma non ci si può limitare a esse.

Si tratta, invece, di esercitare la propria professione in maniera seria,
lontani dalle due tentazioni contemporanee: le notizie false (fake news) e le notizie faziose.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa bianca mi ha riportato alla mente quell’ondata di interferenze, interne ed esterne (leggi Russia), per indirizzare l’elezione del magnate statunitense, prima, l’andamento del suo mandato presidenziale, poi.

All’epoca si enfatizzò il termine post-verità, brutta parola per indicare “Argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica” (cit. Treccani).

Si può basare un impegno governativo su delle vere e proprie bugie diffuse ad arte?

Se questo primo punto riguarda tutti noi, in quanto comunicatori, più o meno consci, da quando il mondo dei social ha invaso il mondo degli uomini, il secondo è maggiormente rivolto a chi comunica per mestiere, insomma, dai giornalisti in giù.

È storia del nostro passato prossimo. Nei mesi della guerra scoppiata tra Israele e Hamas, in seguito all’atroce mattanza e ai sequestri di massa del 7 ottobre 2023, nel mondo ci si è divisi in tifoserie partigiane. Quando le notizie spingevano sull’attacco infame, alle finestre delle abitazioni fiorivano bandiere di Israele. Quando, invece, Netanyahu ordinava infami rappresaglie sul territorio dominato da Hamas, spuntavano bandiere della Palestina.

A situazioni complesse non fanno mai seguito spiegazioni semplici.

A questo servono i comunicatori, a spiegare con pazienza e competenza la realtà.

Guai a pensare che il lavoro di saper dire le cose con chiarezza ai lettori/telespettatori/utenti sia uno svilimento, un rendere banali le storie.

Sempre per il Giubileo del mondo della comunicazione, sabato 25 gennaio, nell’Aula Paolo VI, è stata organizzata una mattinata d’approfondimento. Mi hanno colpito le parole di Maria Ressa, giornalista filippina già Premio Nobel per la Pace nel 2021, insieme a Dmitrij Muratov, direttore del periodico indipendente russo Novaja Gazeta, «per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è un prerequisito per la democrazia e la pace duratura», si legge nella motivazione.

«Per inseguire il potere e il denaro, la tecnologia ha permesso un’insidiosa manipolazione della democrazia», ha affermato. Inoltre, «Le Big Tech hanno trasformato i social media da strumento di connessione in un’arma di ingegneria comportamentale di massa. Monetizzano l’odio; amplificano le nostre divisioni; e sistematicamente erodono la nostra capacità di pensiero sfumato e di empatia».

Infine, la giornalista perseguitata nel suo Paese ha scandito: «il modello di business delle Big Tech – il capitalismo della sorveglianza – è costruito su un fondamentale tradimento della dignità umana dove la privacy dei dati è diventata un mito e l’IA e gli algoritmi ci hanno clonato e manipolato».

Il tema fondante dell’intervento di Ressa era il rapporto tra comunicazione e democrazia. Frontiera che richiede un impegno immediato.

Prossimo argomento: Misericordia e pace

 

Francesco Di Sibio
Responsabile Ufficio comunicazioni sociali
Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia

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