Suor Eugenia Cavallo, per sempre in Kenya

Era ancora una novizia nel 1913 Marianna e non aveva ancora cambiato il suo nome in Eugenia, quando disse alle consorelle della Consolata: «Vorrei essere come quelle formichine che si muovono inosservate lungo i sentieri, lavorando sodo, e qualche volta vengono schiacciate dai piedi dei passanti. Tutto questo per amore».

di Miela Fagiolo D’Attilia

Questa speranza di ragazza racchiude il senso della vita donata di suor Eugenia Cavallo (1892-1953) protagonista della prima stagione missionaria della Famiglia della Consolata in Africa. Era nata a Spinetta in provincia di Cuneo sul finire dell’Ottocento e poco più che ventenne era entrata a far parte dell’Istituto della Consolata; dopo il tirocinio era partita per il Kenya nel 1921 e aveva lavorato nelle missioni di Mugoiri e Karima nella diocesi di Nyeri.

Qualche anno dopo, nel 1925, era passata ai villaggi di Kyeni, Chuka, Ioji nella diocesi di Meru dove era rimasta per nove anni; in seguito si era spostata nel villaggio di Mujiwa sull’altopiano centrale del Kenya, abitato dalle etnie kikuyu e embu.

Nel secondo dopoguerra l’opposizione al dominio coloniale del Regno Unito aveva dato vita al movimento politico nazionalista dei Mau-Mau, braccio armato del Kenya Africa Union guidato dal leader Jomo Kenyatta. La guerriglia di questi gruppi armati aveva come teatro i villaggi nella boscaglia, ma negli anni i Mau-Mau erano stati responsabili di atti terroristici e massacri a Nairobi e in altre città.

In questa atmosfera suor Eugenia e le consorelle vivono e testimoniano il Vangelo nei villaggi. A metà settembre 1953, suor Cavallo sogna che «un gruppo di Mau Mau mi aveva assalito, mi stringevano e mi strattonavano dicendo ‘Tukwenda kiongo kiaku‘ (vogliamo la tua testa, ndr)». La gente aveva paura di andare in chiesa perché frequentare gli stranieri, anche se missionari, poteva esporre alle violenze degli estremisti.

Quando faceva visita alle famiglie, mware, madre Eugenia cercava di rassicurare tutti, ma sentiva intorno a sè un certo imbarazzo: la gente non si era allontanata dalla chiesa, ma tutti avevano paura. Quel 28 settembre, alla fine della consueta giornata di lavoro, si era trovata davanti alla porta della Missione gente armata di lance e panga, coltelli, pronta all’assalto. Eugenia è rimasta al suo posto, ferma come una sentinella, mentre su di lei cadevano i colpi delle armi.
Poi è caduta in una pozza di sangue. Così si è spenta una martire dopo 32 anni di missione: ai suoi funerali c’era una gran folla di persone che per amore suo avevano ritrovato la strada della chiesa.

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  • Popoli e Missione 9/2022, p. 50
SEC 2024-2025
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