Don Ferdinando Colombo: Sopportare le Persone Moleste

Attualizzare le opere di misericordia con lo sguardo di don Ferdinando Colombo

Un celebre testo della tradizione cristiana, francescana in specie, ci consente di introdurci   a quest’opera di misericordia in modo critico e problematico.

Nei Fioretti, Francesco spiega a frate Leone in che cosa consista la perfetta letizia e gli dice:

“Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e ‘i portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi?

E noi diremo: Noi siamo due de’ vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch’andate ingannando il mondo e rubando le limosine de’ poveri; andate via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all’acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia.

E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l’amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, la quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia”.

Il testo ci interroga: chi è “molesto” in questo racconto? I due frati che bussano cercando con insistenza riparo dal freddo e dalla notte? O chi non li vuole accogliere adducendo pretesti e non ascoltando ragioni? Ovvero: quando una persona è sentita come molesta? Quando, e perché, ci disturba? Quando sentiamo che una persona è insopportabile? Perché un determinato comportamento di una persona ci infastidisce?

Nel percepire fastidio di fronte a qualcuno e nel sentirne l’insopportabilità vi è anche una rivelazione di noi a noi stessi. Nel sentire una persona come fastidiosa e molesta ci può essere semplicemente l’espressione di sentimenti egoistici e razzisti o di paura e di rifiuto del confronto. Si può pensare per esempio al sentimento che molti provano nei confronti degli immigrati che giungono nel nostro paese.

Inoltre questo testo presenta un caso clamoroso di rifiuto della pazienza e della sopportazione verso chi viene sentito come fastidioso, ma anche un caso eroico di sopportazione e pazienza verso l’altrui insopportabilità trasformatasi in violenza aggressiva.

Questa sopportazione è fondata sul vangelo e sull’esempio di Cristo e resa possibile dalla fede. Francesco infatti prosegue il discorso a frate Leone affermando che grazia dello Spirito Santo è di poter vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi, senza vantarsi di questo, ma ponendo il proprio vanto unicamente nella croce di Cristo: “Nella croce della tribolazione e dell’afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l’Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo (Gal 6,14)”.

La pazienza è lo sguardo grande di Dio nei confronti dell’uomo, sguardo che non si arresta al dettaglio, all’incidente di percorso, non considera come ultimativo il peccato, ma lo colloca all’interno dell’intero cammino esistenziale che l’uomo è chiamato a percorrere. Pertanto essa espone Dio al rischio di non essere preso sul serio, di essere “usato” dall’uomo. In Cristo, e particolarmente nella sua passione e morte, la pazienza di Dio raggiunge il suo vertice in quanto assunzione radicale dell’inadeguatezza e debolezza dell’uomo, del suo peccato.

In Cristo, Dio accetta di “portare il peso”, di “sopportare” l’incompiutezza e inadeguatezza umane assumendo la responsabilità dell’uomo nella sua fallibilità. La “pazienza di Cristo” (2Ts 3,5) esprime così l’amore di Dio, ne è sacramento.

Oggi però la pazienza ha perso molto fascino: i tempi frettolosi spingono all’impazienza, al non differimento, al “tutto e subito”, al possesso che non lascia spazio all’attesa.

L’individualistica affermazione di sé diventa non volontà di attesa e di comprensione dell’altro che troppo rapidamente rischia di diventare molesto o fastidioso, certamente di intralcio. Ecco allora che la pazienza, la quale era un tempo modalità sapiente e umana di abitare il mondo, è ormai posta nel dimenticatoio. Al tempo stesso, occorre realisticamente riconoscere che la pazienza non è sempre una virtù, così come l’impazienza non è affatto sempre una non virtù.

La pazienza è un’arte. Che non ha nulla a che fare con il subire passivamente. È invece chi non pazienta che, molto più spesso, subisce. La paziente ma libera e amorosa sopportazione nei confronti di chi è fastidioso, antipati- co, noioso, lento, è in linea con l’amore del nemico (cf. Mt 5,38-48; Lc 6,27-35). E chiede lavoro su di sé per imparare a conoscere e ad amare il nemico che è in noi, ciò che in noi è molesto, ciò che è insopportabile a noi stessi e che Dio, in Cristo, ha sopportato pazientemente amando noi in modo incondizionato. In questo modo la pazienza diventa apertura di futuro per l’altro, conferma di fiducia in lui, lotta insieme a lui e per lui contro la tentazione della disperazione. (Luciano Manicardi)

 

Preghiera

CHIESI A DIO di Kirk Kilgour

Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi: Egli mi rese debole per conservarmi nell’umiltà.

Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese: Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.

Gli domandai la ricchezza per possedere tutto: Mi ha fatto povero per non essere egoista.

Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me: Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro.

Domandai a Dio tutto per godere la vita:

Mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto. Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,

ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.

Le preghiere che non feci furono esaudite. Sii lodato; o mio Signore,

fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che ho io!”

 

Versione online del libro cliccando su “Le Opere di Misericordia – Don Ferdinando Colombo“.

 

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