Domenica XXV Anno B – Chiamati ad essere “consegnati”, come Gesù

Letture: Sap 2,12.17-20; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37

Il Vangelo odierno ci presenta il secondo (Mc 9,31-32) dei tre annunci di Passione in Marco: nel primo (8,30-33) Gesù, subito dopo che Pietro a Cesarea lo aveva riconosciuto come il Cristo (Mc 8,27-29), a scanso di equivoci “apertamente cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molte cose (“pollà”), ed essere riprovato”.

Nel secondo annuncio, che la Liturgia ci propone oggi, il concetto chiave è “essere consegnato” (9,31): “essere consegnato” è non essere più padroni di se stessi, è accettare che gli altri ci dominino, è diventare servi, schiavi. Gesù “sarà consegnato”, come il Servo di IHWH (Is 53,10), i profeti (Ger 26), i giusti (Dn 7,24-28), il Battista (Mc 1,14).

Nel terzo annuncio (10,32-34) verrà ancor meglio esplicitato il senso di questa “consegna” (10,33) del Figlio: “lo condanneranno a morte,…, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno”, come profetizzato già oggi nella prima Lettura (Sap 2,12.17-20).

Tutta la vita di Gesù è un “consegnarsi”: infatti sarà “consegnato” ai Sommi Sacerdoti (Mc 14,10), a Pilato (15,1-10), ai soldati (15,15), e “si consegnerà” nell’Eucarestia (Lc 22,19; 1 Cor 11,24).

Di fronte a questa prospettiva i discepoli si ribellano: al primo annuncio, Pietro si pone a fianco di Gesù, “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo” (8,32). Ma Gesù rimette Pietro nel suo ruolo di discepolo, che deve camminare dietro al Maestro: “Opìso mou!”, “Va’ dietro a me!”, e lo chiama satana, avversario (8,33). E subito in cinque sentenze annuncia il programma per coloro che vogliono mettersi alla sua sequela: il discepolo dovrà rinnegare,  cioè disconoscere, sè stesso, e non conoscere altro che la volontà di Dio (8,34); solo nel prendere la croce potrà seguire il Maestro (8,34); dovrà misurare la propria vita non in base a ciò che avrà ma per quanto sarà capace di donare (8,35-37); Gesù si vergognerà di coloro che si vergognano della sua logica (8,38); chi invece si “consegna” come Gesù, già in questa vita ne sperimenterà la potenza (9,1).

Dopo questo secondo annuncio, i discepoli non osano più contestarlo apertamente (9,32), ma tra loro continuano a “discutere chi fosse il più grande” (9,34). Gesù ribadisce con chiarezza: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (9,35). Anche dopo il terzo annuncio di Passione, Giacomo e Giovanni andranno a chiedergli “di sedere nella gloria uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra” (10,37). E Gesù ribadirà la chiamata al farsi “servi di tutti”, sul suo esempio (10,44-45).

Ci viene da sorridere di fronte a tanta ostinazione dei discepoli, a tanta stupidità spirituale. Ma gli evangelisti hanno insistito nel presentarci questa apostolica stoltezza perché essa è la grande tentazione di sempre per il credente. È la Chiesa, siamo tutti noi, sono io, che ogni giorno rifiutiamo praticamente questa logica di Dio. Tutti noi vogliamo essere i primi e non gli ultimi; tutti noi vogliamo “realizzare” e la nostra vita e non certo perderla; tutti noi vogliamo decidere di noi stessi, e non certo che gli altri dispongano di noi; tutti noi vogliamo gli onori e rifuggiamo gli oltraggi e la persecuzione; tutti noi prediligiamo una vita di comodità piuttosto che di sacrificio; tutti noi preferiamo godere che soffrire, comandare che obbedire, ricevere che dare, essere serviti piuttosto che servire. A nessuno va di essere “consegnato”, divenire “un uomo per gli altri”, un possesso altrui, che tutti possono usare; a nessuno va di “svuotarsi” per gli altri, perdersi per essi, farsi consumare, mangiare dagli altri, diventare “l’ultimo e il servo di tutti” (9,35)…

Eppure siamo chiamati, ci dice la seconda Lettura (Gc 3,16-4,3) ad una vita “anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera”: a vivere, cioè, come Gesù!

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