Don Ferdidando Colombo: Visitare gli Infermi

Attualizzare le opere di misericordia con lo sguardo di don Ferdinando Colombo

Tra le sette opere di misericordia corporale, “visitare gli infermi” assume un rilievo tutto particolare, dal momento che farsi prossimo a chi soffre rappresenta un modo profondo ed emblematico di avvicinarsi – con espressione di Papa Francesco – alla carne viva e dolente di Cristo Gesù.

Servitore dei sofferenti

Il richiamo evangelico immediato va alla parabola del “Buon Samaritano” (Lc 10, 25-37), icona di Gesù, che si è addossato le nostre infermità riscattandoci dal peccato, dalla morte e dalle loro conseguenze, di cui la sofferenza in ogni sua forma – nella lettura biblica sono il segno. Icona di Gesù e al contempo – al pari delle altre opere di misericordia – segno credibile di incarnazione e di discernimento sulla autenticità della personale professione di fede nel Crocifisso Risorto e di amore verso Dio e verso il prossimo, soprattutto quello debole, povero, sofferente (1Gv 3, 23-24).

Di più, nel visitare gli infermi secondo il cuore di Cristo Gesù, ci assimila a Lui e, come Lui, cinto il grembiule nel servire le persone sofferenti. Ci assimila a Lui quale “Christus medicus” delle anime e dei corpi.

Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gèrico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò di là un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e proseguì. Anche un levita del Tempio passò per quella strada; lo vide, lo scansò e prosegui. Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli andò vici- no, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: “Abbi cura di lui e se spenderai di più pagherò io quando ritorno”.

Il mio prossimo

Nel dialogo tra Gesù e il dottore della legge, entrambi concordano che l’amore per Dio e per il prossimo è la condizione necessaria per ereditare la vita eterna. La questione si fa più delicata nel momento in cui si tratta di decidere “chi è il mio prossimo”. E per spiegarlo Gesù narra la parabola. Vede, si ferma, prova compassione. Si sente cioè coinvolto. Compassione, quindi, non come semplice emozione, ma un’azione che produce cura dell’altro. Gesù invita dunque il dottore della legge – e oggi noi – a entrare nella logica della parabola. Ad agire come il samaritano. A domandarsi non tanto “chi è il mio prossimo” (quasi che io possa scegliere chi aiutare), ma “a chi devo essere prossimo” (e quindi a tutti iniziando da chi mi sta accanto). Quel buon Samaritano è Gesù. È Lui che passando lungo il cammino della storia si è accorto di come mal messa era l’umanità. Lui si è avvicinato a noi fino a farsi uno di noi, Uomo. Lui si è caricato sulle spalle la nostra vita, così malconcia a causa del peccato. Lui si è preso cura. E a partire da Gesù, ciascuno di noi è oggi chiamato a “fare altrettanto”. Ciascuna Comunità cristiana è chiamata “a fare lo stesso”. Se non altro, perché Gesù lo ha fatto per noi: “Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Amare il prossimo è amare Dio stesso. (Parrocchia S. Maria Assunta– Bibione)

L’altro davanti a me

L’espressione “visitare gli infermi”, poi, porta in sé almeno tre ulteriori significati. In primo luogo, il verbo “visitare” rinvia al concretamente farsi presente all’altro, non a parole, ma nei fatti, anche e soprattutto quando costa sacrificio, considerando quanto la Beata Madre Teresa di Calcutta – una icona prediletta da Papa Bergoglio nell’Anno giubilare della misericordia – affermava relativamente ad ogni gesto di carità verso il prossimo che, se non costa, rischia di valere assai poco agli occhi di Dio.

In secondo luogo, “visitare” dice anche di una non episodicità della misericordia, nel senso che non si ferma al singolo atto caritativo ma cerca, in tutti modi possibili, continuità, sistematicità, organizzazione, come la parabola prima citata mostra. Infatti non solo il Buon samaritano presta le prime cure, ma si fa carico del malcapitato sofferente trasportandolo fino ad un luogo dove poter essere accudito, pagando di tasca propria, impegnandosi a continuare a rendersi presente.

Da ultimo: visitare significa creatività nell’operare: presenza, tocco, parola, sguardo, preghiera. Il termine “infermi” sottende infine almeno due aspetti. Il primo: l’infermità non si limita solo a quella fisica, bensì anche quella psicologica, spirituale, morale. Anzi, spesso i livelli si intersecano richiedendo un approccio “olistico” (= complessivo – ndr) secondo un discernimento che porti ad individuare i modi più appropriati per venire incontro a quella particolare persona sofferente.

Il secondo aspetto: il malato è immagine del Christus patiens (Cristo sofferente), qualsiasi sia il ceto sociale ed economico, la nazionalità, la fede religiosa, la nazionalità, la visione del mondo. In definitiva, dunque, “visita- re gli infermi” si disvela come conferma del realismo cristiano, che guarda alla realtà dell’uomo nella sua interezza e nella sua integralità quale valo- re eminente, in una chiave di lettura che muovendo dall’immanenza della condizione umana e del dolore e della sofferenza volge lo sguardo verso l’origine e il compimento trascendente dell’uomo. (Dario Sacchini)

Benedetto XVI che in “Spe salvi” (nn. 35-40) presenta l’agire e il soffrire come luoghi di apprendimento della speranza per cui la sofferenza accettata e offerta è un miracolo dell’amore dice: “Vorrei aggiungere ancora una piccola annotazione non del tutto irrilevante per le vicende di ogni giorno. Faceva parte di una forma di devozione, il pensiero di poter “offrire” le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso. Che cosa vuol dire “offrire”? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande compatire di Cristo le loro piccole fatiche, che entravano così a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi” (40).

La sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita, non sono forse miracoli dell’amore? (Don Gino Oliosi)

 

PREGHIERA

O Cristo, medico dei corpi e delle anime veglia sul nostro fratello infermo e sofferente;

e, come il buon samaritano, versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.

Con grazia sanante del tuo Spirito

illumina la difficile esperienza della malattia e del dolore, perché sollevato nel corpo e nell’anima

si unisca a tutti noi nel rendimento di grazie al Padre delle misericordie.

Tu vivi e regni nei secoli dei secoli.

 

 

Versione online del libro cliccando su “Le Opere di Misericordia – Don Ferdinando Colombo“.

 

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