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VI Domenica C – Beati i poveri?
Letture: Ger 17,5-8; 1 Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Signore, questa volta hai esagerato! Ma ti sei guardato bene intorno? Tu dici “beati” (“makarioi”), cioè pieni della felicità divina i poveri di tutta la terra (Vangelo: Luca 6,20): e non i soliti “poveri in spirito”, come presto diciamo noi rifacendoci a Matteo (Mt 5,3), ma i “poveri-poveri”: il tuo Vangelo usa il termine “ptochòs”, povero, che deriva da “ptòsso”, accatto (!) e traduce vocaboli ebraici con significati molto concreti: “ani”: l’oppresso, il senza terra; “dal”: il debole, colui che socialmente non conta; “‘ebjon”: il mendicante, il senza tetto; “rash”: il bisognoso; “misken”: il meschino, appartenente a classi inferiori. Ci presenti beata la povertà materiale: ma ti sembrano proprio felici, tanto amati da Dio, quelli che non posseggono nulla, i senza fissa dimora, i “bambini di strada”, gli analfabeti, gli zingari, quelli che non hanno casa, che non hanno la libertà, i profughi, gli ucraini bombardati, gli ostaggi ebrei di Hamas, le vittime di Israele a Gaza, gli indigeni sterminati in Brasile, i curdi senza patria, gli immigrati sui barconi verso il sogno italiano, i “vu’ cumprà” ammassati in fatiscenti soffitte, i macellati dal fanatismo della jihad islamica? Proclami beati gli affamati, “peinòn” (Lc 6,21), in ebraico “rà’èb”: non sono quelli che hanno appetito, ma quelli che non hanno il minimo per vivere, i “famelici”: sei sicuro che siano proprio felici le migliaia di persone che ogni giorno muoiono di fame, i milioni che ogni giorno cercano nelle discariche delle città o nei cassonetti dei rifiuti l’indispensabile per sopravvivere, gli abitanti delle favelas e delle baraccopoli di tutto il pianeta, attanagliati dai crampi di una fame atavica? E dici beati gli afflitti, “pèntoi”, in ebraico “‘ebel”, quello che sono talmente angosciati da esplodere all’esterno il loro dolore: “quelli che piangono” (“klaìontes”: Lc 6,21). Che beatitudine ci trovi nella madre che piange il figlio di quattro anni morto di leucemia, nella sposa tradita dal marito, nella bimba abusata dallo zio, nel condannato alla pena capitale, nel malato psichiatrico, prigioniero dei suoi fantasmi, nel paziente neoplastico, che geme senza speranza? E poi, permetti, Signore: perché mai la tua Chiesa dovrebbe essere beata quando “odiata, messa al bando, insultata e respinta come scellerata” (Lc 6,22), e non invece quando il tuo messaggio da tutti è accettato, i tuoi ministri venerati come “eccellenze”, “eminenze”, “santità”, la “cultura cristiana” dominante, le risorse economiche per l’evangelizzazione abbondanti, i mass-media in mano nostra? Abbi pazienza, ma ci paiono beati proprio quelli contro cui lanci i tuoi “guai” (“vae“): i ricchi, i sazi, quelli che ridono, una Chiesa di cui tutti dicono bene (Lc 6,24-26)…
Non ce la facciamo a sopportare questa grande Rivoluzione che tu ancora oggi ci proponi. E se tutti i poveri e i sofferenti della terra oggi possono esultare perché tu per primo e solo nella storia hai proclamato davvero la loro liberazione definitiva, che inizia già ora e che eterni nel tuo Regno (seconda Lettura: 1 Cor 15,12-20), per noi diventa difficile pensare che “abbiamo già lo nostra consolazione” (Lc 6,24), e che in questo immenso “Purim”, ribaltamento delle sorti, a noi tocca la maledizione e la rovina (Prima lettura: Ger 17,5-8; Sl responsoriale: Sl 1). I tuoi terribili “guai” suonano come la più aspra condanna delle nostre sperequazioni sociali e al contempo sono un invito a una conversione forte a stare sempre dalla parte dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, degli oppressi, nella condivisione reale dei beni e dell’esperienza di sofferenza, secondo l’ideale comunitario che in Luca ci proponi (cfr At 2,42-47; 4,32-37): sono la chiamata a farci come te, Gesù (le Beatitudini “sono una specie di tuo autoritratto”: Veritatis splendor, n. 16…), il Dio Povero (Lc 2,11-12), Mite (Mt 11,29), Perseguitato (Mc 3,21), Sfigurato dalla sofferenza (Mt 27) come contempliamo davanti al Crocifisso…