Ogni finestra era illuminata dal mare
Un articolo che scava nella storia del Sud Salento e racconta l’accoglienza a Leuca degli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio
Massimo Buccarello è mediatore interculturale presso lo sportello persone straniere dell’Ambito Sociale Territoriale di Gagliano del Capo (in provincia di Lecce) e operatore dello Sportello “Nessuno è straniero” della Caritas Diocesana di Ugento-Santa Maria di Leuca.
Alla luce della sua esperienza con i profughi di oggi, che sbarcano lungo le coste salentine, il suo racconto storico acquisisce ancora più valore e mostra come la misericordia, la carità e l’accoglienza siano valori senza tempo
(di Massimo Buccarello)
Questa è una storia vera, ma sembra una favola e le favole raccontano sempre dello spavento, della paura.
Le favole servono a evocare il terrore, per poi proteggere i bambini e donare loro la forza di resistere e di essere coraggiosi.
Questa favola sarebbe piaciuta a Tolkien, perché ambientata in una terra simile alla Contea, il Paese degli Hobbit, i mezzi-uomini che salvano la Terra di Mezzo dalla distruzione.
Tolkien narrava la sua epica vicenda avendo in mente le trincee della prima guerra mondiale ed elevava al grado di eroi i più umili: prima dei Re, prima di Gandalf e dei Maghi, prima degli Elfi e dei possenti Nani, sono eroi della sua saga Frodo, Bilbo, Sam e, a suo modo, anche il tragico e dannato Gollum.
Questa piccola fiaba epica racconta di un minuscolo pezzo di terra proteso nel Mediterraneo, lambito soltanto dalle tragedie che durante la seconda guerra mondiale squassarono l’Europa, e di come uomini e donne miracolosamente scampati a quelle devastazioni trovarono accoglienza presso una popolazione che, decimata dalla chiamata alle armi dei propri uomini e senza averlo scelto, offrì loro una pace insperata e una quiete improbabile.
Il contesto storico è quello della fine del secondo conflitto mondiale, con il Mediterraneo devastato dagli scontri fra alleati e asse.
L’8 settembre è la data che meglio ci aiuta a inquadrare questi avvenimenti. Il Re scappa da Brindisi, I Balcani e la Grecia sono in fiamme, a Cefalonia si consuma tragicamente la mattanza della Divisione Acqui, le acque e le coste del Mediterraneo sono campi di battaglia sanguinosi.
Nelle aree interne di Albania, Grecia e Serbia la guerra partigiana è atroce e senza requie.
I tedeschi si ritirano dall’estremo sud della Puglia, lasciando il posto alle truppe alleate che prendono il controllo di un territorio
privo di governo; risaliranno senza ostacoli fino a Barletta, dove reparti dell’esercito italiano passati alla resistenza gli si opporranno eroicamente. Taranto è colpita da un attacco silenzioso, il porto di Bari distrutto dai bombardamenti .
A sud del sud, nel basso Salento, si respira una quiete irreale.
Il rombo degli aerei di notte fa paura, ma le bombe sono sganciate altrove.
Gli aerei sorvolano le case per andare a distruggere le navi nel Mediterraneo, o i porti al di là canale d’Otranto.
Non ci sono rifugi antiaerei e ci si ripara nelle campagne.
ll Micca è affondato quasi per caso nello specchio d’acqua di fronte a Leuca.
Il governo locale è gestito dai vertici militari degli alleati (AMGOT), ogni vecchio legame politico si scioglie e nei paesini del Salento si vive in pace senza saperlo.
In tre località marine ancora più isolate avviene qualcosa di nuovo: all’arrivo delle truppe alleate, i vecchi notabili perdono i loro agi e si rifugiano in città; le loro villeggiature si interrompono bruscamente e le ville restano disabitate.
Le bellissime ville in stile liberty di Santa Maria di Leuca, di Santa Caterina e Santa Maria al bagno, di Tricase porto e Santa Cesarea vengono requisite: non sono più i luoghi dei lunghi soggiorni di una belle époque fuori tempo, ma diventano prima alloggi per le truppe e, poco dopo, campi per i rifugiati.
Le antiche famiglie dai nomi altisonanti non hanno nessuno nelle nuove stanze del potere cui recriminare e reclamare il “maltolto”.
Ed ecco che nella nostra favola si fa strada la magia: dalle coste, dalle isole e dai porti albanesi, del Montenegro e della Grecia arrivano barchette con famiglie di pescatori che scappano dai furiosi e sanguinosi scontri in atto nelle loro terre.
Gli abitanti della costa vicina, così simili a quelli del Salento, vengono accolti e alloggiati in questi campi speciali: i displaced person
camps allestiti dall’UNRRA, la prima agenzia di quella che di lì a poco sarà L’ONU.
Poco dopo avviene una seconda magia: dal nulla (e dalle vie di comunicazione interne) appaiono gruppi e famiglie che parlano lingue lontane, nordiche. Giungono uomini e donne derelitti, che scappano disperati, in fuga dalla guerra e dall’orrore dell’olocausto.
Sono gli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio che raggiungono il Capo di Leuca, un lembo di terra-oasi in un Mediterraneo in fiamme.
