“Sono rientrato in Perù”
Dopo il suo primo mese in missione, il comboniano p. Alessio Geraci ci scrive dal Perù per raccontarci l’impatto con la gente…
Ciao, amici! Sono “ritornato” in missione in Perù, anche se come dice la gente: “tu in realtà non te ne sei mai andato”!
Sono state tre settimane molto intense, piene di gioia, ancora nessun dolore (ma arriveranno, perché la vita è alternanza e convivenza tra gioia e dolore) e tanta vita donata e ricevuta.
Nell’ultimo anno e mezzo, mi sono lasciato cullare dal “sogno” di aprire una nuova missione nella foresta peruviana, nella Amazzonia “profonda”.
Ma la missione è un dono, e non è solo una frase, uno slogan, qualcosa che si dice tanto per dire. È la verità. Per cui la realtà è stata diversa dal sogno!
La mia “nuova” missione è la stessa dove ero prima, la parrocchia nella periferia sud di Lima, dove ho già vissuto, dove ho amato e sono stato amato, dove “non volevo andare” per uscire dalla mia confort zone, e mettermi seriamente in gioco a 41 anni!
Ma è proprio lì che Dio mi ha mandato. E sono qui con gioia, perché dove Dio mi ha piantato, io possa fiorire con tutto il mio popolo.
Sono arrivato qui mantenendo la promessa fatta al mio nuovo superiore, di non dire niente sulla mia nuova missione alla gente fino al mio arrivo.
Per loro è stata una sorpresa enorme. E mi hanno travolto e inondato di amore. Come già avevo sperimentato l’anno scorso quando sono tornato per tre settimane con il campo missionario giovanile.
Questa volta sono tornato per restare! E per lavorare duro! Il lavoro infatti non manca.
La parrocchia
Si tratta di una parrocchia nella periferia della periferia: un territorio molto vasto che comprende 100.000 persone, e 13 comunità cristiane.
Ciascuna ha la sua chiesetta, il suo coordinatore o la sua coordinatrice, e tutta una serie di agenti pastorali che lavorano duro per il Regno di Dio.
La parrocchia il 17 novembre ha compiuto 29 anni.
Il vantaggio che ho è che conosco bene il territorio e la gente.
In questi anni della pandemia la partecipazione della gente è calata sensibilmente e la realtà che si presenta ai miei occhi è ben diversa dalla parrocchia che avevo lasciato 5 anni fa. Preferisco camminare a piedi se posso, per fare esercizio fisico ma soprattutto per incontrare la gente.
E lungo la strada la gente ti riconosce, ti saluta, ti chiede una benedizione o ti invita a mangiare qualcosa.
Siamo nella periferia della periferia, per cui in alcune zone, specialmente in quelle che si trovano in alto, sulla collina, “scarseggiano” i servizi basici come la luce elettrica, l’acqua potabile o altri similari.
La parola che più sto facendo mia in questi giorni è condivisione, visto che a volte nella casa dove viviamo come comunità religiosa, la luce elettrica va via e l’acqua non esce dai rubinetti, e bisogna aspettare che torni o raccogliere prima l’acqua nelle bacinelle.
Anche questo è fare causa comune. Avrei provato vergogna e mi sentirei molto imbarazzato a vivere in una casa con tutti i confort se la mia gente vive nella povertà.
La gente è semplice, umile….per questo il linguaggio che utilizzo nelle omelie lo è altrettanto, cercando di coinvolgerli quanto più posso, facendoli sentire partecipi e non spettatori passivi di uno show.
Ma soprattutto cerco di veicolare l’immagine di un Dio gioioso che ci chiama alla gioia, alla celebrazione costante della vita perché è il Dio della Vita, che ha vinto, per sempre, la morte.
Per questo, nella celebrazione non mancano mai i miei momenti di battute e barzellette che mi servono nell’omelia per fare capire meglio il messaggio antico e sempre nuovo della Parola di Dio.
Fonte e immagine
- P. Alessio Geraci