Prendersi cura significa…

Il Direttore Responsabile e la Direttrice Editoriale, in un articolo di “Laborcare Journal”, parlano del “prendersi cura”

di Gianluca Favero e Mariella Orsi

 

Partendo dal presupposto che ogni situazione di cura non può prescindere dallo “sguardo” proprio delle Scienze Umane, essere curanti significa incontrare storie, mondi … Toccare sofferenze e solitudini così come i gesti di cura toccano, indagano un corpo che, proprio nella malattia, rischia di non più essere proprio…

Per tale motivo, l’approccio olistico, a nostro parere, appare come il percorso più opportuno per scoprire le persone che vengono curate e rendere significative le informazioni che esse raccontano.

Se osserviamo la quotidianità che abitiamo, seppure da un lato ci appaia scontata, dall’altro continua a imporci di guardare oltre per non rimanere fermi nelle proprie convinzioni e, quel che è peggio, chiusi nei ruoli che occupiamo, difesi da tecnicismi e procedure.

Questo numero 12 di Laborcare Journal, così come lo sarà il prossimo, è dedicato al “lavoro di cura” inteso non solo come un insieme di abilità, competenze e conoscenze ma, soprattutto, come incontro fondato sull’ascolto e sulla relazione.

Salvatore Natoli, filosofo, nel suo libro “Il buon uso del mondo”, scrive: “La dimensione relazionale e interpersonale propria dell’agire conferisce a ogni fare, anche a quello più anonimo e di routine, meta e destino. Se, ad esempio, faccio l’infermiere, posso limitarmi ad erogare un servizio, ma indubbiamente lo faccio meglio se sono anche capace di ascoltare la voce di chi soffre …”.

L’importanza dello “stare accanto” con competenza e umanità significa, per ogni professionista sanitario, abitare una sorta di intercapedine posta tra sapere e sofferenza e, questo lo dimostra quanto un infermiere scrisse al termine di un seminario: “Noi siamo fortunati! Facciamo una professione che ci permette di avere conoscenze sulla persona a 360°. Ognuno di noi infermieri ha un percorso alle spalle disseminato di gioie e tristezze”.

Da una parte, quindi, le competenze e, dall’altra, l’incontro di biografie così come ci ricorda Andrea Lopes Pegna:

“… la professione del medico quotidianamente ci offre questa occasione e anche più occasioni nello stesso giorno quando ci impegniamo di accompagnare veramente nel loro percorso di malattia, di sofferenza e di rinunce, magari anche fino alla rinuncia finale della vita, le persone che si affidano alle nostre cure”.

Il tema centrale è, quindi, “l’incontro” che lascia traccia dentro ognuno di noi, non necessariamente nell’ambito sanitario ma, anche fuori: Michele Soggia racconta la storia di Cheick Tidiane Diagne che, grazie all’incontro con Tziu Antoni Cuccu che “viveva” per salvare la poesia e le tradizioni sarde, raccoglie, alla morte dell’anziano, “il testimone” per “portare avanti il sogno del vecchio sardo.

Anche questa è Cura, proprio come scrive Luigina Mortari “Hanna Arendt distingue le varie forme di attività umane, parla del ‘lavoro’ come di quel fare che è un agire continuo, senza soste, per soddisfare bisogni primari.

La cura può essere definita il lavoro del vivere e dell’esistere (…) Proprio perché la debolezza dell’esserci, in quanto mancante d’essere, è costitutiva della condizione umana, il lavoro di cura non può non accompagnare la vita intera”.

Sovente, si sente affermare “la cura non è solo fare, ma essere”… questo è vero, anzi ma, secondo noi, tale affermazione dovrebbe essere articolata in “ essere per fare”, consapevoli che non è così semplice, soprattutto in una quotidianità caratterizzata da solitudini, anche all’interno della propria vita professionale.

Mara Fadanelli ci richiama a riflettere sulla Cura come il “preoccuparsi per qualcuno, interessarsi alla condizione di vulnerabilità con attenzione e partecipazione, ponendosi in un atteggiamento di aiuto e di responsabilità, avvertendo un obbligo etico verso gli altri che sono riconosciuti come bisognosi di cura, indipendentemente da quanto si ottenga in cambio…” e, ancora “il prendersi cura è connotato affettivamente, implica il “mi pre-occupo” di te in una situazione che diventa anche relazione”.

La cura, quindi, come Etica, parola che Massimo Mancini, giornalista, fa propria nell’analizzare quanto, anche la sua professione debba fare i conti con l’agire correttamente nella modalità, non sempre condivisibile, con cui i giornali tendono a stigmatizzare professioni quali quelle sanitarie e persone che provengono da altri Paesi.

Il “lavoro di cura” è, quindi, fondamento dell’agire di ogni individuo e non “patrimonio” esclusivo delle professioni di aiuto, basti pensare alle associazioni di volontariato e alle innumerevoli iniziative che, le comunità, organizzano per fare fronte ai bisogni dettati dalle fragilità sociale fatta di povertà e violenza – soprattutto quella di genere – che, sempre di più, caratterizzano il mondo cosiddetto globalizzato.

E’ possibile consultare il numero completo della rivista sul sito www.laborcare.it

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SEC 2024-2025