La Speranza nell’Antico Testamento
Percorriamo le pagine della Bibbia ebraica per approfondire il tema dell’anno giubilare che stiamo per iniziare: la speranza
Per capire questo atteggiamento fondamentale della nostra vita umana, presente fin dalla notte dei tempi, la prima cosa che dobbiamo fare è … fare pulizia di ciò che noi crediamo sia.
“Aspetta e spera…” è uno dei nostri modi di dire più diffusi e, normalmente, significa un atteggiamento rinuciatario e sconfitto, quasi a dire che sia tipico di persone che non vogliono darsi da fare, che aspettano (invano) che un aiuto gli venga da qualche parte. “Aspetta e spera…” tanto non arriverà niente! Questa nostra interpretazione, tipica anche di società che hanno cancellato Dio dal loro orizzonte, non è evidentemente quella che ci presenta la Bibbia.
Il cammino della speranza
La Bibbia è storia umana, storia di esperienze umane accumulate nei secoli, quindi passate alla prova del tempo e, spesso, condivisa da varie culture, quindi allargate nello spazio umano in ogni continente. Ma è al contempo storia divina, storia di un Dio che non è rimasto nei cieli a guardare, ma ha voluto mescolarsi all’umanità, “gemendo con le sue viscere di misericordia”, compatendo, intervenendo, aiutando gli esseri umani nel concreto delle loro esistenze. Anche nei testi sacri, quindi, la speranza si colora di tante sfumature. Vediamone alcune.
Uno dei testi più antichi è tratto dal libro dei Salmi che, sebbene composto in epoca posteriore, riflette idee molto tradizionali, antiche, alla base della religiosità e della fede del credente israelita:
“Ricordati della Parola data al tuo servo; con essa mi hai dato speranza” prega il salmista (Salmo 119,49).
Il verbo usato (yahal) in altri testi è proprio sinonimo di “aspettare” ma un attendere pieno di fiducia, un aspettare sicuri che ciò che si attende arriverà, certamente! La preghiera di questo testo, poi, è molto chiara: oggetto dell’attendere, della speranza è proprio la Parola di Dio. Egli con la sua Parola crea situazioni nuove, certamente Egli porterà a termine quanto promesso!
Si tratta di un’espressione tipica di una società “orale”, dove la parola data aveva più garanzie della nostra PEC di oggi. Una stretta di mano e la parola data equivalevano ad un contratto bello e buono, che non si poteva rompere, pena perdere la faccia, perdere la fiducia di tutta la società umana, nessuno si sarebbe più potuto fidare di fare affari o concludere qualsiasi contratto con una persona che non mantiene ciò che dice! La distanza con il nostro mondo, dove si dice e si contraddice quanto detto con una facilità estrema, non potrebbe essere maggiore.
Comunque anche a quel tempo era noto che le parole umane non sono stabili e sicure come le parole divine: la Parola per eccellenza, quella di Dio, è stabile, fedele, sicura. Tuttavia questi testi ci ricordano una verità fondamentale, che rimane tale anche se la rinneghiamo: anche le parole umane creano situazioni nuove. Anche se fragile, la nostra parola umana ha un peso enorme! Possiamo pronunciare con il cuore parole di amore che creano legami che durano una vita, possiamo assicurare con la nostra parola un’amicizia eterna, un esserci che non verrà mai meno. Ecco la prima speranza-certezza.
Per tanti esseri umani l’illusione è porre la speranza nelle proprie buone azioni, nel proprio sapersi comportare bene: “Il tuo timor di Dio non è forse la tua fiducia? E l’integrità della tua vita non è forse la tua speranza?” (Giobbe 4,6). Gli amici di Giobbe, accorsi a consolarlo nelle sue pene, ripetono un luogo comune, tanto diffuso e conosciuto anche ai nostri giorni. Invece di appoggiarsi alla Parola di Dio, si ripone la propria speranza-certezza nella propria bontà di vita: non faccio niente di male, rispetto il prossimo, osservo i comandamenti … sono a posto! E’ l’illusione che basti pulire “l’esterno della coppa” (Matteo 23) senza curarsi dell’essenziale: ciò che rende puri o impuri proviene dall’interno, dal nostro cuore. Ciò che esce dai nostri pensieri, progetti, rende pura (cioè integra, beata, piena di significato) la nostra vita.
