Stare
Il Direttore Responsabile e la Direttrice Editoriale, in un articolo di “Laborcare Journal”, parlano dello “stare”
di Gianluca Favero e Mariella Orsi
Questo numero di Laborcare Journal è dedicato allo “stare” nel lavoro di Cura, atto non scontato, su cui è necessario riflettere in una quotidianità lavorativa che, invece, impone “tempi” sempre di più “aziendali”.
In una sezione del Vocabolario Treccani, a proposito dell’etimo “stare” si legge: “… Fermarsi cessando il movimento…l’etimo di s. proviene da un’antichissima radice indoeuropea col valore di ‘arrestarsi’, che si ritrova anche in verbi quali assistere, consistere, esistere, resistere, restare, sostare …”.
Non sono, forse, questi gli elementi che accumunano le vite di curati e curanti?
Andrea Lopes Pegna, medico, prende spunto da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Foglio” (“ Empatia? No grazie.”) per affermare che: “quando viene asserito però che l’empatia, intesa come immedesimarsi nella sofferenza dell’altro, impedisce di prendere decisioni razionali, non sono d’accordo … perché penso che l’empatia emozionale non possa essere così nettamente distinta dall’empatia cognitiva e non debba limitarsi ad avvertire la sofferenza dell’altro, ma debba invece rappresentare uno strumento indispensabile per entrare nei bisogni della persona che soffre ”.
Stare accanto preoccupa proprio per i possibili coinvolgimenti che, in una realtà sempre più positivista, retta dalle evidenze scientifiche, sembrano non poter coesistere, anzi, possono, addirittura, essere un ostacolo al “fare”.
STARE, nell’esperienza della Fondazione Italiana di Leniterapia, è diventata l’acronimo di cinque parole che definiscono anche l’etica del volontario che accompagna le persone alla fine della loro vita.
Queste parole sono:
- SILENZIO – perché si comunica molto anche senza usare il linguaggio verbale;
- TEMPO – che è così prezioso quando, questo, si è fatto breve;
- ASCOLTO – che è attenzione all’altro, per comunicare – accogliere ogni parola che la persona può e vuole esprimere;
- RISPETTO – per la dignità delle persone di cui ci si prende cura;
- EMPATIA – che implica lo sforzo di cercare di comprendere la sofferenza dell’altro, provando ad alleviare gli aspetti sui quali è possibile agire.
Attraverso le testimonianze che gli operatori sanitari (medici, infermieri, OSS, psicologi, fisioterapisti) e i volontari ci offrono – nei tanti e complessi aspetti dell’assistenza alle persone che sono arrivate alle fasi avanzate della malattia e che, proprio perché la fine della loro esistenza è prossima – si comprende il bisogno che la cura si concentri sulla qualità della loro vita piuttosto che sulla sua durata.
Proprio per questo motivo dovremmo pensare che vi è un tempo dei desideri ultimi che devono poter trovare modo di essere espressi e accolti, almeno quelli che possono essere soddisfatti.
Quanta gioia si prova quando negli ultimi giorni di vita qualcuno – a casa – in ospedale – in Hospice – in RSA – desidera celebrare un matrimonio, riconoscere dei figli, ricevere la visita di chi gli è caro ma che, per vicende avverse, si è allontanato oppure il desiderio di ritornare nel Paese di origine come è accaduto a Natalina che ha voluto morire nella sua Romania.
Riconciliarsi e dare un senso alla propria vita, sovente, dà sollievo a quei giorni che, nell’immaginario collettivo, paiono destinati ad essere solo fonte di lacrime, tristezza e desolazione.
Laura Bencini, infermiera, scrive: “stare accanto, per me è qui. È ora. È in ogni istante del mio pensiero, del mio agire in ogni luogo dove porto la mia anima. È prendersi per mano, toccarsi, abbracciarsi
senza aver paura che ciò ci turbi …” versi che ci fanno percepire la portata della tematica perché non si tratta solo di comprendere quanto la capacità di “stare” sia fondamentale nella cura, ma di quanto, questo, implichi un coinvolgimento emotivo che, continuamente, viene messo in discussione all’interno della quotidianità sanitaria.
Marta Bernardeschi, nella premessa all’articolo di Adele Carli, sottolinea quanto “Un’autentica presenza non si esaurisce nel fare, non è ridotta solo all’agire, ma è legata al senso. Saper ascoltare e fare silenzio sono la base per incontri fondati sul rispetto e il riconoscimento …”
Nella nostra esperienza formativa, legata per lo più alle tematiche proprie del fine vita, non è raro trovare studenti che non vedono l’ora di condividere i sentimenti vissuti nel corso dei loro tirocini nel corso dei quali vivono in una sorta di “terra di mezzo”: immersi nell’apprendere e mettere in pratica il “saper fare” a scapito delle emozioni scaturite dalla relazione con i pazienti.
È, forse, un vuoto che c’è nella formazione? … si può insegnare a “stare accanto” alla sofferenza?
Luciana Coèn, infermiera che si occupa di formazione, la domanda se l’è posta: “è possibile insegnare a un futuro operatore a stare in una relazione/situazione di disagio, di sofferenza, come sarà nel lavoro? Quale ruolo il tutor/formatore ha nello sviluppare/accrescere questa attitudine?”. Le risposte che lei si dà sono articolate perché non è possibile rispondere con un “sì” o un “no”.
Articolo dopo articolo questo numero approfondisce, per quanto sia possibile, la difficoltà e le declinazioni dello “stare” come, ad esempio, nella relazione con pazienti stranieri.
Ilaria Marzotti, a tale proposito, nell’illustrare il progetto di “Educazione sanitaria e comunicazione Italia-Cina”, sottolinea quanto sia importante nell’ambito della prevenzione “… stabilire un contatto con chi si ha di fronte, una relazione. Senza relazione non si arriva alle persone, sono solo parole lasciate al vento. Quando per fare prevenzione è necessario confrontarsi con una cultura diversa, si iniziano a incontrare le prime difficoltà.”
(Gianluca Favero e Mariella Orsi)
E’ possibile consultare il numero completo della rivista sul sito www.laborcare.it
Fonte
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Laborcare Journal (Editoriale n.18)
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