La Speranza: le Lettere Paoline e altri scritti del Nuovo Testamento

Chiediamo ancora una volta aiuto a san Paolo per approfondire il tema della speranza. Egli ci invita a considerare il tempo passato: “Ricordatevi del tempo in cui eravate senza Cristo… esclusi dalle promesse… senza speranza e atei nel mondo” (Ef 2,12)

Prima di conoscere la salvezza e la luce portata dal Signore Gesù Cristo eravamo senza appigli, senza certezze, senza speranza di potercela fare. Per quante persone la vita appare una montagna impossibile da scalare, un’avventura cupa, un viaggio che si è costretti a fare.
Il battesimo, la conoscenza e l’immersione nel mistero pasquale del Signore Gesù costituiscono l’esperienza che dà senso, gusto, direzione, meta all’avventura umana. Poter contare (ossia sperare) su Gesù è la rinascita, è apertura alla luce divina, inserimento in una comunità di salvati che invocano il nome del Signore.

Considerare la sorte di “coloro che si sono addormentati”, potrebbe portare alla tristezza, come “i tristi che non hanno la speranza” (1Tess 4,13). San Paolo ricorda che bisogna “capire a quale speranza siamo stati chiamati” (Ef 1,18), perché è “una sola la speranza alla quale siamo chiamati” (Ef 4,4) e questa unica speranza è basata su di un fatto storico, non su vane parole, promesse evanescenti o giochi di prestigio.

La chiamata ad una vita santa, piena, gioiosa, piena di speranza è “la speranza del Vangelo” (Col 1,23), la “Buona Notizia” per eccellenza, “la speranza che ci attende nei cieli” (Col 1,5), in quel cielo che è il nostro cuore, dove abita quel Padre Nostro che invochiamo spesso, “Cristo in noi, speranza della gloria” (Col 1,27).

Scegliere da che parte stare

Certo, non basta una cerimonia, non basta essere battezzati per essere immersi nella speranza. Arriva sempre il momento in cui dobbiamo e possiamo in maniera autonoma decidere da che parte stare. La vita è anche lotta, per cui bisogna indossare l’armatura di Cristo,  “rivestire la corazza della fede e dell’amore gratuito, indossare l’elmo della speranza della salvezza” (1Tess 5,8). Tutti ci ricordiamo della pesante armatura messa sul giovane pastore Davide, per affrontare l’enorme e addestrato Goliah, bene armato.

E’ l’esempio perfetto di chi si appoggia sulle proprie certezze terrene: soldi, armi, violenza, amicizie potenti… (cf. 1Tim 6,17). Davide capisce che deve disfarsene e affronta e vince Goliah armato solo della sua fionda di pastore e fiducia in Dio. “Per questo – dice san Paolo – ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente” (1Tim 4,10). “Indossare” Gesù Cristo, confidare unicamente nella sua misericordia, sperare saldamente in Lui è la sola condizione per la vittoria.

Il contadino che ara e trebbia ha in cuor suo la speranza (= certezza) di vedere i frutti del suo lavoro (1Corinti 9,10). Eppure per molti la vita è solo un duro lavoro, dove non si vedono i frutti delle proprie fatiche, una lotta senza quartiere senza la certezza della vittoria. Sembra passare di sconfitta in sconfitta, e ci ritroviamo come la prima comunità di credenti in Cristo di fronte ad un fallimento: “Anche noi speravamo”, dicono i depressi discepoli che si stanno allontanando da Gerusalemme per andare ad Emmaus.

Per questo Paolo aggiunge: “se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). Sotto la croce i potenti di questo mondo deridono, si sentono vittoriosi, bestemmiano, disprezzano e commiserano quei poveretti che hanno fondato la propria speranza nel predicatore di Galilea, ormai morto come un trasgressore, un malfattore, uno sconfitto.

Cristo dona speranza

Ma Cristo è risorto dai morti, “Egli ci ha dato consolazione e speranza” (2Tess 2,16), Egli è il Vivente e trasmette, a chi spera in lui, le chiavi della vita. Egli ci ha donato la “speranza nella vita eterna, promessa fin dai secoli eterni da Dio, che non mente, e manifestata nella parola della predicazione a me affidata”, dice con coraggio san Paolo (Tito 1,2). In Dio da sempre abbiamo la speranza di una vita piena, sensata, dove ogni nostra lacrima è contata, dove ogni nostro sforzo e fatica di operare con la stessa misericordia che abbiamo ricevuto è tenuto in considerazione e remunerato come solo Dio sa fare, con generosità infinita.

