Il Padre nostro della misericordia
Pregato con gli occhi della fede
I discepoli chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare. Ed egli disse: “Quando pregate dite così: “Padre sia santificato il tuo nome” (Lc.11.1-4)
Padre E’ la prima invocazione inconscia che, nella nostra Sorella Giuseppina Bakhita sale al “dio” che non conosce, ma che evoca spinta da un impulso profondo che le sale alle labbra nel riflesso della bellezza del creato e di una provvidenza che ne ritma con precisione giorni, mesi, stagioni, nascite e morti…una creazione bella che rimanda ad un principio di fronte al quale china il capo e avverte di essere pure lei parte di quel tutto in cui si inabissa e gode, nella libertà di contemplare il Suo volto in tutto ciò che le è donato.
Padre nostro declina Matteo (6,9-13) che coglie la prossimità di tutti coloro che si riconoscono figli e ne sottolinea l’importanza per quella reciprocità che chiede alla misericordia di Dio di avere un “partner” con cui confrontarsi il quale, mentre ci rimanda alla nostra identità e ci fa esistere come altro da sè, ci permette di ampliare lo spazio della misericordia del Padre e ce ne rende collaboratori indispensabili perché l’opera delle sue mani, si riversi sul mondo.
che sei nei cieli, quei cieli che Bakhita vedeva sopra di sé. Quei cieli che dall’alto riconducono al basso, erano già dentro di lei e si riflettevano nel suo sguardo luminoso capace di portare Dio sulla terra. “Chi vede me vede il Padre” e chi vede il Padre vede la sua regalità di figlio, vede quella grazia che “secondo la tradizione rabbinica, è il soffio di vita che è stato dato ad Adamo con un bacio”. (da: “La fede nuda” Ronchi/Marcolini) Soffio che ha posto “quel pezzettino di Dio dentro di noi”. (Etty Hillesum) E la scrittura lo conferma: “..di poco inferiori a Dio” porterete il cielo con voi.
Sia Santificato il tuo nome “Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti si innalza la tua lode” È lo stupore con cui i bimbi guardano il mondo, sguardo che sa innalzare a Dio la lode vera, quella preghiera che niente chiede e nulla offre… vuole solo lodare Dio per la sua grandezza e magnificenza e per l’amore e la misericordia con cui ha riempito la terra. “Chi è colui che ha fatto tutte queste cose? Come vorrei conoscerlo?” e alla purezza della domanda scaturisce dal cuore di Bakhita la tenerezza immensa della riconoscenza. “La tenerezza è disarmante, quel gesto che non è possesso ne’ predazione, quel gesto che sfiora e lascia libero, che offre calore e non domanda nulla. Carezza di Dio è la fede” (da: “La fede nuda” Ronchi/Marcolini) Fede per noi e cura per l’altro nella lode e nell’opera che fa scendere Dio sulla terra.
Venga il tuo regno. E se Dio scende sulla terra “Il regno è qui…” dice Gesù, qui dove ogni uomo si rimette fiducioso a quel Padre che ama abitare la terra più del cielo dei cieli. Un Dio vicino, un Dio prossimo che cammina con noi in questo cielo che si chiama uomo, che si chiama terra, che si chiama, per assurdo, “male e dolore”. In Bakhita vive ed opera questa fede fanciulla non ancora provata dalla malizia e dall’egoismo umani. Una fede che riempie l’uomo del Dio della misericordia. “Una fede scalza, essenziale, portata in braccio che inaugura la teologia della tenerezza…che contiene la rivelazione del volto di Dio”. (da: “Una fede nuda” Ronchi/Marcolini) E’ un regno che ci è dato di abitare anche quando la fede dovrà farsi matura ed affrontare con “amore assurdo” la sofferenza, la morte e tutti quei limiti che solo l’amore supera.
