Don Ferdinando Colombo: Alloggiare i Pellegrini
Attualizzare le opere di misericordia con lo sguardo di don Ferdinando Colombo
Migranti, profughi, migranti economici, rifugiati
Il fenomeno al quale assistiamo è come un’onda anomala, incontrollabile, che parte dal Sud e dall’Est del Mediterraneo e si infrange sulle coste europee. C’è chi sostiene la necessità di erigere muri e fili spinati, nascondendosi dietro allarmismi economici e fobie infondate. Chi, invece, si adopera per accogliere altri esseri umani. Le classi dirigenti, ovviamente verrebbe da dire, appaiono poco compatte sul tema. I cittadini, generalizzando, si dividono in due fazioni opposte. Questo dramma occuperà il resto delle nostre vite. Va dunque gestito, con speciale urgenza e cura. Ma senza illudersi di risolverlo con la forza. Se provassimo a farlo, lo renderemmo ingestibile. Otterremmo di moltiplicare le vittime, non di ridurle. Non ci sono scorciatoie militari – blocchi navali, aerei o terrestri. (Lucio Caracciolo)
Il dramma dei rifugiati
«La situazione drammatica dei profughi, segnata da paura disagi e incertezze è una triste realtà. I profughi ogni giorno fuggono dalla fame e dalla guerra, alla ricerca di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie. Vanno in terre lontane e quando trovano lavoro non sempre incontrano accoglienza vera, rispetto e apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Le loro legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili, perciò pensiamo al dramma dei rifugiati che sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento, vittime della tratta delle persone e del lavoro schiavo» (Papa Francesco).
Il povero, il senza tetto, il girovago, lo straniero, il barbone, colui la cui umanità è umiliata dal peso delle mancanze e delle privazioni, dei rifiuti e dell’abbandono, del disinteresse e dall’estraneità, comincia a essere accolto quando io comincio a sentire come mia la sua umiliazione, come mia la sua vergogna, quando comincio a sentire che la mortificazione della sua umanità è la mia stessa mortificazione.
Allora, senza inutili sensi di colpa e senza ipocriti buoni sentimenti, può iniziare la relazione di ospitalità che mi porta a fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per l’altro.
Ma deve essere chiaro che l’ospitalità umanizza anzitutto colui che la esercita perchè come dice Pierangelo Sequeri: “non ha ancora incominciato a essere un vero uomo chi non ha vissuto la pietà per l’umanità ferita e svilita nell’altro”. (Trento Lungaretti)
Non occorre essere credenti e neppure cattolici per provare ammirazione per un uomo che si inginocchia davanti ad altri uomini e lava i loro piedi. Papa Francesco ha deciso, anche quest’anno, di contrastare il triste “spirito dei tempi” e di recarsi nel centro di accoglienza dei richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, Roma. Qui sono “ospitate” oltre 900 persone scappate da guerre, terrorismo, torture.
Molti di loro hanno un altro colore della pelle, pregano un altro Dio e la maggioranza appartiene alla comunità musulmana. Quei piedi da lavare rappresentano la geografia della disperazione, dell’esclusione sociale, della cancellazione di ogni diritto e speranza nel futuro. La “radicalità” di Francesco sta proprio nell’aver scelto questo luogo e questi piedi e di averlo fatto mentre tutto intorno risuonano i venti della guerra, del terrore, del razzismo. (Beppe Giulietti)
In Gesù, Dio è venuto a chiedere ospitalità agli uomini
Per questo egli pone come virtù caratteristica del credente la disposizione ad accogliere l’altro nell’amore. Egli ha voluto nascere in una famiglia che non ha trovato alloggio a Betlemme (cf. Lc 2, 7) e ha vissuto l’esperienza dell’esilio in Egitto (cf. Mt 2, 14). Gesù, che “non aveva dove posare il capo” (Mt 8, 20), ha chiesto ospitalità a coloro che incontrava. Inviando i suoi discepoli in missione, egli fa dell’ospitalità, di cui essi beneficeranno, un gesto che lo riguarda personalmente: “Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10, 40).
La Chiesa ribadisce che l’accoglienza solidale verso chi si trova in difficoltà è un segno distintivo della fede. (Giovanni Paolo II 1999)
Da tempo siamo diventati una società multiculturale. Naturalmente ci sono anche problemi nella comprensione e nell’integrazione degli stranieri. E ci sono limiti in una società nell’accogliere gli stranieri. Eppure, come cristiani, dobbiamo chiederci in che misura, oggi, rispondiamo all’esortazione di Gesù circa l’ospitalità e che cosa ci direbbe, oggi, Cristo. La Parola di Gesù è una sfida costante per noi e non dobbiamo eliminarla immediatamente con la razionalità. È un pungolo che deve essere presente in tutte le nostre discussioni sull’integrazione e l’accoglienza degli stranieri nella nostra società.
Non dobbiamo solo aspettare la politica e appiopparle il compito dell’integrazione. (P. Adolfo Antonelli)
La parabola per eccellenza che ci propone il modello dell’accoglienza e dell’ospitalità è quella del Buon Samaritano (Lc 10,29-37): uno straniero, socialmente discriminato, soccorre un uomo – potenzialmente un nemico – vittima di un’aggressione, lo cura e lo porta al riparo in una locanda, dove questi riceve accoglienza e ristoro. Accogliere significa dare un posto all’altro nella propria terra, nella propria vita, nella propria mente, nel proprio cuore; significa dargli «diritto di asilo», prendersi cura di lui, del suo bisogno di sentirsi vivo, amato e protetto. In fondo un uomo senza casa, è un uomo che cerca «famiglia». Non solo Gesù si fa prossimo di coloro che sono considerati estranei e stranieri, ma egli stesso è l’Ospite della nostra storia. Cioè della nostra vita. La sua vicenda sulla terra è tutta un viaggio: egli proviene dal seno del Padre (Lc 1,34-38) e nelle tappe del suo percorso terreno indica a tutti la patria alla quale siamo destinati.
Per questo ci chiama a seguirlo. E quando afferma che i suoi sono nel mondo ma non sono del mondo (Gv17) richiama l’uomo alla sua essenza ultima, al suo essere pellegrino su questa terra. Pellegrino è l’essere umano nel suo viaggio attraverso la vita e la morte, diretto verso l’Altro e verso se stesso, per riscoprire la sua più genuina umanità. (+ Bruno Forte)
PREGHIERA
Dio, Padre misericordioso, che ci hai rivelato il tuo amore infinito nel Figlio Tuo Gesù Cristo, fatto uomo per noi,
donaci di sperimentare così profondamente la Tua misericordia da diventare noi stessi testimoni e operatori di misericordia
per tutti quelli a cui ci mandi e che ci affidi.
E Maria, madre di misericordia, interceda per noi,
per aiutarci a vivere con fede e cuore generoso le opere di misericordia, docili all’azione dello Spirito Santo, soffio dell’eterno Amore. Amen.
+ Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto
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Immagini
- “Le Opere di Misericordia“, don Ferdinando Colombo