
Beato Angelo Orsucci, martire lucchese nel Giappone del 1600
Sulla scia della Giornata dei Missionari Martiri del 24 marzo, presentiamo ogni giorno di questa settimana la vita di uno di loro
Oggi, il beato Angelo Orsucci, originario di Lucca, raccontato da Lorenzo Maffei, di “Toscana Oggi”
Difficile non lasciarsi affascinare dalla figura di un missionario come il Beato Angelo Orsucci. Ai più sconosciuto, oramai poco noto perfino nella sua città e chiesa d’origine: Lucca.
In effetti, parliamo di una figura vissuta tra il 1500 e il 1600, in un’epoca di fervore per l’evangelizzazione del nuovo mondo.
Ma se la storia di quanto avvenne, anche con la violenza, in Sud America, è piuttosto approfondita, l’evangelizzazione pacifica e non violenta avvenuta in Giappone e in gran parte dell’est asiatico andrebbe rivalutata. E il beato Orsucci in questo non fa difetto.
Nato a Lucca l’8 maggio 1573, figlio di una ricca e aristocratica famiglia cittadina, entrò giovanissimo nel convento domenicano cittadino di San Romano. Dopo gli studi a Roma, dimostrando grandi doti, scelse non la tranquilla vita di uomo di lettere e studi. Anzi, si dedicò alla missione, guardando all’area del mondo all’ora considerata più lontana possibile.
Ma andiamo per gradi. Partì via Genova nel 1600, aveva 27 anni. Non tornò più a Lucca o sulla penisola italiana. Fece scalo prima in Spagna, dove apprese i rudimenti dello spagnolo, poi si imbarcò a Cadice il 25 giugno 1601, per le Americhe, dopo una sosta a Guadalupa, approdò in Messico, il 4 ottobre 1601.
Il 4 febbraio 1602 da Acapulco, sull’oceano Pacifico, salpò alla volta delle Filippine dove arrivò, dopo una sosta alle isole dei Ladroni, oggi arcipelago delle Marianne, il 30 aprile 1602.
Rimase vari anni a Manila e dintorni, mostrando nella povertà e nell’afflato missionario, grandi doti spirituali e umane, oltre a una grande facilità ad apprendere la lingua della popolazione locale.
Per sedici anni viaggiò moltissimo, sia all’interno delle Filippine, sia anche tornando in Messico per poi riapprodare nelle amate Filippine: fu anche padre provinciale dei domenicani.
Fu dopo l’ultimo ritorno nelle Filippine, così lontane dalle sue terre di origine, che nel 1618 realizzò il desiderio di andare a portare il Vangelo in Giappone: consapevole di mettere a rischio la propria vita.
Infatti, il Cristianesimo nel Paese del Sol Levante, arrivò pacificamente con il gesuita san Francesco Saverio nel 1549, poi sostenuto anche da francescani e domenicani.
In un primo momento fu largamente accettato e si diffuse principalmente nel sud del Giappone nell’area attorno a Nagasaki. Non ci fu alcuna pressione militare sul territorio da parte dei cristiani: vuoi perché la struttura millenaria del Giappone prevedeva un grosso apparato statale e quindi militare, vuoi perché sulla scorta di altre esperienze in Asia, la scelta ponderata dai missionari fu solo quella della testimonianza e dell’annuncio.
Ma a fine del 1500, l’Imperatore fece scattare una violenta persecuzione nei confronti dei cristiani che, con la loro presenza, minavano la «struttura Paese». Iniziarono uccisioni di missionari e giapponesi convertiti o anche esili forzati in altri Paesi.
Il nostro Orsucci, dunque, quando il 12 luglio 1618 partì da Manila per Nagasaki, sapeva che andava incontro alle persecuzioni e al rischio della morte. Visse per cinque mesi ospite di una famiglia giapponese convertita al cristianesimo, travestito da mercante spagnolo. Ma poi fu catturato e tenuto in prigione per 4 anni fino al giorno del martirio.
Durante le sue esperienze missionarie, scrisse varie lettere anche ai familiari a Lucca e, sorprendentemente, ne scrisse anche dalla prigionia, probabilmente con l’aiuto di qualche guardiano compiacente.
Dalla sua testimonianza scritta sgorga il desiderio di dare la vita per Gesù, in una di queste lettere scrisse: «Io sono contentissimo per il favore che Nostro Signore mi ha fatto e non cambierei questa prigione con i maggiori palazzi e cardinalati di Roma».
Morì, arso vivo, il 10 settembre del 1622 a Nagasaki. Fu beatificato con altri nel 1867 da Papa Pio IX.
(Articolo di Lorenzo Maffei – Toscana Oggi )
Fonte e immagini
- Toscana Oggi