Africa, il Vescovo Laurent Dabiré: il terrorismo nel Saheel minaccia la pace e paralizza la missione pastorale
L’azione missionaria in Africa non è quasi mai semplice, ma in alcune aree si rivela davvero complicata e pericolosa: è il caso, per esempio, della regione desertica del Saheel
Africa, il Vescovo Laurent Dabiré: “Da un punto di vista pastorale, non possiamo più muoverci come prima”
Un vescovo di spicco del Burkina Faso, nell’Africa occidentale, un Paese a maggioranza musulmana con una significativa minoranza cristiana, ha avvertito che due terzi della regione desertica del Paese sono ora controllati dai terroristi islamici, mettendo in pericolo la sicurezza e paralizzando la missione pastorale della Chiesa.
“Da un punto di vista pastorale, non possiamo più muoverci come prima”, ha dichiarato il vescovo Laurent Dabiré di Dori, che è anche il presidente della conferenza episcopale del Burkina Faso e del Niger, in un’intervista rilasciata all’organizzazione caritativa pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.
“Il nostro campo d’azione è molto più piccolo, perché i terroristi occupano due terzi del territorio del Sahel”, ha detto. “In pratica ci restano solo i capoluoghi di provincia”.
Negli ultimi sette anni, il Burkina Faso è stato teatro di attività terroristiche, in quanto le organizzazioni terroristiche cercano di espandere la loro portata e la loro influenza in tutto il Sahel africano.
Human Rights Watch riferisce che gli attacchi terroristici hanno costretto “oltre 237.000 persone a fuggire dalle loro case nel 2021, portando il numero totale di sfollati interni dal 2016 a oltre 1,4 milioni, ovvero il 6% della popolazione”.
Alcuni incidenti degni di nota includono un attacco dell’11 giugno 2022 a Seytenga, nella provincia di Seno, nel nord-est del Burkina Faso, in cui sono state uccise oltre 100 persone.
Il 5 giugno 2021, oltre 160 persone sono state uccise in un attacco al villaggio di Solhan e il 26 aprile 2021, un cittadino irlandese e due spagnoli sono stati uccisi in un’imboscata su una strada tra Fada-N’Gourma e Pama.
Africa: Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’intervista al Vescovo Laurent Dabiré
“La popolazione è stremata e molti piangono la perdita dei familiari. Interi villaggi sono stati distrutti e questo contribuisce ad abbattere lo spirito delle persone.
Tuttavia, il Natale è sempre stato, oltre che di gioia, un momento di tregua. La gente si è riunita per la Messa, anche se alcuni non sono venuti perché hanno avuto paura. Lo capiamo e non chiediamo alle persone di essere più coraggiose di quanto possano. Il Natale ci ha offerto l’opportunità di rendere omaggio a tutte le vittime di questa guerra e di pregare insieme per il ritorno alla pace», racconta il prelato.
Quanto alla diffusione dei gruppi terroristici, Mons. Dabiré aggiunge che «il 50% del Paese è occupato e controllato da loro.
Se alcuni gruppi hanno dichiarato esplicitamente le loro intenzioni, con altri sono sufficienti le loro denominazioni, come il Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani (JNIM), per comprendere che esplicitamente mirano a imporre l’Islam a tutto il Paese, anche attraverso l’uso del terrorismo.
Certo, questo implica la soppressione della società attuale, multireligiosa, caratterizzata dal dialogo e dalla convivenza.
I terroristi vogliono sradicare questa società libera e tutti coloro che non professano il loro stesso tipo di Islam, inclusi i musulmani, il che significa che il terrorismo è ora rivolto alla società nel suo insieme», spiega il Vescovo di Dori.
Il fenomeno terroristico ha un impatto drammatico sulla vita della Chiesa.
«Le conseguenze di questa ondata di violenza feroce negli ultimi sette anni sono state terribili.
Da un punto di vista pastorale non possiamo più spostarci come prima.
Il nostro raggio d’azione è molto più ridotto, perché i terroristi occupano i due terzi del territorio del Sahel.
Rimangono praticamente solo i capoluoghi di provincia.
La diocesi di Dori ha sei parrocchie, tre sono state chiuse, e siamo stati vicini a chiuderne un’altra quest’estate», mentre una quinta è tuttora «bloccata».
La chiusura viene decisa quando, a causa della presenza di terroristi, «sono gli stessi parrocchiani a chiedere che i loro sacerdoti siano inviati in un luogo sicuro».
Mons. Dabiré aggiunge che «in alcuni luoghi non c’è cibo e le comunicazioni sono interrotte, riusciamo a far passare alcuni messaggi solo grazie a poche organizzazioni delle Nazioni Unite che hanno i mezzi per trasmetterli».
Il Vescovo di Dori comunica di aver «organizzato una pastorale per gli sfollati interni, che ad oggi sono due milioni.
Questo è un momento difficile, ma vedo anche delle grazie: in questa situazione siamo uniti! La radio ci è stata di grande aiuto per raggiungere gli sfollati, e quando le comunicazioni sono completamente interrotte, cerchiamo di utilizzare i convogli umanitari e militari per inviare brevi messaggi scritti a coloro che sono isolati, per fornire loro informazioni e cercare di capire come stanno.
Occasionalmente siamo riusciti a portare cibo e rifornimenti in zone isolate grazie ai convogli militari.
Ci adattiamo alla situazione nel miglior modo possibile», conclude il prelato.
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