Dar da mangiare agli affamati

Dal sito dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della CEI, il commento alla prima opera di misericordia corporale

(di Fra Marco Fabello, Direttore Generale I.R.C.C.S. – Centro San Giovanni di Dio “Fatebenefratelli” di Brescia)

Gli si avvicinò allora una gran folla che aveva con sé zoppi, storpi, muti e molti altri ammalati; li posero ai suoi piedi ed egli li guarì… Gesù, chiamati i suoi discepoli, disse loro: «Ho pietà di questo popolo perché sono già tre giorni che sta con me e non ha niente da mangiare. Non voglio mandarli via digiuni, affinché non abbiano a venir meno per la strada». Gli dissero i discepoli: «Dove potremo procurarci in un deserto pani sufficienti per sfamare tanta gente?». Gesù domandò: «Quanti pani avete?». Risposero: «Sette e pochi pesciolini». Fece allora sedere la folla per terra, prese i sette pani e i pesci e, dopo aver reso grazie, li spezzò, li diede ai suoi discepoli e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono fino a saziarsi e, dei pezzi avanzati, ne raccolsero sette ceste piene. (Mt 15,30-37)

Mi sono domandato più di una volta perché le opere misericordia corporali inizino proprio con dar da mangiare agli affamati e non ad esempio con visitare i carcerati o altro ancora.
E non posso neppure pensare che ciò possa dipendere dal solo fatto che uno dei primi doveri di tutti è proprio quello di fare in modo che a nessuno venga a mancare il pane quotidiano.

Immagino che sia più profondo il senso e che avere fame rivesta significati assai più vasti e impegnativi di quanto non sia il semplice e facile riferimento al pane di farina, alimento quasi indispensabile per saziare la fame.

E allora faccio riferimento alla mia vita e alla mia esperienza per immaginare cosa ci si voglia dire con la prima opera di misericordia “dar da mangiare agli affamati”.

E poi: affamati di che cosa? Resi affamati da chi? Costretti alla fame perché?

Immagino la fame di sapere di un malato in ospedale, o anche a casa, che attende con ansia di conoscere il suo stato di salute. Ma anche la fame, insaziabile, quasi di tutti quei familiari, che accompagnano con apprensione i loro cari ad una visita medica ad un esame invasivo, e che pendono da ogni movimento del medico, da ogni sua smorfia, da un sorriso, in una parola dalla sua sentenza.

Voglio solo pensare ad un altro malato che da giorni si trova in ospedale e che, fedele alla Santa comunione frequente, non vede arrivare nessuno a sfamare la sua fame eucaristica.

Immagino le mamme in ospedale per le cause più diverse, impossibilitate a vedere i loro bambini: quanta fame di affetto e di amore mortificata da regole di comodità organizzativa e non di promozione umana.

Il mio sguardo si inoltra nei meandri spesso oscuri delle strutture sanitarie che non facilitano la presenza degli operatori di pastorale, di accompagnamento spirituale, che si trovano in difficoltà a spargere il pane della speranza della serenità, o anche il pane del viatico verso terre nuove e cieli nuovi.

Penso per un momento agli operatori sanitari che hanno fame di sapere, che hanno necessità del pane dell’aggiornamento scientifico, etico e umano.

Non posso dimenticare la fame di umanizzazione delle strutture sanitarie, che spesso sono costrette a ingoiare il pane duro, raffermo da anni, perché per troppo tempo è rimasto spento il forno che lo rendesse ancora profumato e fragrante.

Immagino la fame di sapere di coloro che nella povertà in cui vivono non possono permettersi di frequentare la scuola.

Penso a tutte le persone in carcere o al proprio domicilio che attendono da anni una sentenza e hanno una grande fame di giustizia.

Penso a tutti i disoccupati ai quali può mancare anche il pane quotidiano e che hanno una grande fame di lavoro.

Certo poi rimane davvero il pane di farina, quello che sfama la fame materiale che a troppe persone manca o è insufficiente per vivere una vita degna.

Dobbiamo poi concretizzare il padre nostro che recitiamo spesso con le opere che possiamo compiere e che, nei diversi campi di azione di impegno umano sociali o religioso, non sono precluse ad alcuno.

Del resto Gesù ha avuto pietà delle persone che lo seguivano e per essa moltiplicato i pani e i pesci ma non ci sfugga il messaggio di quei panni che erano contemporaneamente pane materiale e pane spirituale.

E anche dopo la risurrezione si manifestò ai suoi apostoli sulla riva del lago mentre preparava per loro il pesce per sfamarli, o quando, accostatosi ai discepoli di Emmaus, si manifestò nello spezzare il pane.

Come non ricordare allora i bambini che si preparano alla prima Comunione: l’innocenza incontra l’Innocente che si è immolato per noi.

Forse dobbiamo reimparare dai bambini ad avere fame di Gesù con la loro semplicità, con una rinnovata innocenza della vita.

Infine, può accadere che ci manchi la fame del ringraziamento!

Dobbiamo essere affamati del desiderio di dire sempre un grande GRAZIE al Signore per il dono di Sé nel Pane Eucaristico che ci nutre e ci dà forza nel nostro incedere quotidiano nel mondo dei poveri, dei malati e dei sofferenti che sono per noi il nostro pane quotidiano.

Fonte

Immagine

  • Illustrazione di suor Marie-Anastasia Carré (Communauté des Béatitudes)
SEC 2024-2025
Potrebbe piacerti anche