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Le Opere Di Misericordia Corporale – Seppellire i morti

Le Opere di Misericordia consigliate dalla Chiesa non hanno priorità l’una sull’altra, ma tutte sono di uguale importanza

È un funerale quello che ci mostra Courbert, pittore francese in contrasto con la tradizione accademica idealista del suo tempo, nel suo grande quadro (6m.X3m.) del 1849, conservato al Museo di Orsay. Inizia così di solito il seppellimento di un defunto e Courbert (1818/1887) per realizzarlo fece il ritratto a una 50 di persone del suo paese a Ornans, cercando di individuare i vari atteggiamenti che comunemente animano i partecipanti alle cerimonie funebri. Qui sono tutte persone comuni come il defunto di cui si vede appena la bara, coperta da un drappo bianco, vicino ad una fossa un teschio e il crocifisso che quasi timidamente sovrasta il gruppo. I colori sono terrosi, scuri, pastosi, la luce diffusa e indefinita, mette ben in evidenza la fisicità dei personaggi disposti in un’unica massa orizzontale, sovrastata da un colore giallognolo che si sfuma col grigio verde del cielo. Considerato come l’iniziatore del realismo, Courbert ebbe critiche molto pesanti soprattutto per questo quadro considerato come omaggio alla volgarità e alla bruttezza perché si opponeva decisamente agli ideali del classicismo e del romanticismo.

Inoltre ci presenta la realtà per quello che è senza abbellimenti in netto contrasto con la cultura borghese del tempo, sminuendo in modo sgradevole l’importanza del rito. In effetti Courbert indaga sulla psicologia dei personaggi e come ancora succede oggi, nota il chiacchiericcio di alcuni, la poca partecipazione al dolore, chi si volta ad osservare gli altri, chi è presente per convenienza. Ignari di ciò che sta avvenendo sono i chierichetti che chiedono spiegazioni o restano indifferenti come il sacerdote serio nell’eseguire il rito. Spiccano tra la folla posta davanti a un rude paesaggio, i sacerdoti vistosamente vestiti di rosso, gli abiti scuri, le cuffie bianche delle donne, e il cane randagio che si avvicina al gruppo, rivelando il verismo di una comune attività umana.

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Di tutt’altra intensità spirituale è il “seppellimento del corpo di Cristo” eseguito nel 1602/1606, ora alla galleria Borghese, dal pittore fiammingo Peter Paul Rubens (1577/1640). Anche qui l’autore fa un’indagine psicologica accurata dei personaggi, ma questi rivelano un’intensa partecipazione all’evento, e sembrano portare lo spettatore a vivere questo dramma della morte. Rubens ammirò molto il dipinto di Caravaggio dello stesso soggetto e, dopo un anno dalla morte di Caravaggio nel 1610, lo elaborò ad Anversa lontano dall’opera originale. Figlio di protestanti si convertì al cristianesimo all’età di 14 anni, iniziò il suo apprendistato nelle botteghe locali per poi essere nominato maestro della Corporazione dei pittori di Anversa.  Ebbe presto grandi commissioni dai nobili di Francia, Spagna e Italia e morì ad Anversa.

Rubens in questa sua opera dispone un grande arco buio in alto, simbolo di morte, fa di Cristo un corpo umano pesante che viene messo nella tomba quasi con malagrazia.  A lasciarlo andare è il giovane s. Giovanni intento a sostenere la Vergine che, addolorata volge lo sguardo in alto, quasi a chiedere aiuto per compiere un’azione tanto difficile quanto penosa. Cristo, fortemente illuminato, mostra i lividi delle torture, mentre l’uomo anziano sulla destra, potrebbe essere Nicodemo col volto di s. Filippo Neri. Questi, volgendo lo sguardo corrucciato, sembra voler esprimere le difficoltà che si sono presentate nell’esecuzione della sepoltura, e la relativa procedura.  La luce colpisce in modo deciso il bel volto del Cristo, della Maddalena in atteggiamento quasi scomposto, forse per ricordare il suo passato, lasciando più in ombra gli altri personaggi, per esaltare quel momento tragico e rispettare il dolore profondo che vivono tutti i personaggi. Tutto il dramma è attenuato dai colori caldi, contrastanti con i più scuri, ma smorzati che si contrappongono al bianco del corpo di Cristo e del sudario, e spiegano il tragico momento in modo coinvolgente.

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Certo seppellire i morti è un’opera difficile da compiersi e specialmente in questi ultimi tempi, è il mare ad adempiere a questa incombenza. Quante volte abbiamo sentito parlare di queste vittime del mare: pescatori o immigrati. Lorenzo Viani, un artista viareggino contemporaneo di nota fama, riflette proprio su questo tema e ci lascia un’opera molto significativa: “Benedizione dei morti del mare” del 1914/16, nel museo di Viareggio. Il vero protagonista è il dolore delle donne che si affiancano composte in rassegnata accettazione, mentre stringono i loro figli ormai orfani. Il colore nero compatto delle loro vesti, fa risaltare questi volti ormai maschere di dolore, tra cui spicca un volto giovanile e dolce quasi a ricordare il viso della Madonna. Figure nere davanti a un mare grigio scuro, appena segnato da qualche piccola onda bianca, che hanno aspettato fiduciose, recitando il rosario per il ritorno dei loro cari, che non rivedranno più. Le tradizioni sostenute dalla fede, regolate dal tempo che trascorre inesorabile, sono espresse dall’autore con un cromatismo forte, volumi piatti, con una struttura compositiva rigidamente geometrica.

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La tragedia, l’angoscia dell’attesa, il congiungersi delle mani, l’abbraccio al naufrago, lo stringere i figli a sé, già rassegnati al tragico destino, genera emozioni travolgenti. Il Viani scrive: “anche il mare, sterminato cimitero, è stato benedetto stamane all’alba…. Le famiglie dei dispersi si radunano intorno alla chiesetta… il prete leva il braccio e la benedizione pioviggina sul mare di piombo”. Immagini e parole sintetizzano efficacemente la realtà di questa ultima opera di misericordia corporale, che invita tutti alla riflessione.

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