I profeti hanno spesso messo in evidenza questa illusione con sfumature diverse. Anziché nella propria (presunta) buona condotta, molti credenti si sono spesso lasciati trascinare nel corso della storia nel riporre la propria speranza nella propria capitale (Lamentazioni 3,18), negli eserciti (Ezechiele 37,11), nei cavalli (i carri armati di oggi), nelle alleanze politiche con i forti alleati (Egitto o Babilonia). Il consigliere del re, lo stimato profeta di corte Isaia spesso ritorna sul tema, invitando – invece – a riporre la propria fiducia in Dio. Il Signore, infatti, salva non per mezzo di eserciti o alleati potenti, bensì con mezzi umili e semplici: “Per chi è unito a tutti gli altri essere viventi c’è speranza: è meglio un cane vive che un leone morto” (Qoelet 9,4). Da qui deriva il nostro detto: “Finché c’è vita, c’è speranza”.
Nel libro della Sapienza
Il libro della Sapienza, rileggendo la storia fin dalle sue origini, ricorda nel momento tragico in cui tutta la terra veniva sommersa nuovamente dalle acque, tutta la speranza umana nel mondo era riposta in una piccola zattera, la piccola imbarcazione con cui Noè ha salvato la vita e il futuro dell’umanità dal Diluvio universale. Da lì è ripartita la vita per tutti (Sapienza 14,6). Grande insegnamento ancora per il nostro tempo: anche quando sembra che il male sommerga tutto il mondo come un grande diluvio, c’è sempre la speranza che qualche essere umano crei uno spazio in cui difendere la vita, in cui la vita è possibile, un’Arca in cui la vita galleggia e vince la morte delle acque.
E’ lo stesso libro che, riflettendo su tanti aspetti della nostra vita umana, si rivolge al Signore, dicendo: “Hai riempito i tuoi figli di speranza, perché concedi la conversione dopo il loro peccare” (Sapienza 12,19).
Il peccare, i nostri sbagli, gli errori di valutazione, le debolezze non sono l’ultima parola su di noi.
Il Signore dona sempre la possibilità di “cambiare mentalità” (metanoia), di rialzarsi dalle cadute, di avere un cuore nuovo, come dice altrove nei sacri testi. La nostra certezza (= speranza) è che il peccato umano non è più forte della misericordia divina, mai!
Ancora qui, troviamo un altro stupendo testo, in cui riflette su ciò che spesso tormenta anche la nostra vita: i malvagi prosperano e sembra che niente li disturbi, mentre chi cerca di fare il bene è tormentato, perseguitato, sofferente: “Le vite dei giusti sono nelle mani di Dio. […] Essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini essi sembrano castigati, la loro speranza è piena di immortalità” (Sapienza 3,2-4). Stupenda meditazione sulla nostra fragile esistenza umana. Spesso ciò che si vede è apparenza (illusione, direbbe il Buddismo), una specie di miraggio, simile agli effetti ottici cui è soggetto l’occhio umano nel deserto. Ma la realtà delle cose, la verità di noi stessi è un’altra. L’apparente sconfitta dei tanti poveri del mondo, dei piccoli, degli inermi, dei martiri si trasforma in un canto di vittoria, pieno di speranza immortale.
Anche il libro dei Maccabei, scritto in un tempo di persecuzione feroce, in un tempo di lotta per la propria fede, anche davanti al martirio la speranza di essere risuscitati rimaneva viva e forte (2Maccabei 7,14). La paura, la violenza, i tentativi di sopraffazione e di prevaricazione nei confronti dei credenti non tolgono mai dal loro cuore la speranza “che Egli ci usi misericordia e ci raduni nuovamente” (2Maccabei 2,18).
Conclusione
Questi testi tratti dall’Antico Testamento ci hanno brevemente dimostrato che nell’esperienza dell’umanità condensata nel tempo e nello spazio umano nei libri della Bibbia c’è sempre la possibilità di scelta per l’essere umano. Si può scegliere di vivere prigionieri della paura, delle circostanza avverse, delle ansie, lasciandosi trascinare dalla maggioranza, oppure si può costruire nel proprio cuore uno spazio di luce, di speranza in Dio, uno spazio in cui Egli stesso venga ad abitare, portando – tramite noi – amore e pace al mondo intero.
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