Sia fatta la tua volontà L’adesione ad essere figli di Dio comporta accettare la stessa sottomissione a Lui: la sottomissione che fu di Gesù. “Padre se è possibile passi da me questo calice, ma si faccia la tua volontà” dice Bakhita, cooperando in maniera ignara, ma non ribelle, alla salvezza. Una cooperazione matura, responsabile che chiede a Dio fede altra, quella che viene dalla coscienza di sé come figlia di un Dio che non può essere salvezza per tutti se l’uomo non si concede alla Sua irruzione di misericordia che, trasformandolo, lo rende atto a trasformare. Si, perché “Non tocca a Dio aggiungere fede, non può farlo, perché la fede è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio” (da: “Una fede nuda” Ronchi/Marcolini)
Dacci oggi il nostro pane quotidiano Un pane che soddisfa ogni bisogno di fame, di cura e di tenerezza, un pane che ogni padre non nega mai ai sui figli, un pane che ha in sé tutti i sapori della vita e che Dio sbriciola in noi e attraverso noi nei cuori e nei corpi sofferenti di ogni uomo della terra. Ma anche per distribuire questo pane Dio ha bisogno della nostra fede e del nostro coraggio della nostra complicità, del nostro esserci per poterlo aiutare. Ma a chi donare questo pane ogni giorno, in quel quotidiano che ci interpella e ci coinvolge? A chi ha fame risponde la vita. Allora le opere di Misericordia si dispiegano davanti a noi: opere spirituali e corporali, atte a salvare l’uomo in situazione. Allora “La fede dona l’intelligenza che penetra il minimo per scorgervi il massimo”(G. Barzaghi) e il ritorno all’interiorità si fa perentorio e non si può non arrendersi all’ “Hic sum” totale e fedele della nostra presenza. Lì Dio si mette all’opera. E questo accade, dice Ronchi “quando ho scoperto che dentro di me c’era Dio, ed ho cominciato a vedere Dio negli altri” (da: “Una fede nuda” Ronchi/Marcolini) e nel vedere Dio negli altri ho visto di quale pane avevano bisogno ed ho insegnato loro a gustarne il suo sapore dolce e salato, cosi come Bakhita aveva imparato nella sua esperienza ora di schiava e ora di donna libera.
Rimetti a noi i nostri debiti E’ l’invocazione dell’umile e del semplice che sente profondo il bisogno del perdono e di quella purificazione interiore che, non solo, gli torna la somiglianza del suo Dio, ma anche quello spazio di purezza nel quale Dio ritrova nell’uomo fatto carne, il figlio Gesù, operatore della sua misericordia. Riconoscere nella fede il nostro limite e l’alterità assoluta di Dio, è credere in quella verità che ci pone al nostro posto nell’abbraccio misericordioso che solo Dio sa dare: abbraccio nel quale sentiremo forte il suo perdono, ma a nostra volta ci renderà capaci di perdonare. “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” dice Gesù e Bakhita fa eco a quel perdono: “Se tornassi in Africa cercherei i miei rapitori, mi inginocchierei davanti a loro e non solo li perdonerei, ma li ringrazierei perché per mezzo loro ho conosciuto Gesù.
come noi li rimettiamo ai nostri debitori…Cade così ogni protagonismo di grandezza e prende vita in noi una coscienza nuova che lascia spazio all’abbraccio di Dio nel quale ci sentiamo, insieme, figli amati e perdonati.
Non abbandonaci alla tentazione Nella certezza di un amore preveniente e ad oltranza quale è l’amore di Dio e nel libero abbandono alla Sua volontà di bene, non ci torna molto comprensibile l’espressione della preghiera che, a questo punto, sembra non voler corrispondere pienamente ai parametri di un amore paterno, là dove nessun Padre buono può abbandonare alla tentazione il figlio. E questo perché non può volerlo se non nello spazio di quella libertà che Dio ha lasciato all’uomo affinché liberamente scegliesse tra il bene e il male, una libertà nella quale Dio non può intervenire se non gli viene permesso. Allora è l’accorata e libera supplica del figlio che capovolge la sorte: “Padre ho peccato contro il cielo e contro di te” resta con me, non mi lasciare solo!”
ma liberaci dal male E il Padre non solo libera dal male, ma ci richiama a sé con tutto il cuore e ci ridona la sua figliolanza e ci chiede di tornare ad essere suo “partner” di misericordia per tutti. “Hic sum” è la rinnovata risposta. Liberata da ogni schiavitù Bakhita si rivolgerà al Padre con le stesse parole: “Sono qui e sono tua mio “Paron”, tua per sempre!
Amen! Cosi sia Padre, Hic sum!
Suor Roberta Casini – Canossiana