II Domenica Di Quaresima B – Il Padre Che Immola Il Figlio Per Amore
Letture: Gn 22,1-2.9.10-13.15-18; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10
Non c’è forse amore più forte di quello di un padre per il proprio figlio: solo un padre che abbia penato per la salute del figlio, che ne abbia temuto la morte, o che ne abbia vissuto questo spaventoso evento riesce a comprendere la tragica grandezza delle letture odierne.
Un Amore infinito
Da una parte, il dramma di Dio che vede morire il Figlio, anzi che lo immola, che “non lo risparmia” (seconda lettura: Rm 8,31-34), per amore nostro, per noi peccatori: Paolo contempla sconvolto l’immensità dell’Amore di Dio per noi, e ci grida stupefatto: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi…? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?” (Rm 8,21.35). Dall’altra, un uomo, Abramo, che per amore di Dio accetta, con il cuore straziato, di sacrificare “il suo figlio, l’unico figlio, che ama” (Gn 22,2). Se l’alleanza con Noè (Gn 9,8-15), su cui abbiamo meditato la scorsa settimana, sottolineava l’unilateralità dell’iniziativa di Dio, l’alleanza con Abramo rimarca l’incontro di due assoluti: l’incommensurabile amore di Dio per l’uomo esige che questi non abbia altro assoluto che Dio (Lc 14,26; 18,29).
Contro i sacrifici umani
In realtà l’amore di Dio sovrabbonda infinitamente l’amore dell’uomo: Dio non permette il sacrificio di Isacco: il racconto nasce probabilmente proprio come contestazione dell’uso cananaico di offrire a Dio sacrifici umani (Lv 18,21; 20,2-5; Dt 12,31; 18,10; Es 13,11). Abramo profeticamente afferma: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto” (Gn 22,8): e “Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede»” (Gn 22,14): la tradizione posteriore identifica Moria con la collina dove sorgerà il tempio di Gerusalemme (2 Cr 3,1), presso il Golgota, dove sarà sacrificato il Figlio stesso di Dio. È Gesù infatti “l’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29; 1 Pt 1,19; Ap 5,6; 12,11; 19,7…), il sacrificio della “nuova alleanza” (Lc 22,20).
L’Agnello immolato è Dio
Con il Vangelo della Trasfigurazione (Mc 9,1-9), siamo forse alla Festa ebraica di Sukkot, in cui si vive in capanne o tende (Lev 23,39-42) per ricordare il periodo nomadico nel deserto durante l’Esodo: Pietro propone a Gesù di costruire tre tende; il settimo giorno ci si veste di bianco: le vesti di Gesù sono bianche e splendenti; si legge Dt 33-34, in cui Mosè parla a Dio faccia a faccia, come qui fa con Gesù il Signore; chi legge la Torah nella festa è il chatan Torah, lo “Sposo della Torah”, profezia che Gesù spesso si applica; la celebrazione termina con la preghiera per l’avvento del Messia: Dio stesso proclama Gesù come Messia.
Varie possibilità di lettura: Gesù, meditando sull’Antico Testamento (Mosè = la Torah, Elia = i Profeti) prende coscienza della sua missione di Messia divino (importanza della preghiera e della meditazione della Scrittura…); in un contesto liturgico i discepoli capiscono che Gesù è il Messia annunciato da tutta la Scrittura, che è lo Sposo, l’ermeneuta di tutta la Torah, che finalmente sono giunti gli ultimi tempi, in cui il Messia compie l’Alleanza (Os 12,10; Zc 14,16) riportando la creazione alla bellezza originaria (“E’ bello per noi stare qui”: 9,5): lo Shemà Israel, l’”Ascolta, Israele” (Dt 6,4-5) è ormai obbedienza alla Parola di Gesù (la liturgia luogo privilegiato della divina rivelazione…); un vero miracolo, anticipazione della gloria della resurrezione.
In ogni caso, la Trasfigurazione è il grande momento in cui si rivela che il Figlio dell’uomo che “deve soffrire molto ed essere disprezzato” (Mc 9,12) è Dio stesso: il mistero di un Dio che fa Alleanza con l’uomo – miracolo di Misericordia – a prezzo del suo stesso sangue…