Don Ferdinando Colombo: Vestire gli Ignudi
Attualizzare le opere di misericordia con lo sguardo di don Ferdinando Colombo
Ormai, è ovvio, pensiamo solo a come vestirci. E se non abbiamo quel paio di scarpe Nike o Adidas, mettiamo il broncio. Comprare e comprare vestiti che dopo un paio di mesi sono diventati fuori moda! Mentre c’è gente che, nel loro bisogno, se ha un paio di stracci da indossare ha un guardaroba completo!
“Se uno spoglia chi è vestito si chiama ladro. E chi non veste l’ignudo quando può farlo, merita forse altro nome? Il pane che tu tieni per te è dell’affamato; il mantello che tu custodisci nel guardaroba è dell’ignudo; le scarpe che marciscono in casa tua sono dello scalzo; l’argento che conservi sotterra è del bisognoso”. San Basilio Magno (330 d.C.)
Particolarmente incisivo è l’ammonimento di San Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità».
Dalla Genesi ad oggi
L’atto umano di vestire chi è nudo si fonda per la Bibbia sul gesto originario di Dio stesso che ricoprì la nudità umana preparando gli abiti e poi vestendo Adamo ed Eva dopo la loro trasgressione: “Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì” (Gen 3,21). La trasgressione dell’uomo nel giardino dell’in-principio ha fatto sì che gli umani siano usciti dallo spazio della comunione e si siano resi conto della loro “nudità”, cioè della loro condizione creaturale limitata e fragile, che abbiano cominciato a sentire diffidenza e timore l’uno dell’altro, che l’alterità abbia cominciato ad essere vissuta come minaccia.
È così che Adamo ed Eva “intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Gen 3,7). Ma sarà solo nel momento in cui Dio stesso farà tuniche di pelli e li vestirà (cfr Gen 3,21) che essi si vedranno reintegrati nella loro dignità, vedranno la loro fragilità avvolta dalla misericordia divina, i loro limiti protetti e coperti.
Condividere gli abiti con il povero è gesto di intimità che richiede delicatezza, discrezione e tenerezza, perché ha a che fare in modo diretto con il corpo dell’altro, con la sua unicità che si cristallizza al massimo grado nel volto, che resta nudo, scoperto, e che con la sua vulnerabilità ricorda la fragilità di tutto il corpo, di tutta la persona umana, e rinvia ad essa.
Condividere gli abiti con il povero – non nel modo impersonale e efficiente della raccolta di aiuti da spedire ai poveri del terzo mondo, ma nell’incontro faccia a faccia con il povero – diviene allora narrazione concreta di carità, celebrazione di gratuità, scambio in cui chi si priva di qualcosa non si impoverisce ma si arricchisce della gioia dell’incontro, e chi fruisce del dono non è umiliato perché fatto di essere vestito introduce in una relazione ed egli si sente accolto nel suo bisogno come persona, cioè nella sua unicità, non come anonimo destinatario di una spedizione di abiti dismessi dai ricchi.
Il “vestire” nella tradizione cristiana
Nella tradizione cristiana occidentale il gesto di vestire chi è nudo è espresso in modo a tutti noto dall’episodio in cui Martino di Tours taglia il proprio mantello per farne parte a un povero indifeso contro i rigori di un gelido inverno. Scrive Venanzio Fortunato nella sua Vita di san Martino di Tours: “Ad un povero incontrato sulla porta di Amiens, che si era rivolto a lui, Martino divide in parti uguali il riparo della clamide e con fede fervente lo mette sulle membra intirizzite. L’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo, il freddo e il caldo diventano un nuovo oggetto di scambio e una sola povertà è sufficiente divisa a due persone”.
Alla fine del IV secolo in area siriaca lo svolgimento del rito battesimale comprendeva l’atto con cui il (o la) neofita si spogliava dei propri abiti e li calpestava; l’unzione del suo corpo nudo; l’immersione (sempre nella totale nudità) nelle acque battesimali; e infine l’atto con cui, risalito dalla vasca, il neobattezzato veniva rivestito di un abito bianco.
La nudità gloriosa del Cristo morto (e sulla croce il condannato era nella totale nudità per significare la sua indegnità) e risorto riveste e protegge il neobattezzato che si sa ormai immerso in una vita nuova avendo “rivestito Cristo”: “Battezzati in Cristo, voi avete rivestito Cristo” (Gal 3,27). Rivestiti di Cristo, nel battesimo, a partire dalla nudità della propria condizione umana limitata e fragile, i cristiani si sanno immersi nella misericordia di Dio (Tt 2,4-5), coperti e avvolti da essa, sicché la loro prassi di carità verso chi è nella nudità e nella vergogna, nell’impotenza e nella miseria, nell’umiliazione e nella privazione della dignità, non sarà che un riflesso e una testimonianza della misericordia divina. (Luciano Manicardi)
«Anche per i vestiti, perché vi preoccupate tanto? Guardate come cresco- no i fiori dei campi: non lavorano, non si fanno vestiti… eppure vi assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua ricchezza, ha mai avuto un vestito così bello! Se dunque Dio rende così belli i fiori dei campi che oggi ci sono e il giorno dopo vengono bruciati, a maggior ragione procurerà un vestito a voi, gente di poca fede! Dunque, non state a preoccuparvi troppo, dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Come ci vestiremo?”. Sono gli altri, quelli che non conoscono Dio, a cercare sempre tutte queste cose. Il Padre vostro che è in cielo sa che avete bisogno di tutte queste cose. Voi invece cercate il regno di Dio e fate la sua volontà: tutto il resto Dio ve lo darà in più». (Mt 6,28-33)
PREGHIERA
del Cardinale Joseph Ratzinger
Signore Gesù, sei stato spogliato delle tue vesti, esposto al disonore, espulso dalla società.
Ti sei caricato del disonore di Adamo, sanandolo.
Ti sei rivestito delle sofferenze e dei bisogni dei poveri, coloro che sono espulsi dal mondo.
Ma proprio così tu dai significato a ciò che appare privo di significato.
Proprio così ci fai riconoscere che tuo Padre tiene nelle sue mani te, noi e il mondo.
Donaci un profondo rispetto dell’uomo in tutte le fasi della sua esistenza e in tutte le situazioni nelle quali lo incontriamo.
Donaci la veste di luce della tua grazia.
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- “Le Opere di Misericordia“, don Ferdinando Colombo