Populorum Progressio

Lettera Enciclica di Sua Santità Paolo VI sullo sviluppo dei popoli

L’Enciclica Populorum progressio di Paolo VI, del 26 marzo 1967, si colloca in un preciso contesto storico caratterizzato principalmente da due fatti: la presa di coscienza economica e politica dei popoli ancora in via di sviluppo (è questo uno dei segni dei tempi indicati da Giovanni XXIII nella Pacem in terris al n. 23) e la rinnovata consapevolezza, da parte della Chiesa, di essere la Chiesa dei poveri: al Concilio Vaticano II, infatti, i circa cinquecento vescovi del terzo mondo presenti, soprattutto con la loro testimonianza, richiamarono l’assise conciliare a prendere atto di questa nuova realtà e a confrontarsi con le esigenze del Vangelo.

La Populorum progressio riflette, inoltre, la particolare sensibilità di Paolo VI, il quale non tralasciò occasione per sottolineare che la questione sociale aveva ormai assunto dimensioni mondiali e che un’autentica coscienza cristiana non poteva più tollerare un ordine internazionale basato sul disordine, ossia sulla sempre più marcata disparità del tenore di vita di alcune Nazioni rispetto ad altre: disparità che finisce per collocare gli uomini, tutti uguali agli occhi di Dio, in due o più differenti e opposte categorie: quelli cui è riconosciuta la dignità di uomini e quelli a cui di fatto è negata.

Dimensione planetaria della questione sociale

Nella breve Introduzione (nn 1 – 5), dal titolo: La questione sociale è oggi mondiale, il Papa introduce il tema dello sviluppo dei popoli, e sottolinea come la questione sociale abbia oggi assunto dimensioni planetarie. In particolare ha presente le popolazioni che ancora «lottano per liberarsi giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche e dell’ignoranza» (n. 1). Ricorda come i suoi predecessori, con il loro magistero sociale, seppero proiettare la luce del Vangelo sulle questioni sociali del loro tempo (n. 2) e soprattutto come il Concilio Vaticano II, in particolare con la Costituzione pastorale su La Chiesa nel mondo contemporaneo, abbia chiesto alla Chiesa di mettersi a servizio degli uomini (n.3).

Il Papa ricorda anche, come la Santa Sede, per dare il proprio apporto alla causa dei popoli, abbia istituito, secondo i voti del Concilio, una Commissione pontificia con il compito di stimolare la comunità ecclesiale a promuovere il progresso dei popoli poveri, favorire la giustizia sociale tra le Nazioni e offrire a quelle che sono meno sviluppate «un aiuto tale che le metta in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso: Giustizia e Pace è il suo nome e il suo programma» (n. 5).

Per uno sviluppo di “tutto l’uomo e di ogni uomo”

La prima parte dell’Enciclica (nn 6 – 42) ha per titolo: Per uno sviluppo integrale dell’uomo. Per promuovere i popoli in via di sviluppo è fondamentale prima di tutto porre attenzione alla persona umana e al suo integrale sviluppo.

Dopo avere richiamato le giuste aspirazioni dei popoli a essere affrancati dalla miseria e, una volta conquistata l’indipendenza politica, a crescere anche socialmente ed economicamente, (n. 6), il Papa accenna al ruolo che la Chiesa, anche nel periodo coloniale, ha svolto nell’elevazione umana dei popoli con l’opera dei missionari (n. 12) e afferma che anche oggi essa deve dare il suo contributo nel processo di crescita di tutti i popoli: la Chiesa, senza intromettersi nella politica degli Stati, ma affiancandosi ad altri, offre il proprio contributo, ossia «una visione globale dell’uomo e dell’umanità» (n. 13). Lo sviluppo autentico, infatti, alla luce della fede «deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n.14).