In un passaggio non molto facile della non facile Lettera agli Ebrei, testo fondamentale del Nuovo Testamento, l’autore anonimo esorta a “dimostrare sino alla fine il medesimo zelo per giungere alla pienezza della speranza” (Ebr 6,11). Sta parlando della promessa di Dio ad Abramo, di cui i credenti diventano eredi. La promessa di Dio è una certezza, suscita la speranza e i cristiani sono eredi della promessa.

Con una struttura grammaticale complessa, tipica dello stile di tutta la sua lettera, l’autore ricorda la promessa irrevocabile della benedizione di Dio, che porta “un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa, infatti, abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita” (Ebr 6,18).

E’ il brano che ha ispirato tantissimi artisti cristiani. L’àncora di una nave è un simbolo ricorrente, fin dall’arte paleocristiana. Gli Ebrei notoriamente non sono un popolo di navigatori, ma l’autore della lettera riporta ciò che si trova in alcuni autori greci. L’àncora garantisce sicurezza ad una nave, impedendole di essere portata alla deriva dal vento.

Lasciando la metafora marinara, l’àncora diventa nel nostro testo ciò che penetra “al di là del velo”, cioè del Santo dei Santi del Tempio, precisando subito, però, che non si tratta del tempio di Gerusalemme, bensì del luogo in cui entrò Gesù, ossia il santuario celeste, luogo della presenza di Dio (Ebr 9,24). Gesù diventa il precursore di tutti, perché nel suo mistero pasquale ci ha introdotti nell’intimità di Dio, inaugurando una via nuova e vivente (Ebr 10,20).

San Pietro

E’ ciò che ribadisce anche san Pietro, all’inizio della sua lettera: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati , mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva” (1Pt 1,3). Con la risurrezione del Figlio Gesù, il Padre celeste ha dimostrato ancora una volta il suo cuore misericordioso, facendoci rinascere per una speranza che ci inserisce nella vita risorta e per questo sempre viva. E’ anche il testo che unisce la speranza con la misericordia (con le sue opere), tanto cara al nostro spazio + spadoni.

La salvezza, di cui in Cristo già facciamo esperienza, si manifesterà in tutta la sua realtà nel tempo escatologico: “Cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà dato quando Cristo si manifesterà” (1Pt 1,13). Siamo nella gioia, nella luce, nella speranza, “anche se per un po’ di tempo afflitti da varie prove” (1Pt 1,6), come i servitori fedeli della parabola evangelica che restano vigili nella notte in attesa dell’arrivo dello Sposo. Quando arriverà e si manifesterà in pienezza, il suo amore misericordioso confermerà la nostra salda speranza.

Nel frattempo san Pietro ci invita a non spaventarci né turbarci, ma ad essere “sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). E anche ai nostri giorni possiamo sperimentare, seppur in piccola parte, la verità di questa affermazione, sapendo quanto è importante essere testimoni di speranza in un tempo in cui molte altre certezze e àncore della vita umana crollano miseramente. Con la nostra àncora saldamente piantata nell’evento pasquale del Signore Gesù che ha cambiato la storia, non temiamo i venti che scuotono le piccole imbarcazioni delle nostre esistenze umane.

San Giovanni

L’ultimo testo del Nuovo Testamento proviene dalla voce di san Giovanni. Nelle sue lettere, riassume la nostra esperienza di speranza in modo magistrale. Leggiamo tutto il contesto: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce, perché non ha conosciuto Lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è. Chiunque ha questa speranza in Lui, purifica se stesso, come Egli è puro” (1Gv 3,2-3).

Ancora una volta sono testi che ci danno il capogiro. Immersi nelle nostre povere vite, fatichiamo a credere di essere già, allo stesso tempo, ancorati ad una speranza così viva, gioiosa e pura. Già ora! Possiamo pertanto tornare con profitto a meditare le parole che abbiamo brevemente proposto, lungo tutto l’anno giubilare che sta per aprirsi. Un anno speciale, un anno da non sprecare, un tempo in cui la Parola di Dio può farci da guida, faro di luce, olio di consolazione per il cuore, speranza viva, amore misericordioso che sempre e ancora ci sprona a trasformare il nostro agire secondo le opere di misericordia.

 

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SEC 2024-2025
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