Pacem in Terris: “La Nona Sinfonia della Pace”

Un’enciclica ancora attuale

 Nei colloqui sulla Dottrina sociale della Chiesa, affrontate con Mauro Viani sulle pagine di Lucca Sette, sono stati trattati vari argomenti che sembrano aver suscitato un certo interesse nei lettori, in particolare la riflessione sui segni dei tempi, cioè sulla capacità di saper leggere negli eventi che stiamo vivendo, gli appelli di Dio per rendere la società più giusta e più umana, rispondente al suo disegno.

Qualche lettore più anziano ha gradito il riferimento al vescovo lucchese mons. Filippo Franceschi e alla sua lucida riflessione riguardo ai segni dei tempi che è stata citata da un suo libro.

SEC 2024-2025

Ma proprio riferendoci all’ultimo articolo c’è una cosa in particolare che ha colpito e che potrebbe essere approfondita con Mauro Viani.

Nella riflessione che abbiamo fatto sui segni dei tempi nell’incontro precedente, oltre all’importante costituzione conciliare Gaudium et spes, hai citato l’Enciclica sociale di Giovanni XXIII Pacem in terris. Ci puoi aiutare a conoscere questo importante e fondamentale documento sociale?

Lo faccio volentieri perché, nonostante siano passati cinquanta anni dalla sua pubblicazione, la Pacem in terris è ancora un documento di grande attualità e di portata profetica.

Devo dire che, personalmente, è il documento sociale che mi piace maggiormente e che spesso amo rileggere e meditare.

Per la prima volta, una Lettera enciclica affronta esclusivamente il tema della pace, e afferma che la pace non è soltanto assenza di guerra, ma frutto di verità, di giustizia, di amore e di libertà. E per la prima volta la lettera è indirizzata non solo credenti, ma a tutti gli uomini di buona volontà. Questa Enciclica segna una svolta nel modo di concepire la guerra e la pace.

La Pacem in terris è stata scritta, mi sembra, in un periodo particolarmente difficile della storia mondiale, quando le due grandi potenze si fronteggiavano…

Sì, tale Enciclica è stata scritta in un periodo di grandi tensioni internazionali, che a volte si traducevano in atti di guerra e lotte sanguinose, non solo tra le Nazioni, ma anche nell’ambito di uno stesso Paese.

Giovanni XXIII, già gravemente ammalato e non lontano dalla morte, l’11 aprile del 1963 pubblicò questo documento, che all’inizio non fu capito da tutti, nemmeno all’interno della Chiesa, ma che ebbe invece una risonanza universale proprio per il suo afflato profetico, essendo indirizzato, come dicevo, a tutti gli uomini di buona volontà.

Con felice intuizione, questa enciclica fu definita la Nona sinfonia della pace: si articola, infatti, in cinque parti, corrispondenti ai quattro movimenti più il coro finale della Nona sinfonia di Beethoven.

L’Enciclica, quali argomenti affronta e come si articola? Puoi farne una breve sintesi?

Evidentemente, non è possibile esporre in poche frasi tutta la ricchezza e i contenuti di questo documento sociale, tuttavia voglio richiamare alcuni temi che ritengo particolarmente importanti.

Giovanni XXIII ricorda prima di tutto che la pace è un anelito profondo di ogni essere umano, e che essa può esserci soltanto nel rispetto dell’ordine voluto da Dio, all’interno di ogni comunità politica, nel rapporto fra le Nazioni, come pure nella stessa comunità mondiale.

La cosa che forse più ci colpisce, leggendo l’Enciclica, è il richiamo ai diritti e ai doveri dell’uomo: il documento ci offre addirittura l’elenco specifico dei principali diritti dell’uomo (nn 6 – 13), ma indica – e questa è una peculiarità del pensiero cristiano – anche rispettivi doveri (nn 14 – 16): diritti e doveri che sono universali, inviolabili e inalienabili.

Pensa, che per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa è citata, esplicitamente, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, e tale Dichiarazione è riconosciuta come un atto della più alta importanza (n. 75).

C’è qualche altro aspetto della Pacem in terris che brevemente può indicarci?

Un altro tema che a me piace ricordare, perché ha segnato una svolta radicale, è il tema della moralità della guerra.

Dopo la Pacem in terris non è più possibile distinguere, come faceva un tempo anche la morale cattolica, tra guerra giusta e ingiusta: nella terza parte dell’Enciclica, infatti, c’è la condanna assoluta della guerra.

Giovanni XXIII coglie come un segno dei tempi, cioè come un appello di Dio, la persuasione sempre più presente nella mente degli uomini che le eventuali controversie tra i popoli non debbano essere risolte con il ricorso alle armi, ma attraverso il dialogo e il negoziato, e afferma: «Resta quasi impossibile pensare (alienum est a ratione, estranea alla ragione) che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia (bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda, la guerra sia mezzo efficace a riparare i diritti violati)» (n. 67).

Ho voluto citare anche il testo latino, perché la traduzione italiana ha un po’ attenuato la forza del pensiero del Papa. Infatti, se contraria alla retta ragione, la guerra non può mai trovare alcuna giustificazione!

La Pacem in terris è veramente un testo profetico: l’Enciclica vedeva davvero in lontananza! C’è qualche altro aspetto di particolare rilievo?

La Pacem in terris ha ricordato anche la necessità per la Chiesa di mettersi in atteggiamento di ascolto e di dialogo.

Proprio al termine dell’Enciclica, Giovanni XXIII invita i cattolici alla collaborazione e al dialogo con tutti, anche con coloro che ancora non sono illuminati dalla fede in Gesù Cristo, ma nei quali è presente la luce della ragione e l’onestà naturale (n. 82).

Chiede che non si confonda mai l’errore con l’errante, cosicché, pur non aderendo all’errore, sia possibile collaborare per il bene comune e per la pace anche con chi ha una conoscenza inadeguata della verità. «L’errante – si legge – è sempre anzitutto un essere umano e conserva in ogni caso la sua dignità di persona» (n. 83).

 

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Fonte dell’articolo

  • “L’anima del Mondo. Dialoghi sull’insegnamento sociale della Chiesa” di Mauro Viani
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