Arrivano fin lì grazie all’opera di salvataggio in corso in tutta Europa, un’operazione a un tempo spionistica, umanitaria e pericolosa messa in atto dalla diaspora ebraica.
I profughi, giunti in un Salento liberato e fortunosamente dimenticato dalla guerra, vengono accolti in queste ville e in questi paesini ritornano alla vita.
E accade una terza magia: per la prima volta nella storia di questi borghi sperduti, affacciati sul Mediteranno, i bambini nascono all’interno di un ospedale, mentre ancora per molti anni, fino alla fine degli anni Sessanta, i neonati salentini continueranno a nascere in casa.
Il frutto dell’amore dei sopravvissuti ai campi dell’orrore, durante quel biennio, nasce nelle stanze luminosissime della Colonia Scarciglia, con le finestre inondate dal sole e dal mare lucente.
Quello che oggi è soltanto un rudere, in quegli anni si trasformò da colonia estiva in modernissimo ospedale, con attrezzature mai viste prima in quella povera periferia.
A prestare le cure alle famiglie di profughi, non solo medici e infermieri, ma anche le suore del convento di Santa Maria di Leuca.
Così, gli ebrei ucraini, tedeschi e della Mittel-Europa poterono guardare con occhi diversi i rappresentanti della religione cattolica: quelli che nei loro paesi d’origine facevano parte del blocco di odio, a Leuca erano parte integrante dell’accoglienza organizzata dall’UNRRA.
Un’accoglienza diffusa e incredula, obbligata e al contempo naturale per chi vive in una terra facilmente accessibile dal mare e senza difese. Un popolo con una storia aperta verso l’altro, impossibilitato a chiudersi e abituato, anche suo malgrado, a confrontarsi col diverso. Una storia piena di incontri e miscugli, di sbarchi clandestini e di scambi continui con l’altra sponda del Mediterraneo: la storia di una quasi-isola mai isolata.
Questa è quella favola dimenticata; dimenticata da chi scappava e da chi ospitava, nella speranza, forse, di lasciarsi alle spalle l’orrore di quei tempi.
Dopo anni di oblio, solo nel 2004 si è risvegliato l’interesse per questa vicenda, con il conferimento della medaglia al valore civile da parte del presidente Ciampi e l’inaugurazione, nel 2009, del Museo dell’accoglienza di Santa Maria al bagno, dove sono raccolti molti
documenti e testimonianze.
Ci sono due fotografie che illustrano bene la magia e l’orrore che si visse nella stessa porzione di Mediterraneo in quegli anni terribili.
La prima è esposta nel Museo della civiltà ebraica di Salonicco e fu scattata l’11 luglio del 1942, alle 8 del mattino in piazza Eleftheria (Libertà): raffigura una fila di uomini adulti, tutti i maschi ebrei della città tra i 17 e i 45 anni, che sotto la minaccia dell’arma di un solo soldato nazista sono costretti a fare degli esercizi ginnici.
Un’umiliazione attuata nel giorno sacro degli ebrei, il sabato della famiglia. Un’umiliazione che il resto della popolazione non ebrea accettò per paura, per costrizione o per convenienza.
La più antica comunità ebraica del Mediterraneo fu distrutta nei giorni seguenti, la tradizione romaniota e sefardita della ricca Salonicco annientata.
La seconda fotografia è di qualche mese più tardi ed è esposta al Museo dell’accoglienza di Santa Maria al bagno: mostra ragazzi e ragazze giovani intenti a fare ordinati esercizi ginnici sul lungomare di Leuca sotto la guida degli insegnanti, i volti felici e impegnati di persone finalmente libere. Sullo sfondo del porto e del faro, la scena è testimonianza della volontà di un popolo, devastato dalla Shoah, di tornare alla normalità e di una favola dell’accoglienza di cui i salentini furono spettatori e protagonisti a un tempo. Una storia di umanità negli anni più bui dell’Europa.
I DP Camps del Salento furono attivi poco più di un biennio: poco dopo la fine della guerra i rifugiati slavi tornarono a casa e la diaspora ebraica organizzò la partenza degli sfollati che partirono alla volta di Napoli per poi imbarcarsi per Israele.
Per loro valgono le parole che lo storico Eric Hobsbawm usò per chiosare sulla storia degli ebrei di Sannicandro: “Una volta trasferiti nella terra di Israele, sparirono nell’anonimato storico della gente comune che si guadagna da vivere.”
Talvolta qualcuno ritorna, come il mio amico Mordechai Borenstein che nacque a Leuca il 6 dicembre 1946 e che è tornato per “respirare lo stesso vento e vedere la stessa luce del suo primo giorno sulla terra”.
“Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso”
“Ma la guerra è finita“ obiettai: e la pensavo finita,
come molti in quei mesi di tregua, in un senso più universale di quanto si osi immaginare oggi.
“Guerra è sempre” – rispose memorabilmente Mordo Nahum.
(La tregua, Primo Levi)
(Articolo di Massimo Buccarello)
Fonte e immagini
- Massimo Buccarello
- spazio + spadoni