  • L’Enciclica offre poi un’articolata descrizione del vero sviluppo, che consiste non nell’avere di più, ma nell’essere di più, cioè «nell’essere più uomo e nel passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane» (n. 19). Ciò comporta il possesso di quanto è necessario per vivere, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura, il rispetto del bene comune, ma anche l’apertura ai valori religiosi (n. 21).
  • Il Papa indica il cammino da fare e richiama i temi classici di un’etica sociale ispirata al Vangelo: la destinazione sociale dei beni (n. 22); la proprietà considerata non come un diritto assoluto (n. 23); l’uso dei redditi non solo a vantaggio personale (n. 24); l’economia a servizio dell’uomo (n. 26); il lavoro che permetta all’uomo di valorizzare le sue capacità e non invece di «disumanizzare il suo esecutore» (nn 27-28); la necessità di una programmazione e pianificazione dell’economia (n. 33); l’alfabetizzazione (n. 35).
  • Il Papa accenna anche al problema demografico e a tale riguardo lamenta la tentazione di alcuni governi di risolvere il problema della popolazione con misure radicali e, su tale argomento, richiama il pensiero della Chiesa: «È certo che i poteri pubblici possono intervenire mediante la diffusione di un’appropriata informazione e l’adozione di misure adeguate, purché siano conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia». Riferendosi poi alla Gaudium et spes (cfr nn 50 – 52) afferma: «Spetta in ultima istanza ai genitori di decidere, con piena cognizione di causa, sul numero dei figli, prendendo le loro responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai figli che già hanno messo al mondo e davanti alla comunità, seguendo le esigenze della loro coscienza illuminata dalla legge di Dio e sorretta dalla fiducia in Lui» (n. 37).

Verso lo sviluppo solidale dell’umanità

La seconda parte dell’Enciclica (nn 43 – 80) s’intitola: Verso lo sviluppo solidale dell’umanità.

Il Papa affronta il tema in tre sezioni.

  • Nella prima sezione: L’assistenza ai deboli (nn 45 – 55), Paolo VI espone il principio di solidarietà per cui ogni uomo deve sentirsi profondamente legato agli altri: «Si deve costruire un mondo dove ogni uomo, senza esclusione, di razza possa vivere una vita pienamente umana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco» (n. 47).

Questo vale non solo nei rapporti tra le persone, ma anche tra gli stessi popoli, di conseguenza, le Nazioni sviluppate devono aiutare quelle in via di sviluppo (n. 48). In particolare ricorda che il superfluo deve servire per aiutare i popoli poveri (n. 49).

Questi aiuti, espressione della solidarietà mondiale, devono essere messi in atto con programmi concertati, perché «un programma è in realtà qualcosa di più di un aiuto occasionale lasciato alla buona volontà di ciascuno» (n. 50). Ne consegue che «quando tanti popoli soffrono per la fame, per la miseria e per ogni altra forma di povertà, ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale, ogni corsa estenuante agli armamenti diventa uno scandalo intollerabile!» (n. 53).

  • Nella seconda sezione, dal titolo: L’equità nelle relazioni commerciali (nn 56 – 65), l’Enciclica parla dei doveri della giustizia, che stanno alla base anche delle relazioni commerciali. Paolo VI afferma che la stretta giustizia richiesta dalle leggi del libero mercato, non può essere applicata quando i contraenti si trovano «in condizioni di partenza troppo squilibrate» e molto disuguali, come nel commercio tra economie sviluppate e quelle in via di sviluppo: «La giustizia sociale impone che nel commercio internazionale, se ha da essere cosa umana e morale, si ristabilisca tra le parti almeno una relativa uguaglianza di possibilità» (n. 61).
  • Nella terza sezione: La carità universale (nn 66 – 75), si tratteggia il dovere della fraternità. «Il mondo è malato – afferma il Papa – e la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli è la causa vera del male del mondo» (n. 66). Ricorda poi i principali doveri che la carità universale esige, primo di tutti l’ospitalità e l’accoglienza verso gli emigrati, soprattutto se giovani e lavoratori (nn 67 – 70), ma anche un atteggiamento improntato al servizio che devono avere coloro che nei paesi in via di sviluppo realizzano opere industriali. Si accenna, infine, alle varie forme di volontariato internazionale e si invita soprattutto i giovani all’impegno in questo campo (n. 74).

Lo sviluppo è il nuovo nome della pace

13 – Nella Conclusione (nn 76 – 87), la Populorum progessio proclama che «la pace non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze», ma si instaura quando è promosso il vero sviluppo dei popoli, di tutti gli uomini e di tutto l’uomo (n. 76).

Consapevole che il cammino della pace passa attraverso un vero sviluppo, l’appello finale dell’Enciclica è rivolto non solo ai cristiani, cattolici e non (nn 81 – 82), ma a tutti i credenti in Dio e a tutti gli uomini di buona volontà: «Voi tutti che avete inteso l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia a servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, come sorgente di fraternità e segno della Provvidenza» (n. 86).

 

Immagini

Fonte dell’articolo

  • “L’anima del Mondo. Dialoghi sull’insegnamento sociale della Chiesa” di Mauro Viani
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