Preti stranieri in Italia. Don Justin, dalla Nigeria alla Sicilia
Il contributo dei sacerdoti stranieri nella realtà della Chiesa Italiana e in particolare nella diocesi siciliana di Monreale
Sono circa 800 i sacerdoti stranieri in servizio pastorale in Italia. Arrivano prevalentemente dall’Africa (Nigeria, Rwanda, Tanzania, Repubblica democratica del Congo), seguiti nell’ordine dall’Asia (India in testa), dall’Europa dell’Est (principalmente polacchi e romeni) e dall’America (Argentina, Brasile, Colombia).
«La loro dovrebbe essere un’esperienza circoscritta nel tempo, per un massimo di nove anni non prorogabili», spiega Annarita Turi dell’Ufficio nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, «ma di fatto, ogni anno, almeno 20-25 sacerdoti stranieri scelgono di incardinarsi in diocesi».
«La vera questione è che si dovrebbe curare maggiormente l’accompagnamento di questi sacerdoti, per fare sì che vivano un’esperienza positiva non solo per sé stessi, ma per la diocesi di invio e quella che li accoglie», continua Anna Rita. «Non che manchi la volontà. Spesso, le ragioni sono legate alla vita frenetica di tante realtà parrocchiali e diocesane e il rischio è quello di trasformare delle risorse in tappabuchi». Soprattutto a fronte della crisi delle vocazioni in Italia e del numero sempre più esiguo di fidei donum in partenza.
Esistono tuttavia esempi riusciti di accoglienza, come nella diocesi di Monreale
«Per noi, i sacerdoti stranieri, così come gli studenti, sono stati da sempre delle presenze costanti: fin dai tempi di monsignor Vigo, si è creato questo scambio di cui siamo contenti», racconta don Dario Russo,
direttore del Centro missionario diocesano. «Ci aiutano oltretutto a guardare le cose anche attraverso i loro occhi. Tra tutte, la domanda più ricorrente è: “perché le messe sono così poco partecipate?”».
A chiederselo è anche don Justin Chibueze Utazi, classe 1984, da due anni al servizio della chiesa monrealese, nella parrocchia “Maria Santissima della Provvidenza” di Terrasini.
«Vengo dalla Nigeria, da Nimbo, nello Stato di Enugu, dove ho frequentato la scuola primaria, secondaria e superiore in Seminario tra il 1989 e il 2014, anno della mia ordinazione sacerdotale. Prima di venire in missione in Italia, ho lavorato nelle parrocchie e nel Seminario maggiore del mio Paese».
La sua è una storia particolare. Cresciuto in una famiglia di sette persone, la sua vocazione al sacerdozio è nata da subito, in casa, attraverso
il lavoro del padre. «Era un sarto, realizzava abiti liturgici per i sacerdoti e i vescovi della mia diocesi, e non solo. Vedendoli andare e venire nella bottega dove lui cuciva, sono stato attratto dalla loro presenza. La devozione dei miei genitori vita della Chiesa ha poi fatto il resto».
Una vita cucita per servire Dio e il prossimo, quindi, «disponibile ad accettare ogni responsabilità pastorale» affidatagli. «Così, quando il mio vescovo della diocesi di Nsukka mi ha mandato a lavorare a Monreale, ho detto di sì, perché la missione è un cammino di fede». Nonostante le difficoltà iniziali, principalmente legate alla lingua, don Justin si trova bene a Terrasini, un Comune di 12mila abitanti a 40 chilometri da Palermo.
«Mi sento pienamente accolto; le persone sono sempre ben disposte nei miei confronti e mi relaziono bene con gli altri sacerdoti della diocesi. Il parroco, don Davide Rasa, è un vero pastore: è premuroso e contento di vedermi a mio agio durante il mio servizio».
Chiamato in causa, don Davide, che è anche vice direttore del Cmd di Monreale, conferma le impressioni di don Justin
«Credo molto in questo tipo di esperienza perché, nella misura in cui ci si percepisce sullo stesso piano, è fonte di crescita per tutti, e non va solo in una direzione. Un sacerdote straniero coinvolto in toto porterà con sé un bagaglio che gli sarà utile, così come la comunità ospitante si arricchirà di nuove idee e tradizioni e farà cerchio intorno a lui per non farlo sentire mai solo».
La Nigeria, in effetti, gli manca, insieme alla famiglia e alle liturgie animate, ma a Terrasini progetta di «imparare di più» mentre svolge il suo ministero «orientando spiritualmente la vita dei fedeli, visitando gli ammalati e amministrando i sacramenti».
Provenendo da una realtà diversa, inoltre, non può fare a meno di notare delle differenze, sia in positivo che in negativo. «Mi piace come si svolge il Catechismo qui; in Nigeria, l’insegnamento è molto intensivo, ma i bambini non approfondiscono la lezione attraverso disegni e filmati». Di contro, «in Italia, andrebbe migliorato il coinvolgimento dei giovani nella vita di fede».
È il contributo di un sacerdote straniero in questo tempo e in questo spazio, quando viene reso partecipe: «il sacrificio offerto nell’impegno verso Dio toccando la vita delle persone».
(Popoli e Missione, luglio-agosto 2024, pp. 63-64)
Fonte dell’articolo
- Popoli e Missione
Immagini
- Don Justin Chibueze